Qui si parla di cinquantamila morti, le case sono esplose sotto la potenza della terra.
Militari in assetto di guerra, controllano tutto e tutti mitragliatori alla mano, cercano gli sciacalli che neanche davanti alle tragedie hanno la forza di fermarsi. Polizia di ogni genere, protezione civile, associazioni locali, tende, ruspe, camion, blindati dell’esercito e polvere, tanta polvere.
La polvere del mondo.
Ma il silenzio della morte è incredibile, ho vissuto le stesse sensazioni ad Amatrice.
Il tempo si ferma, si è fermato.
Una città da duecentomila di abitanti non esiste più, rimangono macerie e quadri appesi alle pareti sventrate di case oramai traballanti. Ansimi, ti manca il respiro e quel poco che ti rimane è soffocato dalla polvere.
Pezzi di vita, case rotte, ferri serpenti, il mondo umano non esiste più. I solchi della terra tracciano un nuovo mondo.
Sabato 18 febbraio
Duecentomila persone se ne sono andate. La città è blindata, riusciamo ad entrare grazie a Faruk il nostro referente. Fa parte di un’associazione governativa molto efficiente.
Un poliziotto ci ferma, infastidito ci chiede dove andiamo, siamo qui per portare aiuti spiega il nostro referente, vengono dall’Italia, il poliziotto accenna un sorriso e ci lascia passare.
La terra trema sotto la potenza delle ruspe, dei camion, dei blindati dell’esercito, nel cielo squadriglie di elicotteri militari che fanno spola incessantemente con gli aeroporti.
Case sventrate, macerie, ovunque; vite annullate, sepolte.
Siamo al campo come tutte le notti, davanti al fuoco Mohamed l’eroe dei volontari turchi ci fa vedere le immagini della sua casa distrutta. “Vedi la mia macchina è sommersa di detriti”. “Questo è Amin”, ci fa vedere la sua foto, “un mio caro amico, non c’è più”. Mohamed ha salvato tre vite sotto le macerie di cinque piani implosi, è considerato un eroe, lo è.
Lo chef del campo ci saluta: ”Tutto ok?”, si tutto ok grazie, niente era ok, non era ok proprio un cazzo!