Che cosa siamo disposti a fare? La risposta etica dell’Occidente alla Russia di Putin di Maria Cristina Origlia

Si era sbagliato anche Aleksej Naval’nyj, principale oppositore russo – oggi in carcere – convinto che la caratteristica distintiva del regime putiniano fosse l’avidità. L’evolversi – o involversi – del conflitto in Ucraina dà ragione alla giornalista Masha Gessen, che nella prefazione all’ultima edizione de L’uomo senza volto. L’improbabile ascesa di Vladimir Putin (aprile 2022) scrive: “La brutalità, il dominio, il potere illimitato sono gli obiettivi finali di Putin: le ricchezze rappresentano solamente il bottino e lo strumento”. E che se l’aggressione all’Ucraina ancora ci sembra incredibile, “è perché ci siamo rifiutati di vedere quello che era sotto i nostro occhi”. Ora non abbiamo più scelta.

Ma qual è la vera posta in gioco?

Vittorio Emanuele Parsi, professore ordinario di Relazioni Internazionali all’università Cattolica, dove insegna anche Studi Strategici ed è direttore di ASERI (Alta scuola di Economia e Relazioni internazionali), ha una visione ampia e articolata in proposito. Poche settimane fa è stato chiamato – assieme ad altri esperti di varie materie – dal Ministro della Difesa gli Crosetto a far parte nel neonato “Comitato per lo sviluppo e la valorizzazione della Cultura della Difesa”. Per ora non è dato sapere di più, ma il fatto stesso che sia stato coinvolto è una buona notizia, perché è uno dei pochi che vanta solide conoscenze e competenze sul tema in questione.

Yalta summit 1945 with Churchill, Roosevelt, Stalin

Photograph from the Army Signal Corps Collection in the U.S. National Archives., 9 febbraio 1945

Nei suoi libri più recenti – Titanic. Naufragio o cambio di rotta per l’ordine liberale (Il Mulino, seconda edizione 2022) e Il posto della guerra e il costo della libertà (Saggi Bompiani, novembre 2022) propone un’analisi ficcante dell’attuale situazione geopolitica, partendo da una domanda chiave: che cosa ha permesso 77 anni di pace in Europa e in Occidente?

La risposta ci restituisce la fotografia di un’identità storica, che affonda le sue radici in un ambiziosissimo progetto politico, disegnato intenzionalmente dalle grandi potenze dopo la II guerra mondiale e sancito nella Carta atlantica, sottoscritta nell’agosto del 1941 da Roosevelt e Churchill. Un progetto basato su un ordine internazionale liberale, il cui delicatissimo equilibrio poteva reggersi grazie a tre condizioni strutturali: la sovranità, esercitata da Stati democratici, che controlla gli eccessi dell’economia di mercato, la stessa economia di mercato che fa da contraltare al potere della sovranità e una fitta rete di istituzioni internazionali, che agiscono da regolatori e controllori del sistema.

In questo modo, con tutte le difficoltà del caso, l’equilibrio ha retto sino al 1989, quando con il crollo del muro di Berlino e la disgregazione dell’Unione Sovietica è venuto meno quel deterrente fondamentale che era stato nei decenni precedenti la guerra fredda. Secondo l’analisi di Parsi, è in quegli anni che abbiamo fatto un errore capitale. L’Occidente si è illuso che il suo modello capitalistico con le sue promesse di benessere potesse conquistare anche i paesi più riottosi, attraverso la globalizzazione e una progressiva deregolamentazione dei mercati. Senza rendercene conto, dal libero mercato controllato dagli Stati siamo scivolati nella dittatura del mercato, dimenticandoci di quanto fosse necessario il ruolo regolatorio e di indirizzo della politica. Dal canto loro, i maggiori regimi autocratici – Russia, Cina, Iran – pur approfittando (quando possibile) economicamente dell’apertura dei mercati, sono rimasti ben saldi nelle loro convinzioni e governance politiche. Quel che è accaduto in Occidente lo sappiamo bene.

