I nostri interessi e la nostra emotività sono quasi sempre mossi dall’andamento degli investimenti borsistici, dal mercato azionario. Scandiscono le nostre ansie, le nostre paure, i nostri timori, ma anche la nostra speranza di arrichirci velocemente e la nostra avidità.
I mercati obbligazionari invece ci sembrano più familiari. Pensiamo che siano un porto sicuro, anche se in realtà non ne abbiamo mai compreso pienamente le dinamiche né abbiamo sentito l’esigenza di farlo. Ai nostri interlocutori, alle nostre banche diamo il massimo della fiducia possibile e pensiamo che anche se le cose non vanno bene, alla scadenza ci ridaranno comunque i denari investiti.
Ma come funzionano i mercati obbligazionari che (a nostro avviso) non ci tradiscono mai ? Funzionano in questo senso presupponendo un paio di condizioni veloci e semplici ovvero che i tassi d’interesse scendano e continuino a farlo nel tempo e che questo processo sia lineare e cioè che poi i tassi non alternino – come invece è normale – fasi in cui anche solo provvisoriamente tornino a risalire.
Cosa succede infatti se i tassi tornano a salire ?
Purtroppo per l’investimento obbligazionario a tasso fisso questo è l’evento più negativo. Specie dalla crisi del 2008, ma in realtà da molto prima, la crescita mondiale è dipesa soprattutto dal continuo e ampio ribasso dei tassi d’interesse, operato congiuntamente dalle maggiori banche centrali mondiali, e non da benefici stutturali di organizzazione e di aumento della produttività del sistema economico.
In quel contesto qualsiasi titolo obbligazionario governativo o corporate emesso prima del 2008, ovvero prima dell’avvio del ribasso dei tassi, ha sempre assicurato al suo sottoscrittore una cedola più grande di quella che il nuovo investitore poteva trovare sul mercato. Dal punto di vista del prezzo dell’investimento, singolo titolo o prodotto finanziario che sia, ciò ha significato un aumento del suo valore.
Ma cosa succede se ora i tassi continuano a salire ?
Lo vediamo bene con questa infografica del Il Sole 24 Ore:

Come evidenzia la tabella un incremento del tasso d’interesse porta l’investimento obbligazionario a perdere valore proporzionale rispetto all’entità dell’aumento dei tassi e alla vita residua/scadenza, sia esso detenuto di per sé o all’interno di una gestione patrimoniale/fondo/ETF/polizza. Tanto per fare un esempio ed essere oltremodo chiari, scorrendo la tabella leggiamo ad esempio che nel caso di un BTP con scadenza a 2 anni, un aumento dei tassi pari a 100 pb, ovvero l’1%, fa perdere al suo prezzo l’1,8%. Nel caso peggiore menzionato invece, quello di titoli con scadenza a 30 anni e un rialzo dei tassi del 2%, il calo sarà addirittura del 38,10 %.
Ricordo che stiamo parlando della gran parte degli investimenti della famiglia italiana media, che spesso è portatrice di una certa avversione al rischio. Oltralpe infatti spesso l’investitore medio americano o internazionale è abituato a detenere circa il 60 % in azioni e il 40 % del patrimonio in obbligazioni, mentre nel caso dell’investitore medio italiano come minimo queste percentuali sono invertite.
Tornando ai nostri tassi di interesse, come sappiamo, le banche centrali mondiali, a partire dalle più importanti ovvero FED e BCE, ritenevano e dichiaravano, ancora nei primi mesi di quest’anno, che l’inflazione sarebbe stata temporanea e sotto controllo e con essa i tassi d’interesse. Per diversi motivi invece, l’inflazione è cresciuta in misura importante e ad oggi questo non viene più ritenuto un fenomeno transitorio.
Le banche centrali sono dunque intervenute operando una stretta creditizia con un’intensità che ha pochi precedenti nella storia, come si vede ad esempio per la FED nel grafico sotto in cui la freccia indica il livello attuale dei Fed Funds compreso nella fascia 3%-3,25%.
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La stretta ha avuto un forte impatto sui prezzi dei titoli obbligazionari, che si sono fortemente deprezzati, come ha ampiamente evidenziato la stampa di settore.
