Giappone, nuovo premier, vecchia politica di Pinuccia Parini

Mercoledì 29 settembre, Fumio Kishida ha vinto le elezioni per la leadership del Partito liberal democratico (Ldp) e diventerà il prossimo primo ministro del Giappone. Figlio di un burocrate del ministero del commercio diventato parlamentare dell’Ldp, ex ministro degli esteri, è noto per la sua personalità mite e la sua fermezza.  Dal 1945 a oggi in Giappone si sono succeduti 37 presidenti del consiglio e, quasi ininterrottamente, il partito che ha guidato il paese negli ultimi settant’anni è stato l’Ldp.

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Dopo solo un anno dalla sua nomina, Yoshide Suga ha dato le dimissioni. Lo scorso 3 settembre aveva annunciato che non si sarebbe candidato alla rielezione nella competizione per la leadership dell’Ldp. Questa decisione, per i meccanismi del sistema politico giapponese, significa decadere automaticamente dalla carica di primo ministro. Il consenso popolare sceso al 28% ad agosto (sondaggio Asahi) è stato frutto dell’insuccesso del tentativo di adottare una serie di strategie per riconquistare il consenso popolare. Le lotte intestine all’interno dell’Ldp, che avevano palesato anche la possibilità di un rimpasto di governo e di elezioni anticipate prima della competizione per la guida del partito, avevano fatto gettare la spugna a Suga. Il lento andamento della campagna vaccinale, nonostante l’accelerazione impressa nell’ultimo periodo che ha portato a un tasso del 59% di inoculati con due dosi (dato del 28 settembre), ha pesato parecchio sul suo esecutivo. 

UNA PESANTE SCONFITTA

E poi ci sono state le elezioni a Yokohama, che si sono rivelate una pesante sconfitta per il partito di maggioranza. La vittoria è andata a Takaharu Yamaka, nominato a sorpresa sindaco, che ha sconfitto il candidato sostenuto dal primo ministro, Hachiro Okonogi. La perdita di Yokohama è stata cocente per l’Ldp, perché la città è il capoluogo della prefettura di Kanagawa, la seconda città più popolosa del paese dopo Tokyo e sede del collegio elettorale del seggio di Suga alla Camera dei rappresentanti. Il giovane neo-sindaco già professore alla Yokohama City University, ha vinto con il sostegno del Partito costituzionale democratico, del Partito socialista e di quello comunista, tutti e tre all’opposizione dell’attuale governo, facendo leva su due temi: le modalità di contrasto alla pandemia e la critica alla possibilità per la città di ospitare un resort integrato con un casinò all’interno. Forse è stato proprio il risultato di Yokohama a imprimere un’accelerazione alla decisione di Suga di dare le dimissioni, non trovando un adeguato sostegno all’interno del proprio partito.

QUATTRO CANDIDATI

Fumio Kishida è forse il risultato di un compromesso all’interno del partito, che probabilmente ha voluto scegliere una figura politica che non generasse forte discontinuità e senza particolari caratteri distintivi rispetto al suo predecessore. Non è forse un caso che, sino all’ultimo momento fosse incerto chi, tra i quattro candidati in corsa, avrebbe vinto il confronto. Kishida ha sconfitto Taro Kono, un politico dai tratti più decisi, istruito negli Usa, una personalità probabilmente più anticonformista rispetto alla tradizione dell’Ldp, e due donne, Sanae Takaichi, sostenuta da Shinzo Abe, e Seiko Noda, che ha chiesto più diritti per le donne, gli anziani e le persone con disabilità. Con il neo-premier ha vinto la continuità e, forse, si è persa la possibilità di un rinnovamento all’interno del partito, soprattutto tenendo in considerazione che Kono godeva di un forte sostegno popolare, in particolare da parte delle generazioni più giovani, e le due candidate donne costituivano un elemento di novità. 

Le attese sulle politiche del nuovo primo ministro sono nel segno della continuità con le politiche sinora portate avanti, con l’aggiunta di un pacchetto di stimolo all’economia, un ingrediente quest’ultimo che sembra accompagnare spesso la nomina di un premier, nonostante le sue dichiarazioni durante la campagna elettorale di volersi allontanare da scelte neoliberiste. Se Kishida dovesse continuare sul percorso già tracciato da Abe, per il Giappone, l’economia e i mercati finanziari non ci sarebbero grandi cambiamenti. Tuttavia, il quesito se il paese affronterà o meno un periodo di stabilità politica è legittimo. 

POSSIBILE INSTABILITÀ

Su questo argomento si è tenuto un interessante dibattito tra il professor Leonard Schoppa, del dipartimento di politica dell’Università della Virginia, e Tobias Harris, senior fellow del Center for American Progress, pochi giorni prima delle elezioni all’interno dell’Ldp. Leonard Schoppa si attende un periodo di instabilità politica. Le sue argomentazioni partono dall’osservazione che, prima del lungo periodo in cui Shinzo Abe è stato leader indiscusso, in Giappone si sono alternati per sei anni sei nuovi premier, dimostrando l’incapacità, sia del partito di maggioranza, sia dell’allora più grande partito di opposizione, il Dpj (Partito democratico del Giappone), di esprimere una leadership. L’incertezza politica che dovrebbe caratterizzare il futuro viene spiegata da Schoppa dalla presenza di molti politici ambiziosi di nuova generazione che stanno aspettando il loro turno per ricoprire la carica più alta all’interno dell’esecutivo. 

