Euforia portami via

Il tempo passa per tutti ma in questi giorni, a chi si occupava di mercati finanziari a fine anni 90, non è sembrato essere così, è sembrato vivere ancora quei momenti, quando gli investitori si mettevano tranquillamente in fila, fuori dalla filiale, per riuscire a sottoscrivere il comparto di sicav ING Internet, dedicato al mercato tecnologico americano, il Nasdaq.

Era una fila che a seconda dei giorni era anche lunga. Quel comparto oggi non esiste più perché nel tempo è stato chiuso, dopo le grandi perdite accumulate sia sul crollo del 2000 che su quello del 2008, credo per mancanza di sottoscrittori.

Potremmo essere ancora di fronte ad un fenomeno analogo?

Personalmente credo proprio di no a prescindere dalle eventuali fluttuazioni, anche negative, di breve, del settore. Proviamo a farci aiutare comunque dalla rete tenuto conto l’obiettivo della riflessione è fornire degli elementi su cui basarla e non influenzare le conclusioni.

Già da vari giorni Gaetano Evangelista, Strategist AGE Italia, ha iniziato ad osservare i numeri di questa situazione:

Sì, è vero: il Price/Earnings provoca le vertigini a chi non è abituato all’alta quota, e conforta poco rilevare come letture superiori siano state conseguite soltanto nel 1999: nove mesi prima di un massimo primario.

Curiosamente, però, BofA fa rilevare come un picco di P/E similarmente elevato fu raggiunto nel 1921: e in questo caso la lettura estrema precedette non già nove mesi; bensì OTTO ANNI di sfrenati rialzi.

Questo non già per sminuire la rilevanza dei multipli borsistici attuali; quanto per rimarcare come si tratti di un elemento di contorno: non certo quello determinante. Il P/E non lo è mai, analisi della correlazione alla mano, fino a trentasei mesi successivi di evoluzione di mercato.

Inizia ad incidere soltanto dopo cinque anni.

Chi avesse motivi per non investire in borsa, deve argomentare sulla base di altri elementi oggettivi.

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Inoltre fa notare che anche i modelli che provano a interpretare i comportamenti degli investitori paiono coerenti:

 

No, il recente picco di Panic-Euphoria model di Citi, NON è il massimo storico. Ma poco ci manca.

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Una possibile risposta ci viene da Barry L. Ritholtz è co-fondatore, presidente e chief investment officer di Ritholtz Wealth Management LLC, che in un suo articolo sposta l’attenzione dai possibili e tradizionali scenari economici a L, U, V o W nel possibile scenario a K

“In the aftermath of the Great Financial Crisis, I received an extremely silly email: It was from a TV show booker who, during the early days of the 2009 recovery, asked: “What single letter would you use to predict the recovery?”

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This description of the economy fairly captures the two separate paths of the recovery.2 The line heading upward symbolizes those parts of the economy that have benefited from pandemic: Technology (Apple Inc., Alphabet Inc., Microsoft Corp.), general merchandise retailers (Target, Walmart), entertainment (Netflix Inc., Walt Disney Co., YouTube), Biotech and Pharmaceuticals (Moderna Inc., Johnson & Johnson & Johnson, Merck & Co., Pfizer Inc., AstraZeneca PLC) work from home firms (Slack Technologies Inc., Zoom Video Communications Inc.) and online retailers (Amazon.com Inc., Shopify Inc.).

 

The line heading downward symbolizes, well, pretty much everyone else. We see this reflected in how various S&P 500 Index sector funds have performed. Technology (Technology Select Sector SPDR Fund), Communications (Communication Services Select Sector SPDR Fund), and Consumer Discretionary (Consumer Discretionary Select Sector SPDR Fund) are up 31.6%, 18.4%, and 16.9%. The three worst performing broad sectors, Energy (Energy Select Sector SPDR Fund), Financials (Financial Select Sector SPDR Fund), and Utilities (Utilities Select Sector SPDR Fund) are down 40.3%, 18.7%, and 8.2%…..

And that was before the pandemic. If you disliked how the last economic expansion unfolded, you are going to really hate the next one, as the economic divide has become even steeper. All of the factors impacting wages and employment are now more pronounced. Economically, there has never been a worse time to be high school dropout in America. Workers with more education simply have lower unemployment rates, according to the Bureau of Labor Statistics. They also earn more money. This gulf is likely to widen even further in the future.

I am forced to admit that the letter “K” captures the coming recovery in its simplest form.