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A questo punto i tecnici storceranno il naso per quanto sto per scrivere ma l’importante è cercare di trasmettere qualcosa. Impariamo una regoletta semplice: la perdita o il guadagno (nel caso i tassi scendano) è data dalla variazione del tasso d’interesse per la vita residua. In realtà al posto della vita residua dobbiamo usare la duration. Se riuscite a identificare la duration del vostro investimento obbligazionario, non avete più bisogno dell’infografica de Il sole 24 Ore e potete farvi da soli il calcolo.
Come sanno bene quelli che mi frequentano di più, seguo con maggiore interesse una serie di Fondi ed ETF e, se dovessimo incolonnare questa selezione in base alla peggior performance da inizio anno, troveremmo questo risultato. (Dati di venerdì mattina 23 settembre 2022)

Elaborazione dell’autore grazie a www.morningstar.it
L’ETF che rappresenta l’investimento in titoli obbligazionari governativi area Euro (BTP, Bund tedeschi OAT francesi, Bonos spagnoli, ecc.) con vita residua superiore a 25 anni ha perso da inizio anno il 34 % (altro che il 20 %). Questo è un investimento che coerentemente all’orizzonte temporale di investimento potrebbe essere presente in tutti i fondi pensione/prodotti pensionistici e nelle gestioni separate, ovvero quei prodotti che nel lungo periodo ci assicurano di non perdere mai.
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Possiamo verificare dal factsheet che al 31 agosto effettivamente la duration di questo strumento è 22,61 da cui il movimento negativo di questa entità in caso di rialzo dei tassi d’interesse.
Qualora i tassi d’interesse nei prossimi anni, dovessero invece tornare a calare, il valore di questo strumento salirà in proporzione di 22,61 volte la variazione del tasso: per fare un esempio dunque se i tassi scendessero di un punto percentuale, questo pacchetto di titoli di stato area Euro guadagnerà il 22,61 %.
Con la prossima infografica torniamo negli Stati Uniti dove si è assistito alla stessa dinamica:
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Questa tabella fa riferimento alla performance del titolo di stato americano a 10 anni e riporta la performance annuale per l’investitore americano dal 1928.
Se abbiamo compreso il meccanismo, ogni anno che i tassi sono scesi abbiamo un dato positivo in verde. Ogni anno che i tassi sono saliti, abbiamo un dato negativo in rosso.
A prescindere dalle competenze di ognuno di noi e limitando all’esperienza e all’osservazione empirica di lungo periodo, possiamo desumere che:
- Ogni tanto i tassi sono saliti ma c’è una netta predominanza dei dati in verde;
- Mai in passato ci sono stati più di due anni di dati negativi di seguito (questo ovviamente potrebbe non valere per il futuro)
- Ci sono stati anni particolarmente negativi ma quello attuale è il peggiore di tutti;
- Una volta finita la fase rossa, e nessuno può sapere quando ciò accadrà, tanto meno io, spesso abbiamo assistito a movimenti molto verdi, quindi positivi, in alcuni casi particolarmente vistosi.
Dunque in passato le banche centrali (in questo caso specifico si tratta della FED) hanno alzato i tassi per mitigare l’inflazione o un surriscaldamento della crescita economica, ma altrettanto frequentemente i tassi poi sono tornati a calare per poter innescare nuovi cicli positivi per l’economia.
Torniamo adesso al mio elenco personale e cioè a quegli strumenti obbligazionari che osservo tutti i giorni per rimanere aggiornato. Guardiamoli sempre utilizzando la lente della performance da inizio anno, alla mattina del 23 settembre soffermandoci questa volta sui migliori:

Elaborazione dell’autore grazie a www.morningstar.it
Sembra incredibile ma pur in un anno così difficile possiamo trovare un’attività “obbligazionaria” che ha dato dei frutti, e che frutti!!!
In realtà la prima in classifica non è una vera e propria attività obbligazionaria quanto un parcheggio in uno strumento di liquidità espresso in dollari. È infatti proprio il dollaro che per l’investitore area Euro ha rappresentato una evidente ancora di salvezza.
In seconda posizione troviamo analogamente il franco svizzero, anch’esso apprezzatosi vistosamente nell’ultimo anno. Notoriamente entrambe le valute sono spesso stati investimenti difensivi.
In terza posizione troviamo il primo reale investimento obbligazionario. Si tratta del pacchetto di titoli di stato americani, in dollari, con scadenza tra i 3 e i 7 anni. La performance è modesta rispetto alla performance dei dollari. Questo significa che la differenza tra 15,96 % e 3,82 % è la quota di perdita del prezzo dei titoli conseguente al rialzo dei tassi.
