L’anno scorso la popolazione cinese è diminuita per la prima volta in 60 anni, una svolta che può essere definita storica e, presumibilmente, l’inizio di un declino. È stato il primo calo dal 1961, con una contrazione di 850 mila persone su una popolazione di oltre 1,4 miliardi. Nel 2022 il tasso di natalità cinese è stato di appena 6,77 nascite per 1.000 abitanti, in discesa rispetto alle 7,52 del 2021 e segnando il livello più basso mai registrato. È possibile che questo fattore, insieme ai decessi da ascrivere alla pandemia di Covid-19, abbia giocato un ruolo nella contrazione in termini assoluti della popolazione, ma la tendenza era già stata prevista da tempo.
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L’Onu ha stimato per la Cina una riduzione di 109 milioni entro il 2050, più del triplo rispetto alla precedente previsione del 2019. Il fenomeno avrà, molto probabilmente, pesanti ricadute economiche e sociali e richiederà un adeguamento delle politiche del governo: preoccupa il fatto che la popolazione cinese possa invecchiare prima di avere raggiunto un determinato grado di ricchezza.
La politica del figlio unico
La politica del figlio unico venne concepita nel 1980 come misura temporanea, con la finalità di frenare l’incremento demografico della Cina e facilitare la crescita nell’ambito di un’economia pianificata. Vennero così stabiliti target che prevedevano 1,27 miliardi di abitanti nel 2000 e il raggiungimento della crescita zero per lo stesso anno. Si trattava di una misura che aveva l’obiettivo di controllare le dimensioni della famiglia tipo. A questo proposito, per garantirne l’implementazione, venne creata una commissione di stato.
Nel 1982, con la nuova costituzione, la pianificazione familiare e la necessità di limitare l’aumento della popolazione diventarono elementi costitutivi del sistema sociale cinese, come recitano gli articoli 25 («Lo stato promuove la pianificazione familiare in modo che la crescita della popolazione possa fare andare bene i piani di sviluppo economico e sociale») e 49 («Il matrimonio, la famiglia, la madre e il bambino sono protetti dallo stato. Entrambi i coniugi hanno il dovere di praticare la pianificazione familiare»). Il boom economico che la Cina conobbe negli anni successivi, però, ebbe poco a che vedere con l’adozione di questa misura. Furono le riforme economiche, che diminuirono gradualmente il controllo dello stato sull’attività economica, a dare una grande spinta al paese.
Ed è proprio grazie a ciò che milioni di cinesi, non solo uscirono dalla condizione di povertà, ma cominciarono a nutrire nuove aspettative nei confronti della loro vita, che andavano dall’attribuire importanza all’educazione e al perseguire obiettivi economici.
Già nel 1991, a pochi anni dall’inizio della politica del figlio unico, il tasso di natalità cinese era sceso al di sotto del livello di sostituzione, cioè ogni donna aveva un numero di figli inferiore a quello necessario per mantenere le dimensioni della popolazione da una generazione all’altra. Ma l’aumento che venne registrato negli anni a seguire non è da ascrivere al fallimento della politica del figlio unico, bensì a un effetto noto come “momentum demografico”, dove, nonostante il calo della fertilità, la popolazione cresce per la sua composizione in base all’età. Nel 2010, ad esempio, i cinesi erano relativamente giovani, con un’età media di 35 anni, rispetto ai 44,3 della Germania, mentre oggi è 38,4. Allo stesso tempo, le persone hanno vissuto più a lungo: nel 2021, l’aspettativa di vita del paese ha superato quella degli Usa. Quindi, anche se i bambini per donna erano diminuiti drasticamente, c’erano ancora più neonati che persone morte.
La politica del figlio unico è stata oggetto di ampi studi da parte del mondo accademico cinese, che ha lanciato molti segnali al mondo politico sulle conseguenze della rigida pianificazione familiare. Questi appelli, insieme ad altri provenienti da diversi settori della società, hanno aperto un dibattito politico che ha portato, nel 2015, all’abolizione della contestata misura.
Inversione di tendenza
C’è chi sostiene che questa inversione di tendenza sia avvenuta con almeno un decennio di ritardo rispetto al previsto, poiché i governi che si sono succeduti hanno fatto del controllo della crescita della popolazione un elemento di legittimità della loro politica, affiancati da una burocrazia che è aumentata sempre più nel corso dell’applicazione di questa misura. Dall’altro lato, l’opinione pubblica è stata profondamente indottrinata sulla paura di una crescita demografica incontrollata e che quest’ultima potesse essere l’origine di una serie di problemi sociali ed economici.
