Dilettanti allo sbaraglio di Ernesto Sirolli

Dal 1971 al 1977 lavorai per una ONG che si specializzava nei programmi di Volontariato Civile in Africa. I nostri progetti di Cooperazione Tecnica con i Paesi in via di Sviluppo, finanziati dalla Farnesina e creati nel nostro ufficio di Roma, svanivano nel nulla appena i fondi per i singoli progetti terminavano. Arrivavamo, non invitati, in poverissime comunità in Zambia, Kenya, Algeria, Somalia, Costa D’Avorio con i nostri splendidi programmi di sviluppo economico e sociale convinti che gli abitanti del luogo avrebbero appreso da noi e migliorato il loro standard di vita. Invece, appena i fondi per i singoli progetti finivano e noi andavamo via, gli abitanti del luogo tornavano a fare esattamente quello che facevano prima del nostro arrivo. 

Invece di inchinarsi di fronte alla nostra intelligenza, generosità e superiorità tecnica, le persone del luogo ci guardavano tra stupiti e divertiti e venivano a lavorare nei nostri progetti, non perché interessati a quello che facevamo, ma puramente per lo stipendio giornaliero. Tutti i nostri progetti fallivano, ma in alcuni casi il nostro intervento era talmente inappropriato da essere comico. Come quando cercammo di creare una cooperativa agricola nel sud della Zambia. Il progetto, sulla carta, era magnifico. Introdurre l’orticoltura Italiana in un remoto villaggio al confine tra Zambia e Zimbabwe sulle sponde dell’enorme fiume Zambezi.

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Il progetto, che sarebbe durato 5 anni, avrebbe selezionato ed addestrando il personale locale, donando attrezzature e terreno ed insegnando, ad una tribù senza agricoltura, non solo come nutrirsi meglio ma anche come vendere il surplus nella capitale, Lusaka, a circa 200 km di distanza. Che orgoglio portare i semi dei Pomodori San Marzano in Africa! I pomodori crescevano che era una meraviglia ed i nostri tecnici, giovanissimi volontari freschi di Scuola Agraria, si congratulavano tra di loro e, dopo mesi di lavoro si preparavano, assieme al personale locale, alla prima raccolta.

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Ma una notte, quando i pomodori erano maturi, un branco di ippopotami uscì dal fiume e venne mangiarsi tutto il raccolto! La nostra dolorosa sorpresa attirò la simpatia delle persone locali che, quasi scusandosi, ci dissero che gli ippopotami erano la ragione per la mancanza di agricoltura locale. “Vedete qui non possiamo piantare niente perché siamo troppo vicini al fiume e gli ippopotami si mangiano tutto!” Il progetto naturalmente fu abbandonato, mesi di pianificazione, addestramento, costruzione di alloggio, infrastruttura ecc. tutto svanito nel nulla.

Lo Schiaffo in Faccia

Erano almeno 5 anni che mi lamentavo del lavoro che facevamo. Un giorno una collega, appena arrivata dall’Università di Bologna dove aveva studiato con un certo Prof. Romano Prodi, mi consigliò di leggere un libro che Prodi aveva recentemente fatto tradurre in Italiano, tanto gli era caro il pensiero dell’economista che lo aveva scritto. Ernest Schumacher aveva scritto “Small is Beautiful” nel 1973 e io lessi “Piccolo è Meraviglioso” nel 1975. Il libro non mi cambiò la vita, a farlo bastarono queste due righe nel Capitolo XIII: “Se le persone non vogliono essere aiutate, lasciatele stare. Questo dovrebbe essere il principio base di ogni progetto di Aiuto Internazionale”! 

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“Se le persone non vogliono essere aiutate?” ma quando mai lo chiediamo a loro se vogliono essere aiutate o no!?  Noi siamo Italiani, Cattolici Apostolici Romani, abbiamo civilizzazione, tecnologia e religione superiori agli Africani Noi arriviamo in Africa perché abbiamo il dovere MORALE di andare ad aiutare quelli che sono meno fortunati di noi! O no?

Mamma mia che schiaffo in faccia quando capii quello che Schumacher scriveva. Non si arriva, non invitati, a casa altrui per dir loro come vivere la loro vita. Se nessuno può farlo a noi come ci permettiamo di farlo ad altri? Noi guardavamo agli Africani come soggetti della nostra compassione e beneficiari della nostra munificenza e Schumacher invece li considerava, giustamente, come attori nella loro vita e nel loro sviluppo.

Io non avevo mai visto un solo progetto di aiuto internazionale fatto in risposta ad una richiesta di una comunità locale e la consapevolezza della nostra cecità e pregiudizio mi spinse a coniate il termine Meta-arroganza ossia un’arroganza cosi assoluta e pervasiva da essere invisibile al portatore. Una volta vista, però, la realizzazione che fossimo paternalisti, condiscendenti e missionari squarciò ogni residua giustificazione morale per il nostro operare e mi incoraggiò a rimettermi in gioco partendo dalla straordinaria sfida lanciata da Schumacher: “

È possibile concepire un modello di aiuto internazionale fatto ‘in risposta’ ad esigenze locali? Possiamo veramente frenare il nostro entusiasmo per le nostre idee, tecnologie, valori culturali ed imparare a rispettare ‘gli altri’, coloro che non sono come noi ma che vorrebbero adottare solo quello di cui hanno bisogno?” Capii che il principio base per poter aiutare gli altri era il ‘rispetto’ e lasciai l’Italia in cerca di un’Università dove poter continuare il lavoro intuito in ‘Piccolo è Meraviglioso’. Lavoro che, dopo 40 anni, ancora mi affascina!

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