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È magari giunto il tempo di arrestare per un giorno questa cavalcata quotidiana all’inseguimento del contagio per guardare indietro e fare il punto su ciò che abbiamo capito in questi 100 giorni.
Abbiamo capito che non era, come dicevano, una semplice influenza. In senso stretto forse sì; ma poi è risultato evidente che il virus comportava conseguenze molto più gravi di quelle di una “semplice influenza”, conseguenze letali, tali da causare una mortalità ben più elevata rispetto a quella dell’influenza stagionale.
Abbiamo capito invece subito, fin da quando il contagio era ancora confinato in Cina e pascolava in poche aree limitrofe, che il virus sa distinguere bene fra tre diverse popolazioni: i bambini, che per lo più ignora; gli adulti sani, che contagia ma solo eccezionalmente uccide; gli anziani e i malati di patologie croniche, contro cui concentra le proprie forze e che quindi falcidia. Era chiaro fin da subito eppure, sorprendentemente, le diverse strategie di difesa attuate nel mondo hanno sistematicamente ignorato questa distinzione e, con un errore strategico capitale, hanno omesso di concentrare le difese lì dove il virus concentra le sue forze. Nessuna strategia ha difeso adeguatamente la popolazione anziana e malata tra la quale il virus ha potuto causare, indisturbato, almeno il 95% dei decessi.
Non lo abbiamo ancora capito e ancora non se ne discute, ma prima o poi risulterà chiaro che questa è stata la più grave rottura del contratto sociale nella storia della società moderna e contemporanea.
Abbiamo capito, ma tardi, che non sarebbe stata la disponibilità di terapie intensive a fare la differenza nel contenimento della mortalità; solo dai primi di aprile la medicina ha individuato rimedi farmacologici e terapeutici per le cause di decesso e infatti da allora il rapporto tra contagi e decessi, che inizialmente era a tutto vantaggio del virus, ha preso a cambiare a nostro favore.
Abbiamo capito l’importanza di una adeguata, solida ed efficiente sanità pubblica quando improvvisamente la sanità privata è sparita nel momento in cui più ne avremmo avuto più bisogno; e così la sanità pubblica, già stata sottoposta a trasfusioni di risorse lunghe decenni a vantaggio di quella privata, è stata chiamata ad affrontare il contagio quando ormai era indebolita dalla logica degli affari, celata dietro la retorica efficientista della politica di bassa lega.
Abbiamo capito che la Cina non diceva la verità, ma ci è voluto un po’. Quanto poco diceva la verità lo sapremo meglio più avanti, ma ci basti che ora emerge anche l’ipotesi che a Wuhan il virus circolasse già in agosto. Non una bugia dunque, ma una lunga teoria di menzogne e di occultamento della realtà, che tutti hanno pagato. Trump su questo non ha tutti i torti, anche se fa di tutto per farlo sembrare. Salvo poi mentire a sua volta.
Abbiamo capito fin da subito che la tentazione della maggior parte dei leader politici era quella di privilegiare la difesa dell’economia rispetto alla tutela della salute pubblica. Lo hanno detto pubblicamente e più o meno apertamente Boris Johnson, Emanuel Macron, Angela Merkel così come altri, ma tutti costoro hanno finito per fare retromarcia, preferendo l’incertezza di cadere in futuro per le conseguenze economiche che nell’immediato per quelle sanitarie. Lo ha detto Trump e ha anche fatto di tutto per farlo; lo ha fatto Putin e ha anche fatto di tutto per non dirlo. Bolsonaro lo ha detto e lo ha fatto, primo premio alla coerenza.
Abbiamo capito che le statistiche ufficiali, seppure gestite onestamente, puntualmente e in modo trasparente, non descrivono la realtà ma un suo simulacro in forma di tranquillizzante sottomultiplo.
Poi abbiamo anche capito che le statistiche ufficiali solo molto raramente sono gestite onestamente, puntualmente e in modo trasparente, ma che piuttosto sono state spesso aggiustate per nascondere la verità e sedare l’opinione pubblica.
Abbiamo capito che l’OMS non è immune dai giochi deteriori della politica internazionale e dai braccio di ferro tra le grandi potenze. Abbiamo assistito a incertezze e contraddizioni, al tentativo di coprire l’omertà della Cina e di difenderne gli interessi e l’immagine internazionale a discapito della salute dei cittadini che dovrebbe tutelare.
Abbiamo capito che, sia nei governi che nell’opinione pubblica, la preoccupazione per l’emergenza sanitaria prima o poi sarebbe stata soverchiata da quella per la crisi economica, i cui costi si faranno sentire per lustri nella riduzione della crescita e per decenni nel peso del debito pubblico.
Abbiamo capito che quello che le generazioni anziane hanno pagato in termini di vite, le giovani generazioni lo pagheranno con minore benessere economico e per l’eccesso di debito che saranno chiamate a rimborsare.
Abbiamo magari anche pensato che in conseguenza di questa pandemia il mondo sarebbe cambiato, ma abbiamo poi capito che, di fondo, tutto sarebbe in realtà rimasto come prima.