Il Long Term Care alla prova del Covid-19 di Filippo Donati

L’interessante report pubblicato da Innovation Team, una società specializzata del Gruppo Cerved, “Termometro Italia” ci racconta di come le famiglie italiane stanno reagendo alla crisi Covid 19, e quali sono le preoccupazioni che in questo periodo di emergenza sanitaria ed economica sono maggiormente aumentate: la possibilità di ricevere cure adeguate in caso di malattia, di riuscire a mantenere la continuità del reddito ed infine di ricevere un’assistenza adeguata in caso di non autosufficienza.

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Vi è quindi una grossa preoccupazione legata alle cure adeguate sia in caso di malattia che di perdita dell’autosufficienza. Eppure il nostro paese investe sia sulla sanità sia sui servizi di assistenza un ammontare rilevante di soldi.

La prima interessante domanda è: quanto spende l’Italia per il Long-Term care, cioè per l’assistenza, gratuita, ai cittadini che non sono più autosufficienti? 

Ci viene in aiuto un report dell’OECD, ovvero l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico che indica che l’Italia spende lo 0,6% del proprio prodotto interno lordo per finanziare tale servizio. Nel grafico sotto riportato, si vede che alcuni paesi, quelli nordici ad esempio, come Norvegia o Svezia ma anche Olanda spendono più del 3%. In altri paesi la spesa è meno rilevante e in Germania, paese in cui è obbligatorio assicurarsi, si spende l’1,6% del PIL.

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A livello mondiale la World Health Organisation sta monitorando molto da vicino l’impatto del Covid19 sui servizi di LTC, ed ha stilato una lista di 10 obiettivi per prevenire e gestire l’impatto della pandemia da COVID-19 sui servizi Long-term care:

 

  1. Dare priorità ai servizi di LTC durante la pandemia da COVID-19, attraverso un attento meccanismo di coordinamento delle risorse.
  2. Investire più fondi per rispondere più efficacemente alla pandemia
  3. Incrementare la prevenzione dell’infezione e i controlli nei servizi dedicati all’LTC per gestire al meglio i casi di contagio da COVID-19
  4. Implementare le misure di sicurezza sia per i pazienti delle strutture LTC che per gli operatori
  5. Dare priorità al tracciamento e al monitoraggio della diffusione del virus SAR COV 2 tra la popolazione che riceve e che fornisce servizi di LCT
  6. Identificare e mobilizzare le risorse necessarie anche in momenti di picco per fornire servizi appropriati di LTC durante tutto il corso della pandemia da COVID-19
  7. Aumentare il supporto alle famiglie “caregivers” durante la pandemia da COVID-19
  8. Coordinamento tra servizi per assicurarsi la continuità delle cure, come anche l’accesso alle strutture da parte del personale addetto
  9. Assicurare l’accesso ad aiuti anche palliativi durante la pandemia da COVID-19
  10. Dare priorità al benessere psicologico delle persone che ricevono e che erogano i servizi di LTC, durante e dopo la pandemia da COVID-19

 

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Covid-19: stress-test per la Long Term Care

La recentissima pandemia da SARS-CoV-2 ha messo in grave crisi i sistemi sanitari di tutto il mondo. In Italia la vulnerabilità e la disorganizzazione del SSN hanno contribuito ad accrescerne gli effetti negativi.

Oramai è accertato che la mortalità in Italia del 2020 è risultata molto maggiore rispetto alla media del quadriennio 2015-2019. Nelle aree più colpite, come la provincia di Bergamo, l’eccesso di mortalità relativo ha superato il 500%. L’impossibilità di inquadrare precocemente i malati di Covid-19 a rischio di sviluppare una patologia grave ha fatto sì che gli accessi al sistema ospedaliero fossero troppo numerosi per le risorse disponibili e i malati fossero ricoverati spesso in condizioni cliniche già gravi. Inoltre grave è stato l’impatto della pandemia sui pazienti che non sono stati curati in maniera efficace sul territorio. La pandemia ha colto l’Unione Europea (UE) in un periodo di cambiamento demografico senza precedenti. I cittadini europei vivono più a lungo e l’aspettativa di vita libera da disabilità va estendendosi sia negli uomini che nelle donne.

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Le proiezioni parlano chiaro, c’è un aumento in numero assoluto di persone sopra i 65 e sopra gli 80 anni che determineranno un incremento del bisogno di assistenza medica e sociale su base continuativa. Il bisogno di long-term care aumenta, infatti, considerevolmente dall’età di 80 anni. Tale fetta della popolazione si stima che aumenterà considerevolmente nei prossimi anni a causa dell’invecchiamento dei “baby boomers”, cioè persone nate negli anni del boom economico a cavallo degli anni ‘60/’70.

I sistemi nazionali sanitari dovranno farsi carico di gestire questa enorme massa di persone che richiederanno servizi essenziali, quali posti nelle residenze RSA, l’assistenza dedicata e professionale, la gestione delle patologie. Per non dimenticare come stia aumentando in questi anni l’incidenza di malattie neuro-degenerative quali l’Alzheimer, la demenza senile, il morbo di Parkinson.

