Abbiamo bisogno di storie che svelino, non che ingannino di Roberto Bonzio

Una spiaggia veneziana, un grande schermo. 

È successo un mese fa, quando al Lido, sulla spiaggia degli Alberoni è stato reso omaggio al cinquantenario di un film entrato nella leggenda, “Morte a Venezia” di Luchino Visconti, ispirato al capolavoro di Thomas Mann, che proprio su quella spiaggia immortalò una scena clou, la morte per un’epidemia del maturo artista segretamente innamorato di un bellissimo quindicenne.

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Solo pochi mesi prima, un documentario “The Most Beautiful Boy in the World” (Il ragazzo più bello del mondo) aveva raccontato la storia di Bjorn Andresen, oggi un maturo pianista svedese.

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Storia tormentata, perché Bjorn, barba e capelli da bardo, mezzo secolo fa aveva interpretato quel ragazzino dalla bellezza eterea, un ruolo che ha letteralmente stravolto la sua vita: soffocato dalla propria fama di star quand’era teenager, incapace di affermare più tardi una propria personalità artistica diversa da quell’icona su scala planetaria cui aveva dato volto, che ha vissuto come una persecuzione.

È uno spunto, questo incrocio tra finzione e realtà, per riflettere su quanto potente sia la forza delle storie, per imporre immagini che una volta affermatesi possono diventare icone, stereotipi.

Quel film ha consolidato una suggestione diffusa, l’idea che la città lagunare col suo fascino di tesori del passato sia icona stessa della decadenza. Stereotipo difficile da demolire… ci ha provato con un libro affascinante un docente emerito di Ca’ Foscari, Mario Isnenghi, col suo “E se Venezia vive. Una storia senza memoria” (Marsilio) tracciando oltre due secoli di storia “controcorrente” rispetto al mito della città in eterno declino, fra eventi e protagonisti spesso poco conosciuti, che sulle rive della laguna hanno innovato, sperimentato e realizzato il futuro: dalla nascita della Biennale e di Porto Marghera alla “invenzione” del Lido come meta turistica, all’epopea dei pionieri dell’aviazione, proprio dall’aeroporto del Lido…

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Da “giornalista curioso” io che ho scelto di raccontare e incrociare storie di ieri e di oggi, dedicate a chi deve immaginare il domani, sono convinto che la forza d’ispirazione delle storie sia cruciale, anche per liberare il talento. Scoprire innovatori e visionari che spesso ignoravamo e hanno combattuto ostinatamente, spesso incompresi e osteggiati, hanno magari cambiato le nostre vite senza alcun riconoscimento al proprio ruolo, è una carica fortissima per chi oggi percorre strade nuove spesso in salita, fra mille ostacoli. Perché le storie possono ispirare, incoraggiare, rivelare.

Ma occorre consapevolezza e senso critico, proprio perché l’emozione di storie, accompagnate magari da immagini suggestive, può servire invece per mistificare, ingannare. La forza delle Fake News che ci affliggono sta nella semplificazione, nell’essere accattivanti e spesso emozionanti.

Il mio percorso di narratore con Italiani di Frontiera è nato sul ponte fra Italia e Silicon Valley.

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E proprio Silicon Valley, Frontiera del futuro che dalla Frontiera del passato, quella del West, ha ereditato la propensione a celebrare in modo esagerato i propri miti. Un tempo eroi che sfidavano terreni ostili (e “selvaggi” che erano in realtà nativi americani, ai quali quei territori venivano strappati), oggi figure carismatiche che creano e inventano, non senza rischi, diventando in alcuni casi star di livello planetario.

Una di queste stelle, ormai decadute, è passata in queste settimane dalle copertine di riviste patinate alle aule di tribunale. 

Era stata a lungo celebrata con uno “Steve Jobs al femminile”, Elizabeth Holmes che con la sua Theranos arrivata a una valutazione di nove miliardi di dollari prometteva di rivoluzionare il mondo delle analisi mediche, enorme impatto mediatico e al suo fianco icone di caratura mondiale, da Bill Clinton ai Jack Ma, fondatore di Ali Baba.

Prima che un’inchiesta giornalistica, raccontata ora in un libro, Bad Blood (in Italia “Una sola goccia di sangue, Mondadori) che ha ispirato un documentario HBO su Sky “The Inventor. La più grande truffa di Silicon ValleyJohn Carreyrou per vent’anni giornalista di The Wall Street Journal svelasse la colossale truffa, di una tecnologia di analisi del sangue che non funzionava, ai danni di utenti e investitori.

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A The Guardian, il giornalista ha raccontato che le persone a Silicon Valley sono state ingannate perché “volevano credere” a quella favola, a quell’icona. E che nell’investigare su quel caso, preziosa per lui era stata non solo la competenza in materia di sanità, pure le sue origini francesi, con quel pizzico di scetticismo insito nella sua matrice culturale europea.

Di “Storie che ingannano, Storie che svelano” ho parlato per la prima volta il mese scorso in uno storytelling durante la Mostra Internazionale del Cinema proprio al Lido di Venezia (ospite dell’associazione MostraLido nella sala della Veneto Film Commission all’Hotel Excelsior), a qualche mese dal mio talk al TEDx Mestre sul tema del ConFine.

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La frontiera del futuro dobbiamo affrontarla da “Pionieri, Esploratori, Non Guardiani” (citazione dal bellissimo film Interstellar), avevo detto allora. 

Scoprire e incrociare storie ci aiuterà a farlo. Ma proprio perché afflitti da notizie false, social che le amplificano e rumorosi complottisti che a tante patacche vogliono ostinatamente credere, oggi abbiamo più che mai bisogno di consapevolezza, senso critico. E di una “contronarrazione” con storie che sappiano emozionare. Per conoscere, ispirare, svelare. Non per ingannare. 

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