I mitici anni 70 di Gianluca Gabrielli

Ci risiamo. Abbiamo assistito ad dopo un 2020 che ha visto movimenti di mercato che hanno spiazzato molti ed ha premiato pochi. Potremmo citare quale esempio Tesla, salita da 80 dollari a 800 dollari malgrado la totale assenza del titolo dalla maggior parte dei portafogli di gestori “professionali” troppo intenti a fare ragionamenti del tipo “non la compro perché capitalizza come Volkswagen che vende 100 volto di più”. Un 2020 che ha visto i mercati statunitensi sovraperformare i mercati europei e i titoli growth sovraperformare li value.

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Era solo questione di tempo e di qualche innesco giusto perché il partito del mean reverting riprendesse fiato e coraggio.  La cosa più semplice per chi ha perso un trend poderoso è sperare che quella linea gialla del grafico sopra sia una aberrazione e debba tornare sotto la bianca, ed entrambe eventualmente poi debbano finire sotto la linea rossa. Lo chiamano mean reverting ma in realtà non è altro che un nostalgico vago ricordo di quanto fossero belli gli anni 70.

Sono anch’io convinto che il mean reverting sia parte essenziale del capitalismo. I margini aziendali ed i tassi di crescita delle società di successo sono destinati a ridursi per effetto della concorrenza, i tassi di crescita dei ricavi di Tesla sicuramente diminuiranno così come la sua quota di mercato sul mercato delle auto elettriche. Tutto riguarda il significato di “reverting” e la direzione di questo aggiustamento. Ipotizziamo un ritorno verso un trend di crescita crescente, decrescente o stazionario?  Quello a cui stiamo assistendo in questi mesi è la chiamata poderosa da parte del main stream finanziario verso il reflation trade, verso il sovrappeso strutturale di titoli value, banche, finanziari e commodity in alternativa alla presenza di titoli tecnologici. La paura dell’inflazione e la salita dei tassi di interesse vengono utilizzati quale spauracchio.  Sono 30 anni che faccio questo lavoro e non smetto ancora di meravigliarmi di come sia possibile che il messaggio veicolato da uno diventi in un attimo, in maniera assolutamente acritica, messaggio globale in bocca a tutti.  Tanto per fare un altro esempio, potremmo citare la frase:

            “Draghi non è Monti! Monti doveva tassare, Draghi deve spendere! ……. ”  

Pronunciata non si sa da chi appena insediato, subito è diventata un mantra sbandierato da chiunque: provate a digitare “Draghi non è Monti” su Google e vedrete articoli in fotocopia, stile velina, che vanno dal “Manifesto” a “il Giornale”, “Il Fatto Quotidiano” nonché su ogni blog. Tornando ai mercati finanziari, il mantra di cui parlavo è il seguente:

Over the last week, both Goldman Sachs and JP Morgan have implored their sales force to embrace the “commodity super cycle”. We must buy every dip we see.

“European equities have been enjoying a rally in February as a combination of vaccine progress and generous stimulus measures push the Stoxx 600 near the record high set just before the Covid-19 selloff a year ago. Value and cyclical sectors, such as banks, commodities producers and travel companies, have been leading the reflation trade-driven advance, with the likes of JPMorgan Chase & Co. predicting that the market has more firepower for the rest of this year.”

The Nasdaq has 50% downside from here, rebalance the portfolio before the market forces you to.

Come vi ho già sottolineato, ho indicato il mantra ed il suo corollario: la partenza dell’inflazione giustifica un sovrappeso dell’Europa i cui listini vedono protagoniste le banche, l’oil e in generale i titoli value, investimenti alternativi all’equity statunitense.

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Innanzi tutto prima di mostrare la inconsistenza del mantra reflazionistico (pari, vedrete a quella della presunta diversità tra Draghi e Monti) è importante notare che la chiamata in corso è ricorrente nel tempo ed è sempre stata un fallimento:

FEBBRAIO 2015

Why Buffett, Soros and Shiller are investing in Europe

Ben Brettell looks at why the world’s expert investors are eyeing bargains in Europe’s stock markets. George Soros, the man who famously ‘broke the Bank of England’ by betting against sterling in the early 1990s, has been selling US holdings to buy European stocks. Soros, who has a net worth of $26bn, is said to have shifted around $2bn into holdings in Europe and Asia.  Meanwhile, Nobel prize-winning economist Robert Shiller, who first popularised the cyclically adjusted price-to-earnings ratio valuation measure described below, has also been eyeing Europe. “I’m thinking of getting out of the United States somewhat. Europe is so much cheaper,” Shiller said in a television appearance last week. He particularly favours the beleaguered markets of Italy and Spain.  Legendary investor Warren Buffett is also turning to Europe – targeting smaller companies in Western Europe for potential acquisition. His firm, Berkshire Hathaway, has around $60bn in cash, and he would now like to spend $40bn of it on investment ‘bargains’ where he will obtain the most value.

