Contrarian: inflazione e volatilità

Il mercato azionario americano raggiunge nuovi massimi. È un dato molto interessante anche perché apparentemente avviene in un contesto di grande consenso. Le stesse insidie rappresentate dall’incremento dell’inflazione non sembrano destare preoccupazioni. Nel breve assistiamo ad una ripresa degli indici azionari e contemporaneamente ad una discesa dei tassi americani, per quanto siano trascorsi troppi pochi giorni per poter valutarne pienamente il significato.

È proprio quando l’interesse e l’euforia aumentano che credo vada ospitata l’opinione di chi ritiene questo scenario effimero e di breve termine. Ho pensato allora di partire leggendo insieme a voi l’ultima newsletter di Maurizio Novelli che troverete poi il modo di scaricare integralmente. Maurizio Novelli è Portfolio Manager di Lemanik Global Strategy Fund.

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Il Quantitative Easing della FED, il principale driver della più spettacolare bolla speculativa di sempre sugli asset finanziari, si sta trasformando in un potenziale problema per i mercati. Mentre le aspettative d’inflazione prendono sempre più forma nella mente degli operatori, tutti stanno cominciando a chiedersi quando la FED inizierà a togliere gli stimoli monetari dinanzi all’accelerazione dell’economia.

L’inizio ci trasferisce un concetto noto che vorrei anche ampliare. Di fatto è dal 2008 – 2009 e da come si è deciso di affrontare quella grave crisi che stiamo aspettando che la banca centrale americana interrompa i suoi interventi. Dal 2012 poi anche la BCE ha chiaramente utilizzato più o meno le stesse tecniche pur non avendone il mandato per farlo.

Prendiamo quindi atto se ancora non l’abbiamo fatto che è inutile – ma da allora – parlare di fondamentali. Tutto si regge grazie agli interventi delle banche centrali. Ogni tanto si lascia sgonfiare il palloncino ma poi riparte, in maniera sempre più importante l’opera di immissione della liquidità.

Questo aspetto però, questa volta, potrebbe essere più pericoloso secondo Novelli:

Con l’inflazione in rialzo il QE in corso è visto come “benzina sul fuoco” che accentua i rischi di una strutturale modifica delle aspettative inflazionistiche, ed ecco che il principale fattore di sostegno della propensione al rischio sta diventando ora un problema. …

… È abbastanza ovvio che la strategia è creare inflazione per svalutare un debito che continua a salire inesorabile, dato che il governo USA non sembra propenso a finanziarlo con un aumento delle entrate fiscali.

Questa lettura è già stata data da diversi anni, a memoria fin dell’immediatezza del 2009. Il punto, per lo meno fino ad oggi, è che l’inflazione non ha mai rialzato la testa. Per certi versi basterebbe osservare un grafico relativo all’indice CRB per rendersi conto che per anni, per un decennio, nonostante gli interventi delle banche centrali, non è stato possibile innescare fenomeni inflattivi, per lo meno dal lato della domanda. Non dimentichiamoci che veniamo da decenni di sovraproduzione di massa in cui la domanda è stata continuamente stimolata e poi accontentata tramite il debito.

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Cosa ci può essere di nuovo oggi?

L’aumento dei costi di produzione e di logistica è avvenuto in un contesto dove le principali economie erano ancora parzialmente affette dal lockdown e le “riaperture” post Covid in fase iniziale. Cosa potrà accadere quando avremo anche un aumento della domanda proveniente da una riapertura completa dell’economia occidentale nessuno lo osa immaginare, ma è chiaro che il mercato dubita della “scommessa della FED” sulla temporaneità del fenomeno inflattivo in corso.

La parte importante arriva ora, con le eventuali implicazioni in termini di volatilità per i mercati 

Quindi, se la strategia è creare inflazione, prepariamoci ad un aumento della volatilità su tutte le asset class. Le “prove tecniche” di questo fenomeno si sono già viste in queste ultime settimane, ma è probabile che sia solo l’inizio dell’uscita dal contesto di bassa volatilità che ha caratterizzato e sostenuto anni di alta propensione al rischio nel sistema. Bassa volatilità e tassi a zero sono un fattore primario di formazione di un altro fenomeno di instabilità prospettica: la leva finanziaria.

