Il Covid-19 e la responsabilità delle aziende: alcune considerazioni – di Filippo Donati

Non è certa la genesi dell’INAIL (l’Istituto Nazionale per le assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro) ma uno dei passaggi chiave si ritrova nell’anno 1933 in cui furono unite sotto uno stesso ente la Cassa nazionale infortuni e le Casse private di assicurazione.

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Un’atra tappa fondamentale è del 1965, in cui tutti i principi cardine dell’assicurazione infortuni sono stati raccolti sotto un unico Testo Unico. E’ poi nel 2010, con la legge 122 del 30 luglio, che l’INAIL assorbe le funzioni dell’Ispesl (Istituto superiore prevenzione e sicurezza sul lavoro) e dell’Ipsema (Istituto di previdenza per il settore marittimo), accrescendo ulteriormente le proprie competenze istituzionali. Si crea in tal modo, in Italia, un Polo della Salute e della Sicurezza.

L’INAIL, con entrate annue pari a più di 12 miliardi di EURO, è un ente pubblico il cui scopo principale è la tutela della salute negli ambienti di lavoro e di vita, cosi come fornire assicurazioni e indennizzi ai lavoratori che subiscono un infortunio o contraggono una malattia infettiva nell’ambiente di lavoro. L’INAIL è una vera e propria assicurazione che opera in regime di monopolio, dato che è obbligatoria per legge e non ci sono Enti pubblici o privati alternativi a cui fare riferimento.

L’INAIL insieme all’INPS e al SSN costituiscono le basi del “Welfare State” italiano.

Proprio a causa del Covid-19, il nostro “Welfare State” è stato messo a durissima prova, prima mobilitando tutte le risorse disponibili del SSN per affrontare al meglio la crisi delle terapie intensive, poi con i 600€ alle partite iva in difficoltà e la cassa integrazione in deroga di cui si è occupato l’INPS, e adesso in prossimità con la fase 2, quindi con la riapertura di tutte le attività produttive e commerciali, l’INAIL è chiamato in causa per rispondere ad un dubbio fondamentale il Covid-19 può essere considerato infortunio sul lavoro?

La pandemia e l’INAIL

Se non vi è dubbio che le malattie infettive siano ricomprese tra gli infortuni che possono capitare sul luogo di lavoro, anche considerando che a partire dagli anni ’70, sono stati isolati i virus dell’epatite B e C, e che negli anni ’90 ha fatto la sua comparsa la sindrome da immunodeficienza acquisita, HIV, diverso potrebbe essere il caso del Sars Cov-2.

Il coronavirus ha, infatti, scatenato una pandemia a livello mondiale, come annunciato dal suo Direttore Generale Tedros Adhanom Ghebreyesus in una drammatica conferenza stampa l’11 marzo 2020.

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Siamo in una vera e propria pandemia a livello mondiale e con le mille regole comprese nei Decreti Salva Italia, Cura Italia che hanno limitato la libera circolazione delle persone, sarà molto difficile per chiunque provare il nesso di casualità tra l’infezione di coronavirus e il fatto che questa sia stata contratta sul luogo di lavoro o in itinere.

Le aziende sono però in allarme: i rischi che si aprono in questo contesto economico e sociale, per il datore di lavoro sono enormi.

 

I dati INAIL sui contagi da Covid-19 di origine professionale al 4 maggio 2020

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Al 4 maggio i casi denunciati di contagi sul posto di lavoro ammontavano a più di 37.000, di cui mortali 137, con un’incidenza nettamente maggiore delle donne rispetto agli uomini. Va detto che la maggior parte degli infortuni riguarda tecnici della salute, operatori socio-sanitari e medici ma le categorie interessate sono le molteplici e in continuo aumento.

Cosa rischia il datore di lavoro?

