Didi, schiacciata tra Usa e Cina di Pinuccia Parini

L’Ipo del gigante cinese Didi Global Inc, la più grande vendita di azioni statunitensi da parte di una società cinese da quando Alibaba aveva raccolto, sette anni fa, 25 miliardi di dollari alla borsa di New York, non è stata un successo. Il primo giorno di quotazione, dopo un’impennata del prezzo del 28,6%, durante la seduta l’interesse per il titolo si è spento velocemente, facendo segnare una chiusura positiva, ma solo dell’1% superiore al prezzo di collocamento del titolo: un risultato deludente che non faceva però presagire quanto sarebbe poi avvenuto. Pochi giorni dopo, infatti, le decisioni del regolatore cinese di impedire ai nuovi utenti di scaricare l’app di Didi, per un’impropria raccolta dei dati personali, e quella successiva di rimuovere la stessa app dai servizi di messaggistica di Tencent e WeChat e da Alipay di Ant Group, hanno provocato pesanti vendite sul titolo che ha lasciato sul terreno il 20% (6 luglio). Ma non è solo la deludente performance di Didi che ha catturato l’interesse degli investitori e di coloro che seguono da vicino i mercati finanziari. Appare evidente, infatti, che indipendentemente da quali siano state le manchevolezze da parte dell’azienda, è diventato palese che il governo cinese non è incline a favorire la quotazione delle proprie aziende sui mercati esteri. Non solo: dalla vicenda emerge quanto Pechino consideri i big data strategici, quasi da farli diventare un terreno di scontro con gli Stati Uniti.

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UN’APP DI MOBILITÀ

Ma di che cosa si occupa Didi Global? Didi Global Inc è, come si legge nel sito dell’azienda, una piattaforma tecnologica di mobilità «leader a livello mondiale». Essa «offre un’ampia gamma di servizi basati su app in Asia-Pacifico, America Latina e Africa, nonché in Asia centrale e Russia, tra i quali chiamata in corsa, chiamata in taxi, autista, autostop e altre forme di mobilità condivisa, nonché soluzioni per auto, consegna di cibo, trasporto merci intra-urbano e servizi finanziari». La società, particolarmente popolare nelle città cinesi, alla chiusura dell’anno fiscale al 31 marzo 2021, aveva 377 milioni di utilizzatori attivi e 13 milioni di autisti. In base a quanto pubblicato in un rapporto di China Insights Consultancy, una piattaforma di consulenza indipendente, si prevede che il mercato della mobilità cinese raggiungerà 3,9 trilioni di dollari entro il 2040, quando si stima che la penetrazione della mobilità condivisa e dei veicoli elettrici aumenterà rispettivamente del 35,9% e 50,2%. 

TANTI NUOVI AZIONISTI

Didi Global Inc, precedentemente denominata Didi Dache e Didi Kuaidi, è nata nel 2012 grazie a Cheng Wei che, dopo un’esperienza lavorativa di successo ad Alibaba prima e, successivamente, ad Alipay, decise di fondare Beijing Xiaoju Technology Co e lanciare Didi Dache, un’app per i taxi. Lo stesso anno, Tencent Holdings Limited, il gigante del gaming cinese, investì nell’azienda e tuttora è uno degli azionisti di riferimento. 

Nel 2015, la società si fuse con il suo concorrente Kuaidi Dache e, nel 2016, acquistò tutti gli asset della divisione cinese di Uber. Dal 2017 al 2020 comincia l’espansione di Didi: crescono gli investimenti in nuove tecnologie e arrivano anche nuovi azionisti, tra cui Softbank Group Corporation, una holding finanziaria multinazionale giapponese, attualmente il primo azionista della società. Il periodo coincide anche con una serie di cambiamenti e la ristrutturazione della piattaforma utilizzata per migliorare i servizi offerti ai clienti, dopo una serie di pubblicità negative che l’avevano colpita in seguito a incidenti di cui erano stati vittima alcuni clienti. Il 10 giugno 2021, Didi ha presentato la richiesta di quotazione al New York Stock Exchange, che è avvenuta il 30 dello stesso mese. Il 4 luglio 2021, la Cyberspace Administration of China (Cac) ha ordinato agli app store di rimuovere Didi, dopo avere citato violazioni sulla raccolta e sull’utilizzo delle informazioni personali da parte dell’azienda. La società ha interrotto così la registrazione dei nuovi utenti e ha accettato di modificare il regolamento, come richiesto, per rispettare le regole e proteggere i diritti degli utenti. 

