FONDI&SICAV di luglio su Mork e Mindy

Torna l’appuntamento con il mensile di Fondi & Sicav su Mork e Mindy, una bella occasione da condividere con chi ci piace.

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Ho apprezzato molto l’invito dell’editore Giuseppe Riccardi perché consente di scegliere, permette di fruire o meno di questa ulteriore opportunità e soprattutto di sceglierne i tempi.

Del resto il viandante che passa su Mork & Mindy non sa quando potrà tornare, non sa se troverà qualcosa di interessante ma sa che potrà condividere tra i suoi contatti gli spunti genuini e sinceri che vengono offerti da me e dalla nostra piccola redazione.

Il numero di questo mese ci regala veramente ottimi spunti: Sono così tanti che vi richiederà più tempo qualora decidiate di approfondire i vari temi.

L’OBBLIGAZIONARIO

Il primo spunto ci viene da Kunal Mehta, Head of fixed incame specialist team di Vanguard:

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Che interviene anche in tema di duration:

«In generale, ciò che consigliamo è operare con un buon livello di diversificazione lungo tutti i segmenti della curva, che appunto tendono a essere guidati da fondamentali differenti, in quanto diversa tende a essere la base degli investitori. Ad esempio, le obbligazioni a minore scadenza mostrano una forte presenza di hedge fund e assicurazioni, soggetti per i quali la grande liquidità di questo segmento del mercato costituisce una caratteristica molto importante. Viceversa, i fondi pensione preferiscono emissioni a maggiore duration, dal momento che ciò permette loro di gestire meglio le proprie liability. In generale, mantenere posizioni su obbligazioni con una duration significativa offre un buon grado di copertura nei confronti di shock economici recessivi, che in un frangente come quello attuale non si possono certo escludere».

Interessanti le considerazioni di Thomas Lehr, capital markets strategist di Flossbach von Storch: «Tutto sommato, la situazione è molto meno complicata di quanto possano fare pensare titoli sui giornali come “crollo delle obbligazioni” o “mercato orso delle azioni”. Sia il reddito fisso, sia l’equity hanno reagito in modo molto più vigoroso delle stesse banche centrali e, di conseguenza, hanno già anticipato molto. L’aumento dei tassi d’interesse, da un lato, e il sentiment sempre più cupo degli ultimi mesi, dall’altro, hanno reso la valutazione delle azioni molto più interessante. Questo fatto può essere poco confortante per un investitore che guarda al proprio portafoglio oggi, ma, quando si tratta di investire denaro, la chiave è un orizzonte di investimento a lungo termine».

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Su questo argomento grande lucidità mostra Stefan Rondorf, senior investment strategist, global economics & strategy di Allianz Global Investors: «Se si guardano i dati su rischio e rendimento per l’anno in corso, saltano subito all’occhio le performance dei mercati obbligazionari: da gennaio l’indice dei titoli di stato Usa ha perso circa il 10% e il corrispondente indice per l’Eurozona è sceso di circa il 14%. Inoltre, la volatilità sui mercati dei Treasury statunitensi ha recentemente raggiunto i massimi storici. I prezzi delle obbligazioni diventeranno volatili come quelli delle azioni? Nel lungo periodo probabilmente no. Tuttavia, per gli investitori obbligazionari sta iniziando una nuova era. Negli ultimi 30 anni, il sentiero dei tassi d’interesse statunitensi è diventato sempre più regolare, con un appiattimento dei valori massimi e minimi. Questo periodo sembra finito, così come le tendenze strutturali che contrastano l’inflazione, quali la globalizzazione e il costante incremento della forza lavoro disponibile negli ultimi decenni».

Mi ha colpito molto poi l’intervento di Andrew Balls, cio fixed income di Pimco, perché ci rigurda quale dovrebbe essere il comportamento più corretto per ogni consulente finanziario.  Esprime infatti un giudizio molto netto e chiaro sulla fine dell’inseguimento al rendimento a ogni costo: «Guardando al futuro, anziché fare la corsa ai rendimenti, crediamo che nella costruzione dei portafogli gli investitori si adopereranno per ottenere allocazioni più robuste e per rafforzare la resilienza a fronte di un contesto di maggiore incertezza per la volatilità macroeconomica e di mercato e sul versante del sostegno da parte delle banche centrali. Da parte nostra, punteremo a potenziare la resilienza dei portafogli che gestiamo per conto dei clienti e a trarre benefici nelle fasi di volatilità dei mercati».

Ci fornisce inoltre uno spunto sull’obbligazionario americano degno di nota:

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LA RECESSIONE

Scrive Boris Secciani: il rischio più angosciante dunque è che la guerra all’inflazione porti a danni pesanti e prolungati all’economia globale. Campane scarsamente ottimistiche da questo punto di vista vengono suonate da Andrew Balls, cio fixed income di Pimco, la società di asset management dove fu appunto elaborato il concetto di New normal: «Ravvisiamo un elevato rischio di recessione all’orizzonte dei prossimi due anni alla luce del maggiore potenziale di turbolenze sul versante geopolitico, dell’inflazione ostinatamente alta che riduce il reddito reale disponibile delle famiglie e della determinazione delle banche centrali a concentrarsi prima di tutto sulla lotta al caro vita, che, in aggiunta al netto inasprimento delle condizioni finanziarie già osservato, aumenta il rischio di incidenti finanziari. Inoltre, quando arriverà l’eventuale prossima recessione, ci aspettiamo che la risposta monetaria e fiscale sarà più contenuta e ritardata in confronto alle ultime recessioni, quando l’inflazione non era una preoccupazione e i debiti pubblici e i bilanci delle banche centrali erano meno ingrossati. Sebbene per molte ragioni riteniamo improbabile che sarà profonda come la Grande recessione del 2008 o il repentino stop della crisi del Covid nel 2020, la prossima recessione potrebbe però essere più prolungata e/o la successiva ripresa rischia di essere più fiacca per una risposta meno vigorosa da parte delle banche centrali e dei governi». In pratica il rattoppare crisi precedenti, causate da un progressivo eccesso di indebitamento, con sempre più leva in ogni ganglio del sistema, sta oggi presentando il conto da pagare.