 

Se si dovesse accertare che un lavoratore ha contratto il Covid-19 in azienda a causa di dolo o colpa grave del datore di lavoro, anche a seguito di misure antinfortunistiche carenti, questi può essere ritenuto responsabile penalmente per i reati di lesioni personali gravi/gravissime (art. 590 c.p.) o di omicidio colposo (589 c.p.).

Le aziende hanno timore di vedersi coinvolte in una serie infinita di cause e sostengono con forza che deve essere provato, dall’interessato, il nesso di casualità tra malattia e posto di lavoro, e che in ogni caso se sono stati rispettati i protocolli di sicurezza sui luoghi di lavoro, le aziende devono essere esentate dalla responsabilità penale.

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L’azienda e le assicurazioni

 

Indipendentemente dalla situazione attuale connessa al COVID-19, una buona assicurazione di responsabilità civile verso terzi e prestatori d’opera (quindi i dipendenti) ha il compito di tutelare le aziende da eventuali esborsi che queste siano tenute a pagare se ritenute responsabili verso il lavoratore per le conseguenze di un infortunio sul lavoro.

L’INAIL, infatti, ha il compito di tutelare il lavoratore contro i danni fisici ed economici derivanti da infortuni e malattie causati dall’attività lavorativa ed esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile conseguente all’evento lesivo subito dai propri dipendenti, salvo i casi in cui, in sede penale o, se occorre, in sede civile, sia riconosciuta la sua responsabilità per reato commesso con violazione delle norme di prevenzione e igiene sul lavoro.

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Il datore di lavoro deve senza dubbio prestare grande attenzione alla sottoscrizione di una valida e capiente polizza di RCO come primo passo per un’attenta politica di gestione dei rischi assicurativi in azienda.

Non da meno dovrebbe essere la decisione di sottoscrivere una polizza di Tutela Legale, che protegge e aiuta l’azienda in caso di contenzioso sia a livello civile che penale. Si sottolinea che le polizze RCO/RCT non contengono copertura sulle spese per i contenziosi penali, mentre si potrebbero sovrapporre con le spese per i conteziosi in sede civile, ma con il vantaggio di nominare un legale di propria fiducia.

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Il protocollo d’intesa, firmato il 14 marzo 2020 tra Governo e parti sociali, avente come scopo il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro, da una parte aumenta gli obblighi a carico del datore di lavoro per la tutela dei lavoratori, dall’altra non manleva l’azienda dalle proprie responsabilità, ma in aggiunta la potrebbe esporre a maggiori rischi di errori e dimenticanze.

Il rischio è troppo elevato e la materia in troppo rapido cambiamento.

Una situazione in piena evoluzione: la circolare INAIL 22/2020 del 20 maggio

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L’attenzione rimane alta. Mentre scriviamo il nostro pezzo, L’INAIL tranquillizza gli animi annunciando una nuova circolare. In essa si sottolinea che non possono confondersi i presupposti per l’erogazione di un indennizzo INAIL con i presupposti per la responsabilità penale e civile di un’impresa nel caso di infezione da virus Sars-CoV-2 sul posto di lavoro di un lavoratore.

L’INAIL ribadisce che per creare un nesso tra responsabilità penale e infezione deve essere provata colpa grave o dolo nella condotta tenuta dal datore di lavoro per quanto attiene alle norme e/o degli obblighi dei protocolli di sicurezza e nelle disposizioni governative e regionali emesse (decreto-legge 16 maggio 2020, n.33). Il rispetto delle misure di contenimento, se sufficiente a escludere la responsabilità civile del datore di lavoro, non è certo bastevole per invocare la mancata tutela infortunistica nei casi di contagio da Sars-Cov-2, non essendo possibile pretendere negli ambienti di lavoro il rischio zero.

La conclusione è che l’INAIL conferma che è molto difficile ipotizzare la colpa del datore di lavoro, in assenza di una dimostrata violazione delle misure di contenimento del rischio di contagio di cui ai protocolli o alle linee guida di cui all’articolo 1, comma 14, del decreto-legge 16 maggio 2020, n.33.