È complesso stimare quali siano stati i danni causati dalla politica del figlio unico che ha avuto un limitato effetto sulla crescita demografica, ma ha creato decine di milioni di famiglie con un solo figlio, con ripercussioni importanti a livello sociale, visto il graduale invecchiamento della popolazione. Inoltre, la pianificazione familiare ha portato con sé campagne di sterilizzazione e aborti involontari, che hanno probabilmente lasciato ferite difficili da rimarginare. Detto ciò, l’invecchiamento della popolazione pone una serie di sfide a tutto il sistema economico e sociale cinese e, in primis, alla stessa classe politica.
La necessità di cambiare il modello di crescita è già stata riconosciuta dalla leadership cinese: il Dragone non può essere più considerato la manifattura ad alta intensità di lavoro del mondo come era avvenuto nel passato. Sono infatti emersi altri paesi che offrono profili concorrenziali molto più interessanti della Cina. Questa svolta storica nell’andamento demografico della Cina, come evidenzia Wang Feng, professore di sociologia all’Università della California, serve come ulteriore campanello d’allarme per spostare più rapidamente il modello del paese verso un’economia post-manifatturiera e post-industriale. Nel breve termine, ci saranno meno lavoratori in grado di alimentare l’economia e stimolare un’ulteriore crescita economica; sul lungo periodo ci sarà bisogno di un sostegno potenzialmente costoso. Wang Feng sostiene che l’aumento della quota di anziani nella popolazione non è solo un problema economico, ma anche di rimodellamento della società, poiché l’elevato numero di genitori attempati, con un solo figlio su cui contare per il sostegno, imporrà probabilmente gravi limitazioni, sia da un punto di vista finanziario, sia di sostegno emotivo.
Un sistema di welfare
Il governo cinese avrà la responsabilità di fornire assistenza sanitaria e pensioni adeguate, creando così un sistema di welfare e di rete di sicurezza sociale che sia appropriato. Infatti, nonostante si sia investito, negli ultimi 20 anni, in istruzione e strutture sanitarie, oltre a estendere la copertura pensionistica universale, occorrono ancora molti sforzi per superare le inefficienze presenti nel sistema ed è necessario apportare diverse riforme. Per fare fronte al fenomeno, si sta anche pensando di innalzare l’età pensionabile, pur con forti resistenze da parte della popolazione. Ciononostante, per fare un esempio e comprendere la complessità del contesto, non ci sono segnali che vanno nella stessa direzione sulla discriminazione in base all’età sul posto di lavoro. Si tratta del cosiddetto ageismo, che l’Organizzazione mondiale della sanità definisce come l’insieme di stereotipi (il modo in cui pensiamo), pregiudizi (il modo in cui ci sentiamo) e discriminazione (il modo in cui agiamo) nei confronti degli altri o di se stessi sulla base dell’età.
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Molti datori di lavoro in Cina, compreso il governo, esercitano regolarmente pratiche discriminatorie basate sull’età nell’impiego, soprattutto nelle assunzioni, e tutto ciò inizia già a 35 anni. Si tratta di una modalità che è diffusa, in particolare, nel settore tecnologico e, in base ad alcune inchieste, sembra in peggioramento nel 2022. In pratica, ciò che avviene è che il datore di lavoro considera più produttivo il personale più giovane, non considerando così l’importanza dell’esperienza accumulata. Fenomeni di discriminazione avvengono anche nei confronti della mano d’opera femminile. Secondo un’indagine condotta dal Social Investigation Center del China Youth Daily, condotta nel 2020, l’86% dei circa 2 mila colletti bianchi intervistati ritiene che le opportunità di carriera diminuiscano drasticamente per le donne che lavorano dopo i 30 anni. Molte di loro in età fertile abbandonano la forza lavoro a metà carriera, per poi trovare difficoltà a rientrare nel mercato.
Il modo in cui il governo cinese risponderà alle sfide poste da questo drammatico cambiamento demografico sarà fondamentale. Infatti, non si tratta semplicemente di avere perso il primato come paese più popoloso al mondo, bensì di riuscire a realizzare la tanto declamata “common prosperity”, il «requisito fondamentale del socialismo, necessaria per bilanciare la crescita e la stabilità finanziaria», come ha affermato Xi Jinping in occasione del Comitato centrale per gli Affari economici e finanziari del Partito comunista cinese il 17 agosto 2021. Se la crisi demografica potrebbe frenare l’economia cinese e, insieme a essa, anche le sue ambizioni globali, creando qualche problema alla leadership del partito, è anche forse giunto il momento di pensare effettivamente a un modello di crescita diverso. Durante la prima sessione del 14° National People Congress, ancora Xi Jinping ha dichiarato: «Dobbiamo portare avanti un lavoro migliore per fare sì che i frutti della modernizzazione vadano a beneficio di tutti i nostri cittadini in modo equo, e fare progressi più significativi e sostanziali nella promozione della prosperità comune per tutti».
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Tuttavia, compiere un’inversione completa sulla politica del figlio unico non è di certo la soluzione, tanto meno chiedere alle donne di farsene carico.
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