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Tornando agli aspetti macro, il problema dell’inflazione, non è l’unico elemento di instabilità prospettica sui mercati e la FED si trova in grande difficoltà nel cercare di controllare due variabili finanziarie sulle quali il controllo non lo ha mai storicamente avuto: i tassi d’interesse a lunga scadenza e il dollaro. …

… A parte le crisi determinate da fenomeni “esterni”, tutte le altre crisi sono state provocate da policy mistakes della FED, che non ha voluto mai intervenire per frenare gli eccessi speculativi su alcune asset class (Equity e Credito), o ha deciso di “rimanere dietro la curva” provocando una caduta dei Treasuries e una fuga dal dollaro. Se la storia ci insegna qualcosa, oggi si sta ripetendo lo stesso problema, dato che la FED non vuole mai essere accusata di provocare una recessione, non interverrà prematuramente nella rimozione degli stimoli e deciderà di rimanere “dietro la curva”, cioè in netto ritardo nel contrastare l’inflazione in rialzo.

All’interno nella newsletter troviamo ampi riferimenti alle crisi del passato. Mi pare però che l’importante sia cogliere che non è tutto così semplice come sembra. Il contributo di queste letture deve essere quello di accendere una lampadina non di fornire una soluzione, per lo meno a mio parere. Nel dibattito in corso, pur partendo dalle medesime premessi, molti operatori professionali giungono a conclusioni diverse.

Potremmo semplificare dicendo che c’è chi è convinto che l’inflazione aumenterà e chi è convinto che sia solo un momento temporaneo. Ma tra i primi c’è chi sostiene che si rivelerà un evento favorevole a determinati settori e a determinate aree geografiche, ponendo l’accento solo sull’asset tattico ma lasciando inalterato il proprio peso dell’equity e chi invece ritiene che l’inflazione porterà inevitabilmente ad un calo dei listini.

A marzo 2021 Schroders ha pubblicato un articolo dal titolo “Quali settori azionari possono combattere l’inflazione più elevata?” in cui sinteticamente si afferma che “sebbene le azioni in generale si comportino piuttosto male in ambienti di inflazione elevata e in aumento, esistono potenziali aree in cui cercare rifugio a livello di settore.

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Ma torniamo a Novelli, sempre molto documentato e credibile nei suoi scritti.

Per evitare lo scoppio della bolla su credito ed equity la FED non dovrebbe rimuovere la liquidità immessa nel sistema ma, in un contesto di inflazione in rialzo, avrebbe ancora una volta deciso di “stare dietro la curva”, con tutto quello che comporta per dollaro e Treasuries. ….

…. Oltre a questi problemi di natura monetaria, si tenga anche in conto che non tutto quello che ci viene raccontato sulla ripresa corrisponde alla realtà e molti dati macro appaiono piuttosto “anomali” nella loro positività, in un contesto dove il livello di distruzione subìto dall’economia reale non è stato assolutamente rilevato nella sua completezza. La “V shape recovery” degli Stati Uniti lascia alquanto perplessi gli economisti indipendenti a causa di dati macro che sembrano eccessivamente forti in un quadro generale di debolezza ancora diffusa.

Le difficoltà aumentano e le variabili in gioco si moltiplicano. In un regime di tassi decrescenti e volatilità contenuta come siamo stati abituati in tutti questi anni, sia il mercato azionario americano sia quello obbligazionario hanno dato le loro soddisfazioni. Addirittura per lunghi periodi si sono mossi nella stessa direzione. L’investitore mondiale è abituato a pensare che la componente obbligazionaria possa mitigare gli andamenti eventualmente negativi di quella azionaria. Anzi il cosiddetto fly to quality ha sempre garantito che a fronte di una discesa dei listini USA ci fosse sempre un afflusso di denaro sui titoli di stato.

Ascoltando Novelli giustamente apprendiamo che un’eventuale ulteriore ripresa inflattiva potrebbe danneggiare sia la borsa sia i titoli di stato.

Vediamo per ora, in questi ultimi mesi e specie in questi ultimi giorni, come ha reagito il decennale americano.

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Come vedete nulla è semplice e non bisogna dare nulla per scontato per quanto il tempo trascorso sia stato veramente breve.

Ci salva solo il metodo. Anche uno dei lazy portfoglio più noti, l’All Weather Portfoglio” di Ray Dalio in fondo ci dice come organizzarci in base allo scenario di crescita / decrescita economica e inflattiva

Le informazioni di cui disponiamo sono molte, troppe, anche in questo scritto.

Personalmente credo che la cosa migliore sia affidarsi ad un processo d’investimento solido, integrato della nostra visione del mondo, del presente ma soprattutto del futuro.

Ciò non toglie che iniziative diverse, decorrelate dal portafoglio stesso possano dare un loro contributo anche solo tattico.

Suggerimenti circa proposte precedenti:

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A cura di Gian Luca Bocchi:

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