Cina, tanti Jack Ma di Pinuccia Parini

Jack Ma, uno degli uomini più ricchi della Cina e maggiore azionista di Alibaba, è riapparso in un video dopo tre mesi di assenza dalla vita pubblica. Le cronache raccontano che sia stato convocato a novembre dalle autorità cinesi, subito prima dell’annuncio dell’improvvisa sospensione della quotazione di Ant Group.  Che cosa sia successo a Ma non è dato saperlo, anche se sembra che, per il momento, non debba affrontare alcun procedimento legale e che il suo nome non si aggiunga alla lista dei tycoon locali che, negli ultimi 10 anni, dopo essersi scontrati con il Partito comunista cinese (Pcc), sono o temporaneamente scomparsi o finiti in carcere o hanno visto la propria ricchezza sensibilmente ridimensionata. 

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Il prezzo di essere milionari

Già nel 2012 si rilevava che essere classificato tra le persone più ricche del paese in Cina creasse qualche problema: avere il proprio nome menzionato all’interno di queste liste, note come bai fu bang, su Forbes e il suo equivalente cinese Hurun, equivaleva a comparire su una lista nera chiamata sha zhu bang: “kill pigs list” (rif.: The Atlantic, 23 gennaio 2013).

La ricchezza complessiva generata nella Repubblica Popolare aveva visto il numero dei suoi miliardari crescere in modo consistente ma, contestualmente, secondo uno studio redatto da Xianjie He (Shanghai university of finance and economics-school of accountancy), Oliver M. Rui (China Europe international business school ) e Tusheng Xiao(Central university of finance and economics)  intitolato “The price of being a billionaire in China: evidence based on hurun rich list”, circa il 17% di coloro  che alimentavano la classifica delle persone più ricche del paese aveva finito per avere problemi con la giustizia: trascinati in tribunale o incarcerati o addirittura giustiziati. 

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Anche coloro che non avevano avuto noie con la legge avevano visto la loro ricchezza ridursi, talora in modo significativo. Nel lavoro menzionato, gli autori hanno studiato l’influenza della cultura sul comportamento economico e analizzato la reazione degli investitori, del governo e degli imprenditori alla pubblicazione della Hurun rich list per studiare l’impatto di egualitarismo all’interno della cultura confuciana cinese.

La scoperta è stata che gli investitori avevano reagito negativamente nei confronti delle società controllate da personaggi noti e quotate e il loro valore di mercato era diminuito in modo significativo nei tre anni successivi. Il governo era apparso riluttante ad assistere questi imprenditori e le loro aziende, addirittura monitorandole più da vicino. Inoltre, proprietari di imprese in borsa risultavano più a rischio di essere indagati, arrestati e accusati di altri colleghi. 

Confucianesimo&socialismo

Le conclusioni sono state che i cinesi sono fortemente influenzati da 2 mila anni di confucianesimo e dal più recente pensiero socialista: cultura, costumi sociali, religione sono fattori esplicativi che non devono essere ignorati nell’analisi del comportamento economico delle imprese. La cultura, in particolare, è l’elemento utile a descrivere fenomeni che non trovano spiegazione nelle tradizionali teorie giuridiche e finanziarie: indica così ai policy maker quanto sia necessario tenerla in debita considerazione.

In particolare, in quella cinese c’è un modello di comportamento, soprattutto nella vita lavorativa, che è espresso dal termine guanxi, parola che potrebbe essere tradotta come “relazioni” o “connessioni”, che riveste «un ruolo fondamentale nella dottrina confuciana che vede l’individuo come parte di una comunità e di un insieme di relazioni familiari, gerarchiche e amichevoli. In particolare, vi è un focus su taciti impegni contraccambiati, reciprocità e fiducia».