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Anche prendendo spunto dal “World Alzheimer Report 2021” un Viaggio attraverso la diagnosi della demenza, si nota come i numeri, purtroppo sono impietosi:

– il numero di persone affette da demenza presenta un tasso di crescita molto superiore a quante risorse possiamo investire

– il costo effettivo che gli Stati/i privati quindi tutti noi dovremo sopportare sarà stratosferico

– il COVID-19 renderà tutto molto più difficile, con effetti che non sappiamo ancora valutare.

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In questo contesto di riferimento l’incremento delle richieste assistenziali in termini di long-term care porterà, di sicuro, un aumento della spesa sanitaria destinata alla sua copertura.

Molto interessante è, a questo proposito, il Rapporto “Anziani e disabili: un nuovo modello di assistenza” realizzato dalla Fondazione per la Sussidiarietà (FPS), con la partecipazione di Fondazione Don Gnocchi e Fondazione Sacra Famiglia, e in collaborazione con le Università di Bergamo di Milano e di Parma e del Politecnico di Milano e recentemente presentato, che ci dice che una delle strade per affrontare l’emergenza infinita dell’invecchiamento della popolazione è il non profit.

Le organizzazioni del terzo settore costituiscono la metà dell’offerta di posti letto per anziani e disabili, in aumento importante rispetto a 10 anni fa (49% vs 42%), mentre il settore pubblico scende dal 30% al 25%.

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Il caso di Milano

Nell’interessante e completo lavoro della Fondazione Ravasi Garzanti in collaborazione con CERGAS – Università Bocconi di luglio 2021, viene analizzato e studiato il concetto della “Silver & Longevity Economy, cioè come cambiano con l’avanzare dell’età le preferenze, i comportamenti e i bisogni dei cittadini e le possibili risposte della funzione pubblica. Tutto questo alla luce di un cambiamento ineluttabile della popolazione di riferimento, che si traduce in un aumento del numero assoluto degli over 65 e di un aumento sempre più marcato dei bisogni non solamente di base.

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Nel report si dice chiaramente che il sistema di welfare pubblico lombardo per la non autosufficienza è ispirato da principi di sussidiarietà: oltre al pubblico che svolge una funzione minimale, intervengono le famiglie, il non-profit e i soggetti privati, cioè le Casse di Assistenza e le Compagnie di Assicurazione.

Si riporto la tabella con l’allocazione del budget tra i servizi tradizionali per anziani non autosufficienti:

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Cioè la maggior parte del budget per gli anziani non autosufficienti è dedicato alle residenze, cioè a quei servizi più tradizionali e necessari, con un minor budget dedicato a servizi più innovatavi. 

Inoltre la ricerca evidenzia un dato importante: viene stimato il tasso di copertura delle RSA sul dato totale. Per il 2020 su una popolazione di anziani non autosufficienti pari a quasi 130,000 unità, gli “utenti in carico” sono poco più del 10%. Quindi anche nella opulenta Milano mancano i posti letti per coloro che ne hanno più bisogno.

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Conclusioni

Secondo una ricerca elaborata da SWG (www.swg.it) per la società di assicurazioni Zurich Italia, 8 italiani su 10 temono più la perdita dell’autosufficienza che la morte, ma solo il 3% della popolazione ho sottoscritto una polizza di Long Term Care.

Quindi cosa manca affinché la polizza di LTC entri a far parte di una corretta politica assicurativa dei cittadini italiani?

Manca una cultura di base tra la popolazione che lavora per stimolare una programmazione previdenziale e patrimoniale di lungo termine. È inutile pensare ad una polizza LTC a 65 anni, mentre è molto più saggio affrontare la problematica verso i 50 anni.

Mancano professionisti, consulenti che sappiano affrontare con delicatezza ma con competenze tecniche e comunicative il concetto della perdita della autosufficienza.

Manca forse un contributo più importante da parte dello stato, attualmente il premio relativo di una polizza LTC gode di un trattamento fiscale agevolato, si, ma fino a 1291,41€, ed è riconosciuta una detrazione di imposta ai fini IRPEF pari al 19% proprio del premio versato.

Manca forse un rapporto di fiducia a tre che coinvolga il cliente, cioè il potenziale sottoscrittore della polizza, il consulente, sempre troppo impegnato sulle politiche commerciali e meno a capire i veri bisogni del cliente e le Compagnie di Assicurazione che si preoccupano forse troppo di selezionare la clientela, anche in base alla capacità di spesa, con un’offerta limitata e forse troppo costosa.

Per riprendere il caso di Milano, il report citato nota nel settore provato una crescita della domanda di polizze e coperture assicurative Long-term care e più in generale per finanziare le cure nella terza età, pur in assenza ad oggi di un’ampia offerta dedicata. Infatti, guarda caso, la domanda per queste soluzioni più forte tra i soggetti benestanti e maggiormente scolarizzati, che a partire dai 50 anni iniziano a preoccuparsi di come garantirsi un buon tenore di vita al termine della propria vita lavorativa.

Il report cita inoltre un altro aspetto fondamentale: oltra la disponibilità del reddito, cioè dei soldi per acquistare la polizza, tanto per intenderci, fa riferimento al patrimonio, in particolare delle seconde case, viste come un asset da gestire in tarda età per finanziarsi l’ospizio.

 

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