Il 14 febbraio il governo giapponese ha indicato il successore di Haruiko Kuroda alla carica di governatore della BoJ: è l’economista Kazuo Ueda. L’accademico ha fatto parte del board della BOJ dal 1998 al 2005.
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Questo commento è del corrispondente dal Giappone della Bbc, Rupert Wingfield-Hayes. C’è forse del rammarico nel pensare a come siano andate deluse le aspettative nei confronti del paese che sembrava dovesse ospitare il futuro. Non è andata così, purtroppo, anche se la nazione continua a mantenere un certo fascino nei confronti di coloro che vi abitano o che vi hanno abitato e con tutte quelle peculiarità che ne hanno impedito il cambiamento, ma che contestualmente lo rendono unico. Il Giappone, negli anni, è rimasto il Giappone ed è forse proprio questo aspetto che esercita curiosità e cattura chi lo avvicina.
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Il “ventennio perduto”
Negli anni ‘80, il Sol Levante emerse come potenza economica globale, ma lo scoppio della bolla immobiliare-finanziaria, agli inizi degli anni’90, ne pregiudicò il futuro. La grave crisi che ne seguì, con istituti di credito sommersi da crediti inesigibili, alcuni diventati insolventi, ebbe effetti consistenti anche sull’attività economica del paese. Si entrò così in quello che è passato alla storia come il “ventennio perduto”, caratterizzato da una crescita contenuta e dalla deflazione. Tutti gli interventi governativi, con una serie di consistenti piani di stimolo fiscale, non produssero i risultati auspicati nel lungo periodo e il Giappone continuò così a trovarsi in una situazione di incapacità a superare le conseguenze di quanto avvenuto negli anni ’90. Il paese scivolò da un ruolo di protagonista nello scenario economico globale a quello di comprimario, sul quale si abbatterono, poi, sia la Grande crisi finanziaria, sia il terremoto del Giappone orientale, che misero a dura prova la resilienza della nazione.
Il “ventennio perduto” si concluse con l’avvento dell’Abenomics nel 2012, un piano di rilancio che veniva simbolicamente rappresentato dalle “tre frecce” del programma di colui che ne era stato l’ideatore, il primo ministro Shinzo Abe. Esse erano: la politica monetaria, gli stimoli fiscali e le riforme strutturali. Se Abe ebbe successo nel centrare l’obiettivo con la sua prima freccia, con il sostegno della BoJ, incontrò però molte difficoltà a fare lo stesso con la terza e molti dei suoi ambiziosi piani rimangono tuttora irrealizzati. Lo scoppio, poi, della pandemia, nel 2020, costituì un’ulteriore battuta d’arresto per l’attività economica. Con quasi tre decenni di deficit di bilancio consecutivi, il debito pubblico è ora diventato circa il 240% del Pil.
Un paese vecchio
Questo è il contesto che fa da sfondo a un paese in rapida trasformazione demografica. Si prevede che la popolazione giapponese in età lavorativa (15-64 anni) si ridurrà di oltre un terzo entro il 2060, con un conseguente calo significativo della forza lavoro. Un terzo dei giapponesi ha più di 60 anni e questo fatto rende il Sol Levante il più vecchio paese al mondo (età media 47,3 anni), dopo il principato di Monaco (età media 53,1). Entro lo stesso anno, la popolazione totale è prevista a 93 milioni, con una quota di anziani che salirà al 38% della popolazione, lasciando solo 1,3 persone in età lavorativa per ogni anziano. L’impatto della contrazione della forza lavoro sarà aggravato dal basso livello di produttività del Giappone, che è inferiore alla media dei paesi membri dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse). Ma l’invecchiamento demografico ha conseguenze non solo sul tessuto economico, ma anche su quello sociale e sui conti pubblici, con una pressione in aumento per la spesa e per l’assistenza sanitaria e pensionistica.
Per fare fronte a questo fenomeno, il Giappone ha aperto le porte ai lavoratori stranieri. Il programma 2019 per le competenze specifiche è stato un cambiamento epocale, ma il numero di coloro che vi hanno aderito finora è solo una frazione di ciò che ci si aspettava. A oggi, in Giappone, i cittadini stranieri sono solo il 3%, rispetto all’8,7% dell’Italia e al 15% del Regno Unito. La chiusura nei confronti di chi viene dall’estero sembra, in qualche modo, rimanere. Che cosa fare quindi per affrontare la questione dell’invecchiamento? Aumentare il tasso di fertilità potrebbe essere una strategia, ma comporta una riduzione dei costi della formazione scolastica e un aumento della spesa sociale destinata alle famiglie, cui devono essere aggiunte politiche che facilitino la partecipazione femminile al mondo del lavoro.
In questa direzione, i risultati raggiunti dalla “womenomics” sono da apprezzare: nel 2021 in Giappone l’84,1% degli uomini ha avuto un lavoro retribuito, rispetto al 71,5 % delle donne (in Italia i valori sono, rispettivamente, 67,08% e 49,42%) in confronto a una media Ocse di 75,06% e 60,42%.