Photo by: Alexander Zemlianichenko
Soviet President Mikhail Gorbachev, left, and Russian Federation President Boris Yeltsin confer during a meeting of the Congress of People’s Deputies on Monday, Sept. 2, 1991, in Moscow, Russia. Gorbachev said Yeltsin was a driving force behind the collapse of the Soviet Union. (AP Photo/Alexander Zemlianichenko, File)Fonte:The Washington Post (2021)

Gli ultimi 30 anni sono stati un susseguirsi di crisi di vario genere, da quella terroristica, a quella finanziarie a quella climatica, ma è stata forse la pandemia a far emergere più di tutte l’insostenibile situazione in cui si ritrova oggi il sistema occidentale. La finanziarizzazione dell’economia, la globalizzazione delle supply chain, l’accelerazione tecnologica hanno progressivamente polarizzato le ricchezze, generando tali disuguaglianze nell’accesso alle opportunità all’interno dei paesi da scatenare forti tensioni sociali e spinte populiste. E, cosa ancora più grave, da farci dimenticare cosa significhi vivere in una società aperta, garantita da un sistema multilaterale.

È in tale contesto storico che si inserisce l’ascesa al potere di un leader autocratico come Putin, che negli ultimi 20 anni non ha fatto altro che perseguire il disegno di ricostituire l’Unione sovietica, prima smantellando ogni istituzione democratica del paese, poi, attraverso una serie di guerre e di annessioni di territori, sino all’invasione dell’Ucraina del febbraio 2022.

Nonostante la presenza di strategiche risorse nelle terre del Donbass e in particolare nei dintorni della città di Mariupol, la guerra scatenata da Putin non è una guerra per il potere economico. E non è una guerra per procura, come spesso si vuol far credere. È piuttosto – chiarisce Parsi – un conflitto tra visioni del mondo in netta contrapposizione.

Da una parte, un capitalismo di mercato, fondato sulla separazione tra economia e politica, con un sistema di controllo per evitare che il primo prenda il sopravvento sulla seconda, dall’altro il “capitalismo di concessione”, che dipende dal “favore del principe”, in cui “la possibilità di arricchirsi è il corrispettivo della fedeltà al potere politico”, peraltro sempre revocabile. Da cui deriva un intreccio nefasto di oligarchie assoggettate al potere assoluto del vertice, corruzione, nepotismo e distruzione dello stato di diritto. Non a caso, la giornalista Anna Politkovskaja – assassinata a Mosca nel 2006 – denunciava che “in Russia non esiste un sistema giudiziario. Quel che abbiamo è un sistema che ottempera alle esigenze della politica, al quale si oppongono solo singoli eroi” (da La Russia di Putin, Adelphi, 2004). Aleksej Naval’nyj è uno di questi.

E, allora, la strategia migliore è rafforzare le nostre istituzioni multilaterali e marcare le differenze tra vivere in un regime autocratico e in un regime democratico, scrive Parsi, recuperando ciò che andato indebolendosi, anzi superandolo. Ciò che dobbiamo innanzitutto ripristinare – come sostiene con forza da tempo l’economista Mariana Mazzucato – è il principio di equità, ovvero di uguaglianza e libertà, su cui costruire un’economia globale realmente sostenibile. Una visione che riflette l’intento dell’Agenda Onu 2030 e dei relativi obiettivi SDGs per ritrovare un equilibrio tra profitto, ambiente, dignità del lavoro e impatto sociale. Ci sarà un costo da pagare, ma vale la pena ricordare che è il costo della libertà.

Ecco perché, “ripensare la guerra diventa un esercizio etico ancor prima che politico”, che ci porta a un’altra domanda fondamentale: che cosa siamo disposti a fare per difendere la democrazia? Perché “è solo nella tutela della democrazia e della libertà che esiste la prospettiva della pace”. 

PS. Una postilla doverosa.

Vale la pena ricordare che una democrazia, ovvero una società aperta con un’economia aperte e perdipiù basata sul valore del capitale umano, come l’economia della conoscenza inaugurata dal XXI secolo, richiede “una struttura di incentivi che premi lo sforzo individuale e la ricerca di alto livello”. E “dovrebbe essere ovvio che il rifiuto della meritocrazia va di pari passo con l’accettazione di sistemi basati sulle relazioni e sul clientelismo” scrivono Lorenzo Codogno e Giampaolo Galli in Crescita economica e meritocrazia (Il Mulino, 2023). Disfunzioni, queste ultime, che diventano sistema “istituzionalizzato” nei regimi autocratici.

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