«Viviamo in un ecosistema perfetto. L’egoismo e l’avidità dell’uomo, però, spesso turbano questo equilibrio. Nella società il denaro è visto come la causa di tutti i mali. Nelle famiglie l’argomento spesso diventa un tabù e il controllo e il monitoraggio da parte di terzi e non autorizzati sono una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione. Tutti abbiamo diritto alla nostra autonomia, ma soprattutto le donne che hanno subito l’isolamento economico».
Claudia Segre, presidente di Global Thinking Foundation (Glt),
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Con queste parole Claudia Segre, presidente di Global Thinking Foundation (Glt), conferma che la fondazione ha un impegno sempre più costante nel conseguimento del quinto goal dei 17 Sdgs.
Recentemente avete condotto un’indagine con il contributo di Powderly, un’applicazione dedicata al mondo del beauty che rappresenta una delle comunità femminili più numerose in Italia. Quali sono stati i risultati ottenuti?
«Purtroppo l’indagine evidenzia risultati desolanti, che rafforzano il nostro convincimento che le azioni di alfabetizzazione finanziaria sono fondamentali. Il sondaggio è stato condotto nel periodo febbraio-luglio, praticamente durante il lockdown, con l’obiettivo di verificare le competenze economiche di 1.000 donne sparse sul territorio nazionale, tra i 28 e i 60 anni, con una concentrazione del 47% tra i 28 e i 45. È divisa in due sezioni: la prima riguarda le competenze finanziarie e la seconda la violenza economica. La rilevazione fatta da Glt con Powderly ha fatto emergere che quasi il 50% delle donne italiane non sa quanto costa un conto corrente e il 14% non ne ha uno, nemmeno cointestato. Il 68% possiede dei risparmi, ma il 56% li lascia sul conto corrente perché non sa come investirli e il 19% li tiene addirittura in casa. Il 50% delle intervistate non conosce la differenza tra azioni e obbligazioni e il 21% non sa che cosa sia la previdenza complementare».
C’è una differenziazione geografica?
«Sì, c’è, perché, per citare l’esempio della previdenza complementare, il divario tra nord e sud è di ben 15 punti percentuali: 13% al nord contro il 28% al sud. E non si tratta solo di un aspetto culturale che discrimina in diversi ambiti la figura femminile: quello, ahimè, è un tratto comune a tutta la penisola. La differenza tra nord e sud è il segnale di un chiaro fallimento delle politiche verso il Sud dove l’occupazione femminile è bassa e le donne non hanno mai partecipato attivamente al tessuto economico».
Crede che le donne paghino, non solo una scarsa presenza nel mondo della finanza, ma anche un mancato riconoscimento di soggetto economico attivo?
«Noi viviamo in una realtà in cui solo il 30% delle donne è parte attiva nella politica del Paese, il 17% occupa posizioni manageriali apicali e, parlando di finanza, circa il 20% ricopre il ruolo di consulente finanziario. Forse è stato fatto ancora troppo poco anche da parte degli istituti finanziari, nonostante le dichiarazioni verbali. È per questo motivo che Glt è impegnata nell’educazione finanziaria, nella differenza di genere e nelle pari opportunità. L’accesso alle risorse economiche, il loro pieno controllo e il loro utilizzo consapevole sono strumenti fondamentali per contrastare la marginalità economica. Ed è anche per questo motivo che, ad esempio, la piattaforma FamilyMI si è arricchita della sezione “video Lis”, e di sottotitoli in inglese e in francese, per ampliare il più possibile le fruitrici dei servizi che mettiamo a disposizione, a sostegno di coloro che si sentono più inadeguate e deboli nei confronti di un sistema che ancora fa troppo poco per diminuire le disuguaglianze».
La seconda sezione dell’indagine riguarda la violenza economica.