Molti leader di aziende affermano che è impossibile avere successo senza di esso. Le relazioni sono molto importanti in Cina, perché guanxi fa riferimento al rapporto di fiducia e all’intensità del legame che si crea tra persone, che può comportare obblighi morali e scambio di favori, a volte percepito erroneamente dagli occidentali come non etico e legato a pratiche di corruzione.

Creare una relazione, in Cina, è un processo che richiede un approccio di lungo periodo, guidato dalla fiducia che si sedimenta gradualmente e nutre il rapporto tra le persone, dove i legami dei singoli sono di vitale importanza, perché, più sono di alto livello, più è facile che aprano le porte a opportunità di business che possono portare al successo.  Al confucianesimo va poi aggiunto il pensiero socialista, frutto della rivoluzione che ha visto nel 1949 la vittoria dell’esercito di liberazione guidato da Mao Zedong. 

Domande fondamentali

Ma come mai in Cina si è assistito così frequentemente all’ascesa e poi al crollo di importanti imprenditori o uomini d’affari? è da ascrivere alla struttura del sistema, un capitalismo senza democrazia che ha bisogno di preservare la sua connotazione politica e ideologica? Oppure si è di fronte a un processo così forte di crescita economica da avere generato diverse anomalie al suo interno? O infine è la necessità di porre redini a settori che sono andati fuori controllo?

Probabilmente tutte le citate motivazioni possono fornire una chiave di lettura sulla presenza incombente del partito sulle attività del Paese. La pratica del guanxi può spiegare, in alcuni casi, che l’accumulo di grandi ricchezze è avvenuto senza prestare grande attenzione alle regole e al rispetto della legge. Ma sarebbe una lettura univoca di una pratica che non è sinonimo di corruzione. La presenza di quest’ultima in Cina è stata rilevata come un fattore cogente da affrontare, tanto che l’attuale presidente ha lanciato una durissima guerra contro di essa.

Nel 2012 Xi Jinping lanciò una campagna di alto profilo contro funzionari di partito, governo, militari e società di proprietà statale sospettati di corruzione. «Dobbiamo sostenere la lotta di tigri e mosche allo stesso tempo, indagando risolutamente sui casi di violazione della legge di importanti funzionari e anche risolvendo seriamente le tendenze malsane e i problemi di corruzione che si verificano intorno alle persone», aveva dichiarato all’agenzia di stampa Xinhua. 

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Una priorità politica

Perché il presidente Xi ha fatto della lotta alla corruzione una delle priorità della sua politica?

C’è stata probabilmente la necessità di ripristinare la credibilità del Pcc e colmare le differenze che erano emerse tra governati e governanti, in un paese dove la forte crescita economica aveva creato grandi sacche di ricchezza. La corruzione non solo aveva generato diseguaglianze, provocato malcontento e inefficienze, ma aveva reso la stessa formazione politica più vulnerabile, intaccando la moralità dei suoi membri, e aveva raggiunto un livello di proliferazione che rischiava di mettere in serio rischio politico non solo la nuova leadership, ma anche la stessa crescita del paese. Alcuni funzionari avevano raggiunto un ruolo tale da minacciare l’organizzazione del Partito comunista, creando veri e propri potentati. 

Proprio per queste ragioni, per riaffermare l’autorità del partito, Xi Jinping decise di combattere qualsiasi forma di corruzione al suo interno, sia di grandi, sia di piccoli funzionari e membri della macchina pubblica. Rimane il dubbio che, attraverso questa operazione di pulizia, il presidente abbia operato anche un’epurazione dei membri che più gli erano ostili e si sia in qualche modo conquistato il consenso necessario a completare i suoi due mandati senza alcuna forma di ostruzionismo. 

Ciononostante, la campagna di Xi non ha riguardato solo le figure di funzionari pubblici ma, inevitabilmente, si è allargata anche agli imprenditori privati, accusati di avere corrotto funzionari dell’apparato statale o di partito per ottenerne i favori. La lista è lunga e viene alimentata ogni anno. Nel 2015, ad esempio, Bloomberg riportava che gli alti dirigenti di ben 34 società quotate erano scomparsi, tra cui il presidente di Founder Securities, l’amministratore delegato di Fosun Group e quello di China Aircraft Leasing group, il presidente di China Minsheng Bank, quello di Guotai Junan International e altri ancora.