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Un riassunto molto lucido di quanto accaduto è fornito da Guido Maria Brera, chief investment officer di Kairos: «Ci troviamo con le performance degli indici azionari negative in media del 20% e non abbiamo raffronti recenti che mostrino che perdite di questo livello fossero accompagnate da altrettante così consistenti sull’obbligazionario, con il Treasury americano che ha messo a segno il peggiore rendimento annuale della sua storia. La performance del portafoglio medio (60 obbligazionario/40 azionario) è ora negativa del 16% dall’inizio dell’anno. Non è solo il numero a sorprendere, ma sono la velocità e la consistenza del fenomeno: non dobbiamo infatti meravigliarci quando vediamo in 10 delle ultime 11 settimane i diversi indici azionari americani entrare nella definizione di bear market. Il bear market vissuto fino a oggi sull’azionario ha determinato un impatto pari al 43% del Pil globale e ciò non include l’effetto delle perdite sui bond e quelle potenziali sull’immobiliare. È avvenuto tutto in un mondo finanziario che sta iniziando ad avere una crisi di liquidità e dove i volumi sui mercati sono andati scemando, creando veri e propri vuoti d’aria»

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Non è però tutto negativo specie pensando all’Europa e alla potenziale costruzione di un portafoglio:

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Passando agli Stati Uniti ci sono dati tecnici molto interessanti che ci riportano alla centralità della definizione della composizione degli indici, come ci illustra Marco Pirondini, head of equities Us portfolio manager di Amundi Asset Management:

«Nel giro di alcuni mesi, il cambiamento del contesto dei tassi di interesse ha indotto gli investitori a focalizzarsi su un aspetto che negli ultimi anni avevano più o meno ignorato: la valutazione. Dall’inizio dell’anno fino al 17 maggio, il quintile meno costoso delle azioni dell’S&P 500 ha fornito un rendimento del 6%, nonostante la discesa complessiva dell’indice, mentre quello più caro ha registrato un calo del 23%».

La redazione di Fondi & Sicav completa poi il ragionamento: va detto che il 20% più economico era caratterizzato da una forte concentrazione di aziende legate alle risorse naturali, energia in primis, che hanno goduto in questo 2022 di un boom. Fa comunque impressione notare che gli investitori si sono comunque buttati su un segmento di mercato fino a pochissimo tempo fa ai limiti della condizione di paria. Questo fenomeno induce anche a tenerne a mente un altro del recente passato: la monotonia (ai limiti della monomania) di un listino statunitense dominato da poche mega-cap dell’It e dei consumi discrezionali. La transizione verso una Wall Street più value si porterà dietro inevitabilmente un ritorno del ruolo della gestione attiva, o quanto meno con criteri smart beta, spezzando così il ciclo di capitalizzazioni crescenti che si autoalimentavano. Al di là dei prossimi mesi, dunque, potremmo forse ritrovarci con un’Europa tornata al suo business as usual e una sorta di mondo alla rovescia negli Stati Uniti.

LE MATERIE PRIME

Diana Wagner, gestore di portafoglio azionario di Capital Group, afferma: «I cambiamenti a lungo termine verso un futuro digitale, l’implementazione dei veicoli elettrici e la transizione verso l’energia pulita continueranno probabilmente a creare opportunità per gli innovatori in queste aree. Tuttavia, queste tendenze stanno anche creando difficoltà per le vecchie industrie, come l’estrazione mineraria e il trasporto ferroviario. Il nichel, ad esempio, è un componente chiave delle batterie dei veicoli elettrici. Lo stesso vale per il rame, necessario per gli aggiornamenti della rete elettrica. E mentre il settore software sta diventando un attore sempre più essenziale nella produzione di automobili moderne, l’acciaio rimane un elemento necessario. In effetti, negli ultimi mesi i prezzi di determinate materie prime sono saliti alle stelle, una tendenza amplificata dalla guerra tra Russia e Ucraina, i principali produttori di nichel, rame e grano. Molti hanno sottovalutato quanto rame sia necessario per sostituire e modernizzare la rete elettrica man mano che la domanda aumenta. Aziende come la società metallurgica e mineraria canadese First Quantum Minerals, che si concentra sul rame, e la brasiliana Vale, produttrice di minerale di ferro, potrebbero trarne vantaggio. L’aumento della domanda di materie prime ed energia potrebbe anche fare aumentare la domanda per le ferrovie del Nord America, che costituiscono la via più conveniente per trasportare materiali pesanti. Anche le ferrovie hanno un potenziale potere di determinazione delle tariffe, importante nell’attuale contesto inflazionistico. In genere, i prezzi applicati si basano sul costo delle merci sottostanti che trasportano, quindi i ricavi aumentano con i corsi delle materie prime».

Se da un lato i minerali ferrosi possono avere un ruolo nel nostro portafoglio, dall’altro possiamo anche prendere in considerazione le commodity agricole come ben illustrato in questo intervento:

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Una delle chicche poi di questo numero è lo spazio dedicato alle terre rare.

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Il mensile prosegue poi con due approfondimenti di grande attualità:

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È possibile per il lettore di Mork & Mindy scaricare il pdf per questo numero cliccando sopra una qualsiasi delle immagini allegate all’articolo che fanno riferimento al mensile di luglio – agosto appena uscito.

 

Buona estate