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FEBBRAIO 2017

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Dobbiamo imprimere nella nostra memoria l’esito di queste chiamate, dobbiamo interiorizzare il confronto tra quanto abbiamo appena letto e i grafici che sto per condividere:

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Guardando questo grafico potremmo pensare che proprio perché la differenza è oggi così eclatante, potrebbe essere venuto il momento giusto, nel 2021, per premiare gli indici rimasti più indietro.

Ma anche la chiamate del 2015 si poggiava sulle stesse motivazioni, le differenze tra gli indici nei sei anni precedenti erano state altrettanto eclatanti

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Eppure abbiamo visto come sia finita.

Quello che vi posso dire è che solo per un attimo smettessimo di guardare il mercato esattamente come un anziano guarda i mitici anni 70 e cominciassimo a pensare a dove andremo e come saremo tra 10 anni, beh allora la cosa più probabile e che da qua ai prossimi cinque – sei anni, la differenza tra gli Usa e l’Europa potrebbe aumentare di almeno un altro 50%.

E questo perché non c’è nessuna inflazione, nessun ciclo delle commodity, nessuna reflazione in vista, anzi il futuro potrebbe riservarci ben altro!

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Stiamo entrando nell’ “era” del “food as a service”.

 

“By 2030, therefore, we expect 70% of all beef consumed to come from modern production methods (see Figure 12). Precise Fermentation enabled beef alone will replace 55% of the beef market, which means we do not need cell-based beef for the cow to be completely disrupted. We forecast the number of cows in the U.S. will have fallen by 50% by 2030, by which time modern proteins will have 75% of the cow-based protein market. By 2035, the number of cows will have fallen by 75%.”

Lo studio evidenzia le conseguenze negli Stati Uniti di questa rivoluzione:

  • il 60% della terra usata per l’allevamento sarà disponibile per altri usi;
  • ogni famiglia statunitense risparmierà oltre 1200 dollari all’ anno in spese per alimentazione;
  • il valore dei terreni ad uso agricolo scenderà del 60%;
  • il settore agricolo perderà quasi un milione di posti di lavoro mentre il nuovo settore del food as a service aumenterà di quasi pari importo;
  • i risparmi sul sistema sanitario dovuti alla miglior qualità delle proteine da laboratorio rispetto a quelle allevate, sarà di circa 1,7 trilioni di dollari all’anno.

Nel settore dell’energia le previsioni di “rethink” sono che il costo dell’energia senza sussidi sarà pari a 3 centesimi al KWh, un settimo dei costi attuali.

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Il risparmio annuo per ogni famiglia statunitense sarà pari a 1400 dollari di cui 1100 di risparmio sul carburante (supponendo di utilizzare un’auto elettrica) e 300 dollari sulla bolletta elettrica a cui si aggiungono circa 1200 dollari all’ anno di minori costi di manutenzione.  Attenzione quindi.  I costi di food ed energy sono destinata a calare drasticamente.

Ossia la medesima forza che ha fatto convivere un trend decrescente del prezzo del ferro o del Rame con un trend economico crescente sintetizzato dal numero di auto prodotte annualmente,

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Il futuro ci riserva per le componenti inflattive derivanti da cibo ed energia lo stesso andamento che nel tempo ha avuto la componente costo delle comunicazioni:

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La distinzione tra paesi vincenti e perdenti dal lato dell’innovazione non si fa attraverso sterili proclami e slogan preconfezionati (“next generation eu”, “ministero della transizione ecologica”) ma tramite un indicatore: la “total factor productivity”. L’area da abbandonare è quella Euro non quella statunitense. 

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Se dal grafico ricaviamo le differenze cumulate della TFP tra Stati Uniti Cina ed Europa la differenza a favore degli Usa è schiacciante.

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L’ andamento odierno dei mercati, quindi, non è una fuga in avanti rispetto ad andamenti stazionari, e quindi l’eventuale mean reverting avverrà su due trend, quello europeo e quello statunitense, che sono diametralmente opposti come testimoniano sia l’andamento degli utili aziendali,

che l’andamento del PIL.

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La differenza tra Il Pil area Euro e gli Usa era di 2.000 mld di dollari nel 1995, oggi è di 10.000 mld di dollari

Che il vantaggio tecnologico statunitense sia imbarazzante non lo dimostra solo la TFP ma anche le operazioni di M&A. Basti pensare che negli ultimi 20 anni le operazioni di Merger and Acquisition nel Tech sono state di 3,6 trilioni di dollari a livello mondiale, di cui 2,5 trilioni negli Stati Uniti.

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Che la differenza sia imbarazzante lo dimostra la composizione stessa degli indici:

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L’Europa è un modello destinato a vedere implodere il debito degli attori economici (stati o imprese) più deboli ed improduttivi, è un mondo destinato a vedere il mercato azionario languire con l’eccezione di un qualche sussulto causato dall’ improvvisa nostalgia del tempo che fu. Il modello economico statunitense, trainato invece da tecnologia, comunicazioni, biotech è un mondo destinato a crescere e ad ampliare il divario.

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