Potete fare i conti anche da soli. Al quinto posto, con un +1,28 %, troviamo il pacchetto che investe nel decennale americano. Per conferma di avere capito facciamo un giochino e prendiamo la performance del titolo Usa a 10 anni in base all’infografica “US 10 – Year Treasury Bond”. Si tratta di un meno 14,6 %. Sappiamo che nella tabella dei miei preferiti positivi il comparto Paribas USD Money Market I R ha realizzato una performance di + 15.96 % da inizio anno, che presumiamo sia largo circa quella del dollaro.
Prendiamo il nostro strumento preferito per investire sul titolo di stato americano decennale, Vanguard USD Trs Bd ETF USD Acc EUR con performance del 1,28 % da inizio anno. Sottraiamo questa performance a quella del dollaro (ovvero 15,96 % – 1,28 %) e otteniamo 14,68 % di performance negativa determinato dai titoli di stato americani a 10 anni).
Non vi ricorda nulla? Certo: vi ricorda il 14,68 % di prima!
Quindi quest’anno non c’è stato investimento nella sicurezza, ovvero nell’obbligazionario. L’unica forma di protezione è stata fino ad oggi il dollaro quale elemento di diversificazione del nostro portafoglio, mentre la gran parte delle grandi case d’investimento ipotizzavano fin dal gennaio 2021 un percorso addirittura opposto, un rafforzamento più o memo importante dell’euro.
Nella successiva infografica troviamo la rappresentazione dei rendimenti dei titoli obbligazionari governativi per le diverse scadenze rappresentate in rosso per l’anno scorso e in blu per quest’anno.
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Come potrete notare i tassi nel 2022 (colonne azzurre) sono saliti a livelli ben più alti rispetto al 2021 (colonna rossa). Questo innalzamento è però avvenuto in maniera molto più intensa per le scadenze brevi (quelle più a sinistra) rispetto a quelle più lunghe (quelle a destra dell’immagine).
Cosa significa?
Come sappiamo i mercati di aspettative e le attese degli operatori sono quelle che depongono a un’inflazione crescente solo per un periodo limitato (qualche trimestre?) ma che poi nel medio periodo torni a scendere a dispetto di tutto quello che leggiamo quotidianamente.
Significa inoltre che i tassi nel breve – nell’esempio fino a un anno – salgano, ma poi tornino a scendere. Ma ormai sappiamo per tutto quello che abbiamo visto sin qui che se i tassi dovessero scendere tra un anno, tutto il valore del comparto obbligazionario tornerà a salirà per lo stesso meccanismo per cui oggi è sceso. Dovremmo leggere all’inverso la prima infografica del Il Sole 24 Ore.
Charlie Bilello, analista americano che da queste pagine ringrazio con affetto, ci rappresenta anche questa aspettativa ed è come se ci dicesse o provasse a dirci per quanto tempo dovremo soffrire. Da questa infografica relativa alle attese del mercato in base al valore dei future sui Fed funds, il ribasso dei tassi dovrebbe iniziare dal marzo 2023 ovvero prestissimo, per un investitore di lungo periodo.
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Di questo troviamo conferma anche nelle aspettative di inflazione, rappresentate nel grafico sottostante, che sono già mutate e riflettono già oggi l’inversione del trend dell’inflazione a cui necessariamente dovrà seguire l’inversione dei tassi.
I più esperti a questo punto diranno: di solito quando crolla il mercato obbligazionario arriva il denaro in borsa e viceversa.
Per la verità soprattutto viceversa. Si chiama “fly to quality” dove per quality si intende la sicurezza o la qualità meno rischiosa dell’investimento, normalmente in titoli di stato.
Non è infatti psicologicamente conseguenziale che i crolli obbligazionari portino afflusso di denaro sui listini azionari. Anzi il passaggio più scontato è verso la liquidità. Tutti sappiamo che detenere liquidità sul conto corrente in fasi inflattive significa perdere soldi, per sempre, con certezza.
In queste fasi chiaramente chiunque potrebbe dire e pensare che detenere il cash sul conto sia meglio che perdere denaro sui mercati finanziari. Il ragionamento in parte è certamente corretto ma in questo luogo comune si dà poi per scontato che chi è stato abbastanza bravo o fortunato da lasciare solo soldi liquidi sul conto, saprà poi anche decidere quando impiegarli sia sull’azionario sia sull’obbligazionario.
