Cina, un congresso per l’apoteosi di Xi di Pinuccia Parini

Mancano pochi giorni al XX congresso del Pcc, l’assemblea del Partito comunista cinese e il suo più importante organo. Ogni cinque anni, in questa occasione, viene rinnovato il Comitato centrale, ovvero la più alta autorità del partito, che a sua volta nomina il Politburo. Quando il congresso nazionale non è in sessione, il Comitato centrale rappresenta l’organo più potente, mentre il Politburo è l’organismo che supervisiona e controlla il Pcc. Il suo potere risiede in gran parte nel fatto che, generalmente, i suoi componenti occupano anche alte posizioni statali all’interno della Repubblica Popolare. Esso è composto da 25 membri che sono considerati i politici con maggiore influenza nel partito. Il Politburo, a sua volta, elegge il Comitato permanente dell’Ufficio politico cinese, che potrebbe essere considerato l’espressione massima dell’élite politica. Xi Jinping è, attualmente, segretario generale del Pcc, nonché presidente della Repubblica Popolare e della Commissione militare.

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Un congresso storico

Durante il congresso, che inizierà il prossimo 16 ottobre, è praticamente certa la riconferma del presidente in carica, che nel 2018 era riuscito a emendare la costituzione sul limite del secondo mandato. L’appuntamento di quest’anno è cruciale. Oltre a indicare le linee politiche del paese per i prossimi cinque anni, segnerà ufficialmente anche un cambio di passo, soprattutto perché la riconferma di Xi Jinping potrebbe fortemente caratterizzare la leadership politica cinese nei prossimi anni. A fine settembre, i quasi 2.300 delegati sono stati eletti in conformità con la costituzione del partito e in linea con il pensiero di Xi. Le cronache raccontano di preparativi di un congresso che è stato gradualmente accompagnato dall’epurazione di funzionari considerati invisi alla nomenclatura: alcuni di questi sono stati condannati alla pena capitale, tra i quali Sun Lijun, ex viceministro della pubblica sicurezza, Fu Zhenghua, ex ministro della giustizia e uno dei più potenti capi della polizia cinese.  

A onore di cronaca, va però detto che durante i 10 anni di leadership di Xi Jinping è stata condotta un’intensa e severa operazione anti corruzione, che ha visto la condanna di oltre un milione di funzionari. Tuttavia, proprio due anni fa, insieme al lancio di una nuova campagna, si è assistito anche a un rinnovo dei vari organi di sicurezza, con l’introduzione di alcuni cambiamenti strutturali, probabilmente con la finalità di arrivare all’appuntamento del XX congresso con il leader cinese saldamente in carica. In altre parole, l’assegnazione del terzo mandato all’attuale presidente è stata preparata con meticolosità e architettata in modo da non creare sorprese.

Una preparazione meticolosa

Ma come sarà configurato il cuore centrale del partito? Un contributo, in questo senso, viene offerto da un’analisi di Damien Ma, managing director e co- fondatore di MacroPolo, il think tank del Paulson.

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Da essa emerge che Xi dovrebbe essersi assicurato una super-maggioranza nel prossimo Politburo tale da assicurargli il terzo mandato. Viene stimato che almeno l’80% del nuovo XX Comitato centrale (Cc) sarà composto dalla generazione di politici post-sessantottini. «Si tratta di un gruppo che ha evitato in gran parte il peggio della Rivoluzione culturale ed è cresciuto durante i primi giorni dell’era della Riforma e dell’Apertura». 

Chi sale

Si presume che la rete di Xi costituirà circa il 90% del nuovo Politburo. Tra le persone che hanno visto il ruolo politico accresciuto, Damien Ma indica Wang Xiaohong (65 anni), parte della base politica di Xi nel Fujian, come nuovo ministro della pubblica sicurezza. Questa promozione rende Wang un probabile successore di Guo Shengkun, attuale segretario del Cc per gli affari politici e legali. «Ciò significa che Xi avrà un membro del Politburo e uno stretto alleato nel controllo dell’apparato di pubblica sicurezza, cosa che non aveva avuto negli ultimi 10 anni».

