Come il Covid-19 può aiutarci a cambiare il nostro modello della Sanità Pubblica – di Filippo Donati

Con il piano nazionale per le liste di attesa approvato nel 2019 (PNGLA), l’ex ministro della salute Giulia Grillo aveva mosso la prima pietra per affrontare il vero punto di debolezza del SSN: le liste di attesa.

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L’Osservatore nazionale sulle liste di attesa ha il compito di supportare le Regioni e le Provincie Autonome nell’implementazione del piano PNGLA 2019-2021, tramite lo stanziamento di fondi straordinari da investire nelle infrastrutture tecnologiche e digitali per il miglioramento del SSN. C’è quindi uno strumento e una procedura che vigila e che monitorizza la situazione delle liste di attesa nel paese.

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L’emergenza Covid-19 e le liste di attesa

In una recente intervista la ex-Ministra della Salute Giulia Grillo, ha dichiarato “… Complice la pandemia, le attese per accedere alle prestazioni ambulatoriali programmabili sono oltre i limiti. Non va affatto bene: rallentare diagnosi e prevenzione non può mai essere giustificato, nemmeno da situazioni straordinarie come questa. Ho quindi chiesto al ministro Speranza con un’interpellanza che siano illustrate delle prestazioni ambulatoriali, le modalità e i tempi con i quali il ministero della Salute intende mettere a disposizione di tutti i cittadini i dati oggetto di monitoraggio del PNGLA e una relazione dell’Osservatorio nazionale sulle liste di attesa che riporti gli interventi effettuati dall’Osservatorio ed il rilevamento delle criticità, per singola Regione e Provincia Autonoma, rispetto all’implementazione del PNGLA

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L’allarma lanciato dai giornali

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La questione è stata ripresa sui maggiori quotidiani nazionali. Ad esempio Simona Ravizza sul Corriere della Sera del 27 giugno 2020, descrive una situazione impietosa. Il problema è duplice: gli esami a rischio e le liste di attesa: “ Sono a rischio 2,2 milioni di esami diagnostici (21,5%), 7,8 milioni di analisi di laboratori (54%), oltre un milione di prestazioni cardiologiche (30,6%), 549 mila visite chirurgiche (38%), 647 mila dermatologiche (40%), 248 mila endocrinologiche (31%), 124 mila gastroenterologiche (22%), 524 mila neurologiche (30%), 519.500 ortopediche (32%), 281.600 ginecologiche (20%), 301.500 otorinolaringoiatre (26%), 203 mila pneumologiche (22%), 168 mila urologiche (28%). Persino 161 mila controlli oncologici (20%). In totale possono saltare 18 milioni e mezzo di prestazioni su 61 milioni, ossia una su tre”.

Per le liste di attesa la situazione non è migliore. A causa delle nuove regole introdotte per contrastare l’effetto del Covid-19 i tempi di attesa possono aumentare anche di 80 giorni. L’allungamento dei tempi di attesa per una visita o un esame non è solo un problema organizzativo: a rimetterci potrebbe essere la salute di tante persone. È molto importante il tema della diagnostica specialmente per le patologie più gravi come ad esempio le malattie oncologiche.

I risultati preoccupanti di una recente ricerca – il CREMS

In un recente, anche se parziale, studio il Centro di Ricerca e Management in Sanità dell’Università Carlo Cattaneo, secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, ha mostrato che la durata della lista di attesa d’ora in avanti si allungherà a dismisura non risparmiando alcuna specialità. Il tutto, ovviamente, in assenza di misure straordinarie che il Governo e il Ministero della Salute dovessero adottare. Le risorse però ci sono, sono stati raccolti molti soldi con le donazioni al SSN, all protezione Civile, ali Ospedali durante l’emergenza Covid-19. Ma attenzione l’art. 99 del DL 18 marzo 2020 numero 18, il cosiddetto «Cura Italia», prevede che al termine dello stato di emergenza nazionale la rendicontazione sia pubblicata da ciascuna pubblica amministrazione sul proprio sito internet.

Inoltre ci sono i soldi del MES, che nel caso in cui lo stanziamento fosse approvato, dovrebbero essere utilizzati proprio per il sistema sanitario. In particolare, il vertice del Consiglio europeo del 23 aprile ha dato il via libera ad una serie di aiuti economici tra cui il “Pandemic crisis support”, un prestito erogato dal MES con una dotazione complessiva di circa 240 miliardi e la possibilità di mettere a disposizione aiuti pari al 2% del PIL. Nel caso dell’Italia la cifra sarebbe attorno ai 36 miliardi.

La linea di credito è pensata per finanziare le spese sanitarie evitando ai singoli paesi il ricorso al mercato, con la vendita di titoli di stato condizionata al rischio di pagare tassi d’interesse elevati, mentre quelli del MES sarebbero di gran lunga più contenuti.

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