La storia invece ci dice che quell’investitore, mediamente, perderà all’inizio sì solo il valore reale del suo investimento in liquidità, ma poi entrerà sui mercati solo dopo, anzi solo molto molto tempo dopo, spesso non solo quando il mercato si sarà assestato e ripreso ma addirittura sui successivi massimi di periodo, sempre in attesa di un nuovo minimo che non arriverà più.
Dopo 30 anni di lavoro ed esperienza posso avere solo poche certezze e queste la più importante è che nessuno sa cosa succederà sui mercati, o per lo meno non lo sa con continuità. Se lo ha previsto una volta, questo evento non è ripetibile con costanza nel tempo. Non lo sa il miglior gestore, non lo sa il miglior consulente né tanto meno l’addetto della banca per quanto tutti siano animati dai migliori intenti. Non lo sa nessuno. Investire non è un evento e tanto meno è un fatto di timing o di scelta di un singolo titolo o di un singolo fondo Investire è un processo, poggiato sulla diversificazione, nonché sul ritorno sulla media del valore della singola attività finanziaria, cercando di contenere i recovery period e i drawdown, nell’ambito del proprio personale profilo di rischio.
Se dopo i mercati obbligazionari torniamo al nostro racconto, vediamo cosa è successo alla borsa americana grande protagonista dei mercati degli ultimi 20 anni.
Come già affermati l’investitore americano è noto per costruire quasi sempre un portafoglio bilanciato tra investimenti azionari e obbligazionari. La formula classica. Quella più seguita è 60 % di azioni e 40 % di obbligazioni. Quindi con una componente azionaria significativa.
Come è stato per la borsa americana questo inizio anno rispetto al passato? La tabella ci dice che nei primi 182 giorni di mercato aperto quello attuale è per lo S500 il quinto peggior anno di sempre.
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Per il Nasdaq, l’indice tecnologico, i dati sono ancora peggiori.
Conclusioni
I mercati vivono periodicamente delle fasi molto complesse, difficili e repentine nei loro punti di svolta. Ogni volta che ci volgiamo all’indietro e osserviamo quanto già capitato ci troviamo sempre di fronte alla stessa matrice:

L’eccezionalità di questa fase è certamente ulteriormente complicata dal contemporaneo calo sia dei mercati obbligazionari che di quelli azionari.
Facendo riferimento al nostro grafico non possiamo essere simultaneamente di fronte a due scenari economici opposti, quello della crescita bassa e inferiore alle attese e quello della crescita alta superiore alle attese.
È invece possibile che si sia di fronte solo ad uno di questi, ovvero quello più negativo per quanto riguarda la crescita. Le banche centrali con il loro operato probabilmente riusciranno a contenere la spinta dell’inflazione ma con gravi conseguenze su famiglie e imprese. Successivamente quindi non potranno che ripristinare l’unica modalità che in queste ultime decadi ha prodotto risultati: abbassare i tassi d’interesse e immettere liquidità nel sistema.
L’incertezza e la vocazione al breve termine creano dunque un’importante opportunità di lungo periodo per l’investitore attento e prudente; il mercato obbligazionario.
Non si tratta di fare gli indovini perché nessuno conosce il punto di arrivo per il rialzo dei rendimenti/ribasso dei prezzi dei titoli, si tratta invece di rafforzare il più possibile tutte quelle azioni di ribilanciamento delle singole asset class tipiche dell’investitore di processo pianificato. Non sto parlando di ore o di giorni o di settimane, sto presentando un metodo di buon senso basato su questi quattro quadranti per allocare da oggi (e non tutta oggi) quella liquidità che i dati ci dicono giacere sui conti correnti senza obiettivo, senza scopo e senza futuro, frustata dall’inflazione.
Una corretta analisi dei rischi con l’identificazione delle possibili strategie di copertura tramite idonei strumenti assicurativi consentirebbe fin da subito di liberarne la gran parte.
Le assicurazioni servono a quello, a spendere poco in molti per tutelare il patrimonio dai danni molto ingenti che capitano raramente e che sono poco frequenti, ma spesso ci portano a tenere di riserva la liquidità in eccesso.
Parte dunque a mio avviso una fase che si andrà a dipanare lungo il corso dei prossimi mesi. Una fase di semina importante per il nostro portafoglio finanziario e il nostro futuro personale.
N.D.R. Il titolo è liberamente ispirato ad una citazione di Lenin che la pronuncio in relazione alla rivoluzione russa.
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