Un’altra importante promozione è andata a Li Shulei (58 anni), considerato uno degli storici e teorici del partito preferiti da Xi, che probabilmente succederà a Huang Kunming (66) alla guida della propaganda. Ciò fa sì che Li possa essere elevato al Politburo, aprendosi la strada verso il Comitato permanente dell’Ufficio politico cinese nel 2027. Xi non può però affidarsi semplicemente ai suoi stretti alleati, poiché molti di loro andranno in pensione quest’anno. Egli dovrà quindi estendere la sua cerchia ai secondi legami, cioè a coloro che sono estensione dei suoi alleati più stretti. Se l’età e la rete di contatti possono essere i criteri più importanti per le promozioni, l’esperienza professionale conta ancora. Un attento esame della leadership provinciale rivela che, sotto la guida di Xi, i tecnocrati, essenzialmente quelli con una formazione Stem, hanno avuto successo nel processo di transizione politica. Essi hanno formato una loro coorte tra i leader provinciali e ministeriali. Si dà il caso che le loro competenze siano in linea con le priorità di Xi in materia di progresso tecnologico. La percentuale di leader provinciali tecnocrati (segretari di partito e governatori) è più che raddoppiata dal 2017, passando dal 35% (11) al 74% (23). Nell’ultimo anno queste figure sono state promosse anche a capo dei ministeri e, a differenza del XIX, il nuovo Politburo vedrà probabilmente una loro maggiore presenza.

Che cosa attendersi?

I giochi sembrano quindi fatti, ma l’attesa dell’opinione pubblica è centrata, da un lato sui messaggi che il partito darà per caratterizzare i prossimi cinque anni di governo, dall’altro su come Xi Jinping contraddistinguerà il suo terzo mandato. In merito a questo secondo aspetto, non si tratta di un tema legato alla pura curiosità intellettuale, bensì alla necessità di comprendere quali saranno i valori guida della futura leadership e i suoi obiettivi. Per questa ragione, sarà importante un’attenta analisi del linguaggio utilizzato per capire come si configurerà il ruolo del presidente della Repubblica Popolare. La situazione del paese, che fa da sfondo al XX Congresso, presenta diverse criticità. Il 2022, auspicato come anno di stabilità nel corso della Central economic work conference del dicembre 2021, non è stato tale, perlomeno sino a oggi.

La crescita economica si sta rivelando inferiore alle attese: le recenti previsioni della Banca Mondiale indicano che la politica di tolleranza zero al Covid e la crisi del mercato immobiliare hanno portato lo sviluppo della Cina a un livello inferiore rispetto a quello della regione Asia-Pacifico per la prima volta in più di 30 anni. L’istituto ha dichiarato che le prospettive per l’Asia orientale e la regione del Pacifico sono state declassate dal 5% al 3,2%, individuando proprio nelle difficoltà economiche del Dragone (86% della produzione economica della regione) la causa principale della revisione.

Nello specifico, le attese di crescita per il Pil della Cina nel 2022 sono al 2,8%, mentre per il resto della regione (23 paesi) si prevede un incremento medio del 5,3%, più che doppio rispetto al 2,6% del 2021. È difficile pensare che al congresso venga annunciato un cambiamento repentino della politica di tolleranza zero nei confronti del Covid, ma è possibile che una decisione in merito non debba essere troppo procrastinata, visto gli impatti sul tessuto imprenditoriale e sulla propensione al consumo della popolazione cinese. Se ciò dovesse succedere, potremmo assistere a un cambiamento di traiettoria dell’economia cinese? Nel breve periodo è probabile che ciò non avvenga, nel lungo è necessario capire se il modello di crescita proposto da Xi sia ancora valido.