UN’INDAGINE IN CORSO

A dire la verità, sembra che prima del listing la società avesse già ricevuto una comunicazione da parte dello State Administration for Market Regulation di un’indagine, che era stata aperta a suo carico sulle politiche di prezzo e sulle pratiche competitive adottate. Pochi giorni dopo, sono state aperte altre due cause contro Didi, depositate presso la corte federale di New York e quella di Los Angeles, dove si afferma che la società non ha comunicato agli investitori l’esistenza di colloqui in corso con le autorità di Pechino sulla sua conformità alle leggi e ai regolamenti sulla sicurezza informatica.

Nel frattempo i regolatori cinesi hanno allargato l’indagine in corso anche ad altre società quotate negli Stati Uniti, come Full Truck Alliance Co. e Kanzhun Ltd, e annunciato che inaspriranno le regole per le società cinesi che cercano di quotare o vendere azioni al di fuori del loro paese. 

Una dichiarazione, quest’ultima, che non è nuova e ribadisce che la Cina non è particolarmente accondiscendente alla quotazione di società cinesi all’estero. Sembra che il regolatore avesse chiesto a Didi di sospendere l’Ipo, ma questo tipo di intervento mostra che, oltre alla preoccupazione sulla raccolta di dati personali, la Cina vuole esercitare pressione sulle aziende domestiche quotate all’estero. E questa inclinazione non è una novità. Le tensioni tra Cina e Usa non si sono stemperate con l’arrivo della nuova amministrazione americana o, perlomeno, non tanto da potere parlare, nei fatti, di una normalizzazione dei rapporti tra i due paesi. Come ricorda Jeremy Mark, senior fellow al GeoEconomics Center dell’Atlantic Council, l’accelerazione delle tensioni politiche Usa-Cina sta gettando un’ombra su una componente importante dei legami economici dei due paesi: il flusso di capitali tra i loro mercati finanziari. 

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Le prime decisioni della Securities and Exchange Commission puntano a codificare una legge che imponga alle società straniere quotate negli Stati Uniti di aderire agli standard di auditing e divulgazione ivi vigenti, pena l’esclusione dalla borse. Si tratta di una misura che potrebbe mettere in difficoltà le aziende cinesi. Inoltre, lo scorso giugno c’è stata l’attuazione di un ordine esecutivo, ereditato dalla precedente amministrazione, che vieta ai cittadini Usa di acquistare o vendere titoli di emittenti identificati come società industriali che abbiano legami con le forze armate cinesi. Inoltre, sono state imposte restrizioni a un gruppo più ampio di società cinesi legate alla tecnologia che hanno legami militari. 

LIMITAZIONI E MULTE

Il governo di Pechino, invece, come si è visto negli ultimi mesi, è intervenuto imponendo una serie di regole, limitazioni e multe per presunte pratiche monopolistiche ai giganti dell’internet della Repubblica Popolare andando ben oltre il blocco della quotazione del gruppo Ant che ha occupato per giorni non solo le colonne della stampa locale, ma anche di quella internazionale. Il risultato è stato un rallentamento delle Ipo sulle piazze finanziarie domestiche. Il regolatore cinese ha cominciato a monitorare molto da vicino anche le aziende locali che hanno deciso di quotarsi a Wall Street. 

C’è una nuova guerra fredda tra le due superpotenze e questa volta non riguarda solo il commercio e l’interscambio di alcuni beni, bensì il controllo dei dati e la sicurezza informatica. La Cina ha anche annunciato che aumenterà la regolamentazione delle società tecnologiche quotate all’estero, monitorando il tipo di informazioni che inviano e ricevono attraversando i confini della nazione, con il fine ultimo di garantire i clienti dai rischi informatici e dalla fuga di informazioni personali. Si tratta, di fatto, di una questione legata alla sicurezza nazionale e su questo tema Pechino non ha intenzione di fare concessioni o retrocedere, soprattutto nei confronti di aziende che, da parte della stampa vicina al Partito, vengono descritte come società che hanno conosciuto una crescita “barbarica”. 