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Incoraggiare i lavoratori stranieri in Giappone e aumentare la fertilità aiuterebbero il paese a fare fronte alle pressioni demografiche, ma dovrebbero anche essere accompagnate da misure per aumentare la produttività e la partecipazione alla forza lavoro, in particolare tra le donne e gli anziani.
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Inoltre, sono fondamentali il passaggio a sistemi occupazionali e salariali più flessibili, basati sul rendimento, piuttosto che sull’età, una parità di retribuzione a parità di lavoro e l’abolizione del pensionamento obbligatorio per aumentare l’età di accesso alla pensione. Un altro fattore che mitigherebbe gli effetti del trend demografico in atto è l’innovazione, che in Giappone, nonostante l’elevata intensità del R&S e il numero di brevetti, dovrebbe essere ulteriormente alimentata e migliorata.
I salari non crescono
All’interno di questo scenario del mondo del lavoro, manca però un tassello: le dinamiche salariali. Nel 2020, il mercato ha fatto registrare retribuzioni annuali reali di circa 39 mila dollari Usa, solo il 4% in più rispetto a 30 anni prima. Il tasso di disoccupazione lo scorso novembre è stato del 2,5% rispetto a una media Ocse che, a ottobre 2022, si è attestata al 4,9%. Le condizioni generali continuano a mostrare forza, ma non è detto che le trattative salariali di primavera (shunto) possano portare a miglioramenti significativi. Attualmente, le condizioni del mercato sono tali da non produrre quell’aumento del 3%, auspicato dal governatore della Banca centrale giapponese (Boj), per raggiungere l’obiettivo del 2% di inflazione.
Il governo, guidato da Fumio Kishida, sta compiendo grandi sforzi per aumentare le retribuzioni e riqualificare la forza lavoro, tanto che è stato annunciato un pacchetto di stimoli economici che include anche incentivi alle imprese per aumentare i salari e contribuire a sostenere l’economia.
Inflazione in aumento
Nel frattempo, l’inflazione ha toccato il 4% a dicembre 2022, il massimo da 41 anni, ma la Boj continua a mantenere invariata la propria politica monetaria espansiva, insieme al controllo della curva dei rendimenti (Yield curve control- Ycc), iniziata nel 2016. Durante la prima metà del suo mandato, iniziato nel 2013, il governatore della Boj, Haurihiko Kuroda, aveva condotto massicci acquisti di titoli allo scopo di fare scendere i tassi e sostenere l’economia giapponese: era lo scoccare della prima “freccia” della Abenomics. L’introduzione successiva della Ycc aveva visto l’attività della Boj concentrarsi su questo obiettivo e finalizzare l’attività di acquisto titoli in tale direzione. A questo proposito, però, va forse detto che la Ycc ha anche provocato un mal funzionamento del sistema finanziario giapponese, poiché la Banca centrale, acquistando circa il 98% delle emissioni di bond pubblici, non ha consentito ad altre istituzioni finanziarie (fondi pensione, banche e asset manager) di ottimizzare la loro esposizione al mercato dei bond domestici, azzerando di fatto il funzionamento del mercato interbancario. La mutata situazione a livello globale e l’aumento generalizzato dei tassi d’interesse dello scorso anno hanno finito per lasciare il Giappone in un angolo, con lo yen in balia delle vendite del mercato.
Ora l’andamento dei prezzi al consumo sta generando preoccupazione nel paese, tanto che sono aumentate anche le pressioni politiche affinché la banca centrale modifichi le proprie posizioni. Un segnale, in questa direzione, era emerso in occasione dell’ultima riunione della Boj a dicembre 2022, quando era stata presa la decisione di allargare la fascia di rendimento target per il titolo governativo decennale (Jgb) e il potenziamento della long term facility. Nel successivo incontro, tenutosi a gennaio di quest’anno, l’istituto di emissione ha tuttavia lasciato la politica monetaria invariata.
Cambio della guardia
Si è di fronte a un errore di gestione della politica monetaria? O forse il livello dell’inflazione core non è tale da destare particolare preoccupazione, soprattutto perché lo shunto non porterà ad alcun significativo aumento salariale? E ancora: sono leciti i continui inviti della politica a tenere sotto controllo l’inflazione?
Il mandato di Kuroda scade tra pochi mesi e il suo successore si troverà con un’eredità non facile da gestire. Lasciare la politica monetaria invariata, nella situazione attuale, non solo è dispendioso, ma non sembra che abbia avuto un effetto positivo per il mercato obbligazionario. Anche abbandonare il controllo della curva comporta, però, diversi rischi, visto che a livello globale si va verso un rallentamento economico e non è ancora chiaro quale sarà il risultato delle trattative salariali. L’obiettivo della politica monetaria ultra-espansiva era creare un circolo virtuoso nell’economia, attraverso l’aumento dei consumi e dei salari. In parte è stato raggiunto, ma non in modo sufficiente da irrobustire l’attività economica e la crescita del paese. Il nuovo governatore dovrà affrontare scelte difficili e dare una risposta credibile alla comunità finanziaria e al governo su quale sia la migliore strategia per perseguire un’inflazione stabile al 2%, senza peggiorare le condizioni economiche del paese. Toccherà però anche all’esecutivo e ai legislatori fare la loro parte e assumersi la responsabilità di realizzare le riforme strutturali necessarie al paese.
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