La crisi immobiliare

Anche la crisi del settore immobiliare ha avuto ricadute economiche consistenti sul tessuto produttivo (circa il 30% dell’output) e, presumibilmente, l’avrà anche sulle finanze dei governi locali, visto che la vendita di terreni costituisce una voce importante delle loro entrate. Un’analisi condotta da Jeremy Mark, senior fellow dell’Atlantic Council, evidenzia che, finora, i leader del partito sono apparsi esitanti a rispondere alla crisi con le potenti risorse finanziarie che il governo centrale ha a disposizione, procedendo invece attraverso una serie di salvataggi frammentari. Non è chiaro, però, se affronteranno la questione di petto al congresso, annunciato all’insegna della “prosperità comune”, lo slogan che ha guidato nell’ultimo decennio la politica di Xi. È stato sotto l’egida di questo motto che sono state giustificate politiche che vanno dal contenimento dell’«espansione disordinata del capitale» alla repressione dei titani dell’hi-tech cinese.

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Le difficoltà nel mercato immobiliare si ripercuotono anche all’ambito sociale. Il boicottaggio dei mutui ha visto vere e proprie proteste di proprietari che si sono rifiutati di pagare le rate dei finanziamenti loro concessi, a fronte dello stallo della costruzione del loro immobile. Nonostante la censura da parte dell’esecutivo sui media e le promesse dei governi locali di intervenire per alleviare la situazione, a metà settembre erano più di 340 le aree in costruzione colpite dai boicottaggi. Questi atti di disobbedienza civile stridono con gli slogan del partito e del suo sommo leader che, sul tema specifico, ha sempre affermato che le case sono fatte per viverci e non per speculare.

C’è poi la politica internazionale, con le continue frizioni tra Pechino e Washington in uno scenario generale molto critico. Ma non si tratta solo del rapporto bilaterale tra due potenze. La Cina, nel percepire come più complesso il rapporto con l’occidente, ha deciso di mitigare i rischi geoeconomici in particolare con la Belt and road initiative (Bri), per esercitare la propria influenza e attirare altri paesi nella propria orbita. In tale contesto vanno collocate la strategia della “dual circulation”, “Made in China 2025” e il decoupling del paese, che hanno la finalità di proteggere il più possibile il Dragone da shock esterni. Ma come rileva Tony Seich, director of the Ash Center for Democratic Governance and Innovation e Daewoo Professor of International Affairs, se ci sarà un disaccoppiamento, dovrà essere gestito, perché non è ugualmente applicabile a tutti gli ambiti.

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Approccio su due fronti

Per quanto riguarda, invece, la mitigazione del rischio geopolitico, Pechino ha adottato un approccio su due fronti: rafforzare le relazioni con i paesi che rifiutano il dominio degli Stati Uniti nel mondo e incrementare l’espansione dell’influenza della Cina nelle istituzioni internazionali. La volontà ultima è ridisegnare un nuovo ordine globale che rifletta gli interessi del paese e, sempre secondo Seich, Xi Jinping dispone di strumenti, potere e influenza che le precedenti generazioni di leader non potevano immaginare. Egli utilizza la politica del bastone e dalla carota: da un lato apre al commercio e agli investimenti, dall’altro minaccia, ad esempio con le rivendicazioni di sovranità nel Mar Cinese Meridionale e nello Stretto di Taiwan.

Infine, rimane il grande punto di domanda sull’ideologia che permea l’attuale leadership cinese e il modello cui fa riferimento, dove si amalgama il pensiero marxista con quello tradizionale cinese. E, anche in questo caso, non si tratta di mera speculazione intellettuale, bensì di investigare quella che sarà l’inclinazione della seconda potenza economica mondiale. L’unica cosa che appare quasi certa di questo congresso alle porte è che Xi Jinping si circonderà di suoi sostenitori e, da questo punto di vista, la sua leadership non solo non sarà messa in discussione, ma assumerà maggiore forza.

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