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Lo scenario a K è ormai un dato assodato come faceva notare Vincenzo Bernardini, consulente finanziario:

Chi sta tirando la volata all’indice SP500 sono i noti colossi tecnologici, Apple, Microsoft, Amazon, Facebook ed Nvidia. Niente di nuovo sotto il sole se non l’entità del contributo alla performance che nel caso della sola Apple supera il 4%. Se vuoi valutare l’ampiezza della partecipazione al rialzo puoi vedere la slide in basso a sx aggiornata a fine agosto, di sicuro in miglioramento ma con ancora oltre la metà dei titoli, 277, negativi da inizio anno con l’indice a più 10%. Nella slide in basso a dx invece il divergente andamento dei cosiddetti fattori, con una forchetta di oltre il 50% tra il migliore, Growth, ed il peggiore, High Dividend.

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Sta di fatto che lo scenario “k” piace molto e potrebbe essere rifletta anche l’andamento dell’economia reale anche nel prossimo futuro pur dovendo sottolineare i potenziali elementi di perplessità. Ciò non toglie che in realtà nessuno sappia bene cosa possa succedere nel breve.

Mi ha colpito molto il commento di Tiho Brkan, consunte americano che commenta così il fatto che il settore tech quoti 7 volte le vendite:

The Tech sector is approaching a staggering 7 times sales.

You got 3 camps out there: those don’t think these sort of valuation metrics matter, those who think all valuations metrics are rendered useless due to the Fed & the rare sort who are actually concerned by such levels.

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Io stesso rimango perplesso e rimango a metà strada tra pensare che grazie agli interventi della FED non sia più importante osservare e temere i dati fondamentali ed invece provare a riflettere se non ci sia qualcosa di nuovo.

In questo senso un recente articolo di John Authers, giornalista economico, citando un grafico di Capital Economics Ltd, ci fa notare che

Ci sono due differenze significative rispetto a 20 anni fa. I titoli popolari di oggi ne includono certamente alcuni che sono molto sopravvalutati, ma stanno anche realizzando profitti su una scala che le società di Internet di 20 anni fa difficilmente potevano immaginare. Il grafico seguente di Capital Economics Ltd. di Londra scompone l’enorme sovraperformance di “Big Tech” rispetto al resto dell’S & P 500. La maggior parte deriva dalla loro enorme redditività. Se c’è una bolla nelle più grandi società tecnologiche, è probabilmente nei loro profitti e nel modo in cui è stato permesso loro di costruire un potere di mercato monopolistico, piuttosto che nelle loro valutazioni:

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Tra chi non pare preoccupata degli attuali livelli di prezzo dello SP500 vi è certamente la nota casa d’investimento Goldman Sachs che come ci fa notare la twitter Isabelnet tramite un suo veloce commento:

Goldman Sachs maintains its S&P 500 price target to 3600 by the end of 2020, and its 12-month S&P 500 price target to 3800:

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Chiudo con alcuni dati di cui dobbiamo tenere comunque conto per lo meno nel breve.

Ancora Gaetano Evangelista, Strategist AGE Italia evidenzia due aspetti:

Il Bullish Consensus di MarketVane misura la proporzione di CTA che sullo S&P500 nutre aspettative bullish.

Si tratta senza ombra di dubbio di smartmoney. Non a caso la percentuale di Tori è andata riducendosi dall’inizio del 2018, diventando minoranza sul finire del medesimo anno.

A marzo soltanto il 28% dei CTA era bullish. La settimana scorsa, finalmente, è stata ripristinata la maggioranza: 53% di rialzisti su Wall Street.

Dal 2000 questa è la terza volta che si riconquista una prevalenza di Tori, dopo essere scesi a meno di 1/3 del totale.

Ciò configura un potenziale setup bullish di lungo periodo per lo SP500, nel momento in cui la media mobile veloce dovesse incrociare verso l’alto quella più lenta.

Questione di (poche) settimane, all’apparenza.

I due precedenti storici farebbero esaltare gli investitori

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Oggi sul Rapporto Giornaliero ci siamo soffermati molto sull’Insider Sell/Buy ratio: il rapporto fra vendite ed acquisti di azioni, da parte di investitori per definizione ben informati come appunto gli Insider (presidenti, amministratori, soci rilevanti, dirigenti e soggetti in possesso di informazioni riservate).

In termini medi, nelle ultime otto settimane il Sell/Buy ratio ha superato le 23 volte: 23 dollari di azioni vendute, per ogni dollaro di acquisti.

Il dato si colloca sopra i picchi di febbraio di quest’anno e maggio 2019, quando importanti massimi di mercato furono registrati.

Nel RG allarghiamo la prospettiva storica per rispondere definitivamente: le vendite degli Insider sono una minaccia per il mercato azionario?

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In questa direzione va il dato evidenziato da Paolo Calcinari Ansidei consulente in Azimut:

Gli Insiders US (dirigenti esecutivi e managers) hanno venduto azioni della propria azienda durante il rialzo di agosto. Si tratta della maggior vendita da novembre 2015.

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