Molto spesso sentiamo parlare dei vantaggi per la Russia relativi all’aumento del prezzo del petrolio. Certamente è così, un vantaggio per tutti gli esportatori.
È anche l’incremento del prezzo del greggio potrebbe non dipendere solo dall’escalation della guerra.
In realtà, se si analizzano le dinamiche di questo gruppo di nazioni (si riferisce all’OPEC), responsabili per circa il 40% della produzione planetaria, vediamo che i margini non sono amplissimi. Nitesh Shah, head of commodities & macroeconomic research di WisdomTree, afferma: «L’Opec sta ancora espandendo la sua produzione, ma non così tanto come aveva inizialmente indicato. Mentre l’organizzazione nel complesso sta aumentando le sue quote di produzione di 400 mila barili al giorno ogni mese, alcuni membri non riescono a produrre quanto previsto dalla loro quota, mentre altri sono in grado di garantire una produzione di riserva. Secondo le stime dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, le scorte di petrolio dell’Ocse a dicembre 2021 si sono attestate a 255 milioni di barili, al di sotto della media quinquennale, segnando il livello più basso in sette anni. La scarsità dell’offerta di petrolio contribuisce a spiegare la struttura di backwardation dei future sul greggio Brent e Wti. L’offerta di petrolio non Opec potrebbe vedere i mercati petroliferi in eccedenza nel 2022, ma la consegna cronica sotto quota dell’Opec pone un rischio».
Inoltre la stessa Russia contribuiva alla parziale carenza di offerta già prima della guerra:
Qualche cifra fornita da Stephane Monier, chief investment officer di Lombard Odier Private Bank, è sicuramente interessante: «Nel corso del 2021 le aziende russe hanno estratto in media 10,52 milioni di barili al giorno, in crescita del 2,4% rispetto al 2020. A gennaio di quest’anno, poi, la produzione è salita rispetto al mese precedente di appena lo 0,7%. Si tratta di valori inferiori a quanto era stato pattuito negli accordi con gli altri membri dell’Opec+, che avrebbero permesso al Paese di tornare a livelli di output pari a quelli pre-pandemia ad aprile o maggio di quest’anno».
Da cui le ovvie conclusioni:
Perciò, chi rimane all’interno del cartello dotato di mezzi e volontà di alleviare un minimo i mercati globali? La risposta viene enunciata sempre da Monier: «De facto sono solo pochi i paesi dell’Opec ad avere la possibilità di alzare significativamente la produzione: nello specifico Arabia Saudita, Emirati Arabi, Iran e Iraq»
Da pagina 18 passiamo poi al ruolo degli Stati Uniti che come abbiamo visto è più determinante di quanto ci si possa immaginare.
In un momento come questo, tuttavia, uno sforzo da parte del colosso statunitense sarebbe fondamentale per riportare un minimo di calma sul mercato del greggio. In particolar modo, dopo la durezza da parte delle autorità politiche del Paese nei confronti della Russia.