Nel 2018 Wu Xiaohui, a capo della società Anbang Insurance, venne condannato a 18 anni di carcere e comparve in televisione ad ammettere di avere raccolto in modo fraudolento miliardi di dollari dagli investitori. Le misure contro di lui prevedevano anche la confisca di 10,5 miliardi di yuan (1,7 miliardi di dollari) e il controllo della società per un anno da parte dei regolatori cinesi, preoccupati che fosse in grado di soddisfare i suoi obblighi finanziari a lungo termine. 

Un 2019 terribile per i ricchi

Il 2019 sarà invece ricordato come uno dei più difficili per i ricchi cinesi, con una lunga lista di imprenditori caduti in disgrazia tra insolvenze sul debito, arresti e suicidi.  Altri dirigenti di numerose società occidentali, tra cui GlaxoSmithKline, Rio Tinto e Crown Casinos in Australia, sono stati arrestati, negli anni, nella Cina continentale con accuse discutibili che forse avevano solo la finalità di creare pressione sulle loro società e contestualmente servire da monito per altre che operavano negli stessi settori.  Anche il 2020 non è stato scevro dalle stesse dinamiche, con l’arresto di  Ren Zhiqiang, miliardario cinese ex-imprenditore del settore immobiliare, scomparso dopo avere criticato la risposta di Xi Jinping alla pandemia e alla fine condannato a 18 anni di carcere con l’accusa di corruzione.

In questo contesto, la vera domanda è capire sino a che punto la lotta alla corruzione sia servita e serva tuttora non solo a combattere il fenomeno, elemento destabilizzante, sia da un punto di vista sociale, sia economico, ma anche a eliminare personaggi scomodi che con la loro ricchezza e la loro visibilità hanno acquisito un ruolo che potrebbe mettere in discussione l’intero sistema. Il quesito è molto attuale, soprattutto se si pensa che, nonostante una diffusa errata percezione, l’impresa privata in Cina pesa più del 60% sul Pil, è responsabile del 70% dell’innovazione, dell’80% dell’occupazione urbana e fornisce il 90% dei nuovi posti di lavoro. La ricchezza privata è anche responsabile del 70% degli investimenti e del 90% delle esportazioni. 

Il problema delle critiche

Se da un lato imprenditori come Jack Ma contribuiscono all’innovazione e alla crescita del Paese, dall’altro costituiscono un problema quando criticano l’establishment o con il loro successo in qualche modo lo offuscano. Forse Ma era scomparso dalla scena in attesa che il regolatore decidesse sul futuro di Ant Group (la Banca centrale cinese ha proposto nuove regole anti-monopolio che rischiano di danneggiarla) e della stessa controllante, Alibaba, in un contesto in cui si avverte sempre più la pressione delle autorità nei confronti dei giganti della tecnologia e di internet. Forse ha ragione lo stesso Ma quando ha sostenuto che il governo cinese spesso sacrifica l’innovazione in nome della stabilità, in una nazione che ha sempre avuto nella gradualità il mantra di ogni cambiamento. 

O forse ha ragione il governo quando tenta di regolamentare un settore, quello dei giganti della tecnologia, che rischia di creare veri e propri monopoli che danneggiano, in ultima istanza, i consumatori e pongono a rischio anche il sistema paese. Rimane però una riflessione di fondo: come riuscirà il socialismo con caratteristiche cinesi a trasformarsi ed entrare nella “nuova era”, evocata da Xi Jinping,  e permettere che il “sogno cinese” si realizzi mantenendo vivo il motore dell’economia che la guida, l’industria privata?

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