Ci si potrebbe così ritrovare in una situazione simile a quella che si era creata nel 1987, quando Yasuhiro Nakasone si dimise dopo cinque anni in carica e i nuovi leader nel partito erano ansiosi di avere la possibilità di ottenere un posto di vertice.  Anche allora seguì un periodo di continui rapidi ricambi. Lo stesso avvenne con Junichiro Koizumi. Per Schoppa, il fatto che ci fossero quattro aspiranti ad ambire la carica di Suga, potrebbe portare a ripetere ciò che è avvenuto nel passato. Inoltre, l’Ldp ha più volte dimostrato la propensione ad abbandonare chi politicamente esce sconfitto da un confronto elettorale e, dopo le elezioni del 31 ottobre, ci saranno quelle per la camera alta il prossimo luglio. Decisamente un percorso a ostacoli e arduo per Kishida, soprattutto dopo i risultati raggiunti da Abe. 

Un altro elemento che potrebbe rendere non longevo il nuovo premier è la difficoltà ad affrontare decisioni difficili, sia in campo economico, sia in tema di sicurezza. Vista la demografia del Paese, lo studioso si chiede se il Giappone adotterà misure per favorire l’ingresso nella forza lavoro degli immigrati e delle donne, questioni su cui nell’Ldp si potrebbero aprire chiare divisioni. E poi, a rendere la situazione complessa, c’è la questione energetica e la possibilità che vi sia un cambiamento di mix nelle fonti di approvvigionamento. Fondamentale anche la difesa, per contrastare o convivere con l’ascesa della Cina. 

CONDIZIONI INVARIATE

Tobias Harris, invece, ritiene che i timori di un ritorno a una premiership “a porte girevoli” siano esagerati. In primo luogo, nonostante le dimissioni prima di Abe e poi di Suga, le condizioni che hanno permesso al primo di servire per sette anni e otto mesi rimangono sostanzialmente invariate. La mancanza di fiducia dell’elettorato per i partiti d’opposizione, in particolare per il più grande, il Cdp, è un fattore comunque a favore dei liberal-democratici. Oltre allo scarso appeal dell’opposizione, emerge un appetito limitato per un cambiamento politico, nonostante l’insoddisfazione su come il governo abbia gestito la pandemia. Harris cita un sondaggio del Nikkei Shinbun dove emerge che il 60% degli intervistati desidera che il prossimo primo ministro rimanga in carica per almeno quattro anni e sottolinea che la dipartita di Suga, alla fine, è stato un bene per il Paese che, in larga maggioranza, non voleva che rimanesse a capo dell’Ldp fino alla scadenza del suo mandato. Lo studioso addirittura ritiene che il recente dibattito tra i quattro candidati abbia aperto un sano confronto all’interno del partito, cosa che non era avvenuta quando Suga era subentrato ad Abe. Sarebbe stato più destabilizzante se Suga fosse rimasto alla guida dell’Ldp e avesse dovuto affrontare una perdita di seggi alla Camera bassa alle prossime elezioni. Ciò lo avrebbe messo di fronte a due scelte: rimanere in carica, anche se indebolito, o dare le dimissioni e costringere l’Ldp a nominare un altro presidente e, di conseguenza, un nuovo primo ministro. 

Inoltre, rimarca sempre Harris, anche esaminando i contenuti del programma dei quattro sfidanti, non sono emerse differenze così sostanziali da fare pensare che si possa creare una netta frattura rispetto all’Abenomics. All’interno del partito, ciò che una volta era stato un elemento divisivo, cioè quando e come trovare un equilibrio tra budget e indebitamento del Paese, non sembra più importante. Questo fatto non significa che non vi siano conflitti all’interno del partito, ma sembrano più legati alla personalità dei singoli che a contenuti politici. La stabilità senza rivali dell’Ldp potrebbe non essere necessariamente una buona cosa ma, per il momento, sembra ciò che la maggior parte degli elettori giapponesi vuole.

UN MIX DI VECCHI E NUOVI

Ora Kishida, dopo avere formato il nuovo governo, un mix di vecchi e nuovi arrivati, dissolta la Dieta e decise le elezioni politiche, dovrà stilare il suo programma economico. Subito dopo la vittoria, ha dichiarato l’importanza di continuare a contrastare la diffusione del Covid-19 con una forte determinazione e di compilare un pacchetto di stimoli economici entro la fine dell’anno. Sembra, invece, più improbabile che la sua promessa elettorale di una distribuzione più equa della ricchezza possa cambiare in modo significativo le politiche adottate negli ultimi anni. 

Gli investitori guarderanno con attenzione alle evoluzioni future della vita politica giapponese, soprattutto per verificare che vi sia stabilità e continuità alla guida del Paese, due elementi necessari perché i programmi e le riforme possano essere realizzati: ciò significa che non ci saranno profondi cambiamenti, sia in termini di politica fiscale, sia di quella monetaria, nonostante Kishida abbia proposto una normalizzazione di quest’ultima. Sarà invece necessario avviare ulteriori riforme strutturali e, soprattutto, dare continuità alla politica di ”emissioni zero” decisa da Suga e realizzare un’agenzia digitale.

L’attività economica in Giappone si è ripresa, ma con tempi più lunghi e una forza più contenuta rispetto ad altri paesi industrializzati. Anche per questa ragione sarebbe auspicabile una stabilità politica. E poi c’è il ruolo che il Giappone dovrà o potrà giocare all’interno degli equilibri della regione, con la Cina che diventa una presenza sempre più prominente e allarga la sua sfera di influenza. Gli equilibri internazionali si stanno spostando nel continente asiatico e avere un Giappone forte diventa quasi una necessità, soprattutto per le potenze occidentali che guardano con timore il potere economico e politico della “Terra di mezzo”.

Intanto c’è una notizia positiva: l’emergenza coronavirus è finita lo scorso 1° ottobre.

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