Sui politici a Washington, Robert Reich, già segretario al lavoro in Usa e professore di politica pubblica all’Università di Berkeley, sul quotidiano Guardian, in merito ai flussi di informazioni, commenta: «Il senatore Marco Rubio ha dichiarato al Financial Times che è stato “sconsiderato e irresponsabile” che la borsa di New York abbia consentito a Didi di vendere azioni. La sua dichiarata preoccupazione? Proteggere gli americani in pensione. Per favore. Se Rubio e altri legislatori statunitensi fossero sinceramente intenzionati a proteggere gli investitori americani, cercherebbero di limitare la quantità di risparmi americani che fluiscono in Cina attraverso fondi pensione, fondi comuni di investimento e fondi Usa negoziati in borsa». 

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UN MARE DI PARTECIPAZIONI

Infatti, secondo il Rhodium Group, nonostante Pechino sia in ritardo in termini di globalizzazione finanziaria, le partecipazioni transfrontaliere di obbligazioni e azioni stanno crescendo più rapidamente dei tradizionali flussi di capitale.

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Alla fine del 2020 la società stima che ci fossero fino a 3,3 trilioni di dollari in azioni e obbligazioni a doppio senso tra Stati Uniti e Cina (compresi i titoli detenuti nelle riserve delle banche centrali), quasi il doppio della cifra ufficiale di 1,8 trilioni di dollari. Le partecipazioni statunitensi in titoli cinesi, alla stessa data, risulterebbero di circa 1,2 trilioni di dollari, mentre gli investitori statunitensi deterrebbero 1,1 trilioni in azioni e 100 miliardi di dollari in titoli di debito emessi da entità cinesi. Si tratta di circa cinque volte le partecipazioni rilevate in via ufficiale, che mostrano 211 miliardi di azioni e 29 in titoli di debito a settembre 2020. La presenza cinese nei titoli statunitensi ha raggiunto 2,1 trilioni di dollari. Rhodium Group stima che gli investitori cinesi detenessero 700 miliardi di dollari di azioni e 1,4 trilioni di titoli di debito emessi da entità Usa alla fine del 2020. In confronto, i dati ufficiali degli States mostrano 240 miliardi di azioni e 1,3 trilioni di titoli di debito a settembre 2020. Tutto ciò è avvenuto, sempre secondo Reich, nonostante le crescenti tensioni geopolitiche; l’allocazione della Cina è cresciuta notevolmente negli ultimi anni e quindi «la vera preoccupazione dei legislatori statunitensi riguardo a Didi e ad altre grandi aziende cinesi high-tech, che stanno prendendo piede finanziariamente nel Paese, è che potrebbero raccogliere una barca di dati in Usa, pur dovendo rendere conto del loro operato al governo cinese».

COME EVOLVERÀ IL CONFLITTO?

Bisognerà vedere come evolverà questo conflitto. Reich sostiene che, «gli imprenditori e i maghi della finanza, sia in Cina, sia negli Stati Uniti, sanno bene che le due nazioni insieme costituiscono il più grande mercato del mondo. Essi continueranno a fare tutto il possibile per fare soldi in questo gigantesco mercato, indipendentemente dal crescente tecno-nazionalismo dei rispettivi politici. Oppure, se lo scontro a livello geopolitico avrà il sopravvento, si tratterà di vedere sino a quale punto il Partito comunista cinese vorrà affermare il suo controllo con il rischio di imporre una morsa autoritaria a discapito dello sviluppo e della crescita delle singole aziende.

Nel mese di agosto si sono intensificate le restrizioni che hanno riguardato diversi settori: dalla tecnologia ai trasporti privati, dal settore residenziale a quello dell’educazione. Per quanto riguarda Didi, non è ancora chiaro quali saranno le conseguenze di quanto accaduto e, soprattutto, quanto sarà punitiva l’azione del regolatore. Dalla vicenda emerge comunque un chiaro messaggio: l’autorità di controllo è entrata nell’arena con tutta la sua forza e il suo potere, sottolineando che in primis sono le regole del mercato interno quelle da rispettare. Le autorità di Pechino stanno inoltre lavorando per definire il quadro regolamentare cui le società dovranno assoggettarsi in base anche alla loro natura giuridica. E quest’ultimo sarà un altro capitolo che potrà portare turbolenza sui mercati.

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