«Il 34% dalle donne intervistate che hanno un partner ha solo un’idea approssimativa di quanto questo guadagni. Il 57% di loro non ha alcuna forma assicurativa, mentre il 43% l’ha in condivisione con il marito. Molte non hanno un conto corrente personale e ciò fa sì che venga meno la percezione delle risorse economiche della famiglia, un aspetto quest’ultimo che dovrebbe essere argomento e oggetto di decisioni condivise. In Italia lavora solo il 48,1% delle donne, in calo rispetto al 2018, e le più penalizzate sono le giovani: bassa cultura finanziaria e quindi più esposte ai rischi. In Italia siamo in ritardo in tema di emancipazione femminile e troppo spesso un atteggiamento sessista connota le modalità con cui ci si rapporta alle donne. Ormai sono molti gli studi che dimostrano che la parità di genere è ricchezza per una nazione. Christine Lagarde, quando era direttrice generale del Fondo Monetario Internazionale, aveva dichiarato che alcuni paesi potrebbero aumentare il proprio Pil addirittura del 35%, se arrivassero alla parità di genere. La Banca d’Italia ha stimato che, se il tasso di occupazione femminile salisse al 60%, il nostro Pil aumenterebbe di sette punti percentuali. La correlazione tra parità di genere e crescita è lampante: basta solo volerla vedere».
È da questa consapevolezza che è nata D2-Donne al Quadrato?
«È proprio per questo contesto di bassa alfabetizzazione finanziaria che Global Thinking Foundation da tre anni promuove l’uguaglianza di genere e l’empowerment di donne e ragazze per la prevenzione della violenza economica attraverso il progetto D2 – Donne al Quadrato, un percorso didattico che si articola in lezioni frontali e online affiancate da azioni di mentorship e che vede coinvolte oltre 45 volontarie certificate Aief (Associazione italiana educatori finanziari). Si tratta di donne che aiutano altre donne per ridurre il divario di competenze evidenziato dall’Ocse: Donne x le Donne, ecco spiegato il nome. E oltre 2.200 donne hanno già partecipato ai corsi, che ora sono digitali, e ai quali si affianca il supporto degli Sportelli per i quesiti fiscali, finanziari e legali».
Siete riuscite a misurare l’impatto di questa vostra iniziativa?
«Abbiamo misurato con Altis, l’Alta scuola impresa e società dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, l’impatto sociale determinato dal percorso Donne al Quadrato.
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Lo abbiamo fatto distribuendo un questionario alle partecipanti ai corsi nell’anno 2019/2020 in due momenti: all’inizio del corso e a pochi mesi dalla conclusione. La doppia somministrazione è stata prevista per catturare la dimensione del cambiamento, su personalità, conoscenze, attitudini e comportamenti. Per mostrare gli impatti si è costruito un indice sintetico sul benessere finanziario che è descritto da diverse dimensioni, soggettive e oggettive, che compongono il comportamento finanziario. Il benessere finanziario delle partecipanti ai corsi è cresciuto del 5% e questo dato si riflette in un miglioramento del contesto macroeconomico (+6%), in un potenziamento degli aspetti individuali di benessere finanziario (+5%) e in un incremento di conoscenze (+10%) che ha poi comportato un miglioramento degli aspetti legati a personalità (+5%), attitudini (+5%) e comportamenti (+4%). In particolare, è migliorata la consapevolezza rispetto ai debiti (+21%), il controllo dell’impulsività (+10%) e la capacità di monitorare le proprie spese (12%). L’unico aspetto che ha registrato un trend negativo è la paura e la preoccupazione riguardo alla situazione finanziaria del futuro prossimo (-9%), forse causato dall’incremento di consapevolezza e conoscenze».
I risultati, quindi, dimostrano l’efficacia della vostra azione…
«Sono i numeri che parlano e che ci danno modo di vedere il frutto di anni, tra sperimentazione e azione sul campo, e di raccogliere esiti importanti di impatto sociale per un modello didattico unico di diffusione dell’educazione finanziaria per la prevenzione della violenza economica. Ed è sempre più importante considerarli, soprattutto in un contesto in cui, come dichiara uno studio del World economic forum, sono le donne a pagare il prezzo più salato della pandemia e, aggiunge, la ripresa non potrà che puntare proprio su loro, in termini occupazionali e di rilancio sociale».
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