India, qualche scricchiolio per Modi di Pinuccia Parini

È passato poco più di un mese da quando i media mostravano la drammatica situazione dell’India a causa della pandemia. Le immagini di persone in attesa di una bombola di ossigeno, di un soccorso medico, di una pira, quando anche la legna non era più sufficiente e i cadaveri venivano buttati nei fiumi, hanno profondamente toccato la sensibilità del mondo.

Nelle ultime settimane il numero dei contagi è migliorato nelle grandi città e, fortunatamente, le indicazioni sono che il picco dell’ondata sia ormai dietro le spalle. Se quanto avvenuto debba essere ascritto alla cattiva gestione da parte del governo centrale o dei singoli stati, è una questione ancora da dipanare, così come si è visto accadere in molti altri paesi, dove lo scontro tra l’esecutivo e le autorità locali è stato un continuo rimpallo di responsabilità. Lo stesso è avvenuto in India e ha gettato pesanti ombre sull’operato dei ministeri.

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La seconda ondata

Il Sunday Times australiano, nelle settimane più cruente della diffusione, esprimeva una forte critica nei confronti del primo ministro Modi. Il giornale descriveva una situazione in cui, mentre il premier si crogiolava tra la folla, i suoi cittadini morivano soffocati dal virus, in una dimostrazione di arroganza, iper-nazionalismo e incompetenza burocratica che avevano creato una crisi di proporzioni epiche.  

In questa seconda ondata della pandemia, si è assistito a un’implosione del sistema sanitario e molte persone hanno ascritto al premier la responsabilità di quanto stava succedendo. Mentre Modi chiedeva a chi poteva di rimanere a casa, organizzava raduni con migliaia di persone per la campagna elettorale in corso. Ma non solo. Il governo non ha nemmeno cercato di contenere il pellegrinaggio di Kumbh Mela, in cui si sono concentrati milioni di persone. Oggi più che mai lo slogan caro al primo ministro, “AatmaNirbhar Bharat “, ovvero un’India che sia autosufficiente, suona fuori luogo, vista la criticità della situazione e la necessità di ricevere aiuti dall’esterno. Milan Vaishnav, direttore del programma per l’Asia meridionale al Carnegie endowment for international peace, sostiene che il livello di rabbia e di indignazione nei confronti di Modi, in particolare nelle classi medie urbane dove ha tradizionalmente una forte base di sostegno, è il più alto da quando è stato eletto. Vaishnav ritiene che la sua caduta in disgrazia è così pronunciata perché, a differenza dell’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump e del presidente brasiliano Jair Bolsonaro, non era un “negazionista del Covid”. Ciononostante, non è riuscito a prevenire ciò che è successo, mostrando, secondo alcuni, una buona dose di negligenza, visti i chiari segnali che indicavano una maggiore cautela nella gestione del virus. 

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Più disparità

La crisi legata al coronavirus, oltre a creare una forte pressione sulle strutture ospedaliere indiane, ha aumentato la disparità tra ricchi e poveri, così come è avvenuto in altre parti del mondo. Tuttavia, in India, l’assistenza sanitaria rimane un problema acuto. Secondo uno studio della Duke University steso da Shawin Vitsupakorn, Wenhui Mao e Ipchita Bharali, le transizioni demografiche ed epidemiologiche in corso minacciano di invertire il processo che ha visto, dal 2005, 270 milioni di persone sfuggire alla povertà. Il governo ha introdotto importanti riforme sanitarie come la National health mission (2005) e Rashtriya Swasthya Bima Yojana (Rsby, 2008) per rispondere alle necessità dei più bisognosi, ma la spesa sanitaria nel 2016 si è attestata all’1,17% del Pil, sotto la media dei paesi a basso reddito (1,57%). Nel 2018 risultava che il 62,8% delle persone non aveva un’assicurazione sanitaria e doveva quindi sostenere gli oneri a essa connessi, che per una famiglia su cinque risultano particolarmente gravosi e depauperanti. Nonostante la Rsby abbia portato a un miglioramento della copertura sanitaria, ha dimostrato di avere limiti importanti anche a causa di una governance decentralizzata carente.

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Dopo il lancio della Rsby il governo ha presentato Ayushman Bharat, una nuova iniziativa su scala nazionale con l’obiettivo di creare 150 mila centri di salute e benessere entro la fine del 2022 e istituire il Pradhan Mantri Jan Arogya Yojana (Pm-Jay), un programma assicurativo per coprire i servizi sanitari secondari e terziari per le comunità povere e vulnerabili. Il Pm-Jay ha ottenuto risultati significativi nei suoi primi due anni, ma rimangono ancora sfide aperte in termini di equità, qualità ed efficacia. Sempre secondo l’analisi citata, sebbene il Pm-Jay sia un’iniziativa nazionale, la sua attuazione è completamente delegata agli stati. Senza un meccanismo generale per affrontare le lacune di risorse, l’iscrizione al Pm-Jay e l’utilizzo dei servizi sono concentrati negli stati più ricchi, mentre quelli più poveri sono lasciati indietro. Per di più, la pandemia sta generando una considerevole pressione sul sistema sanitario, tanto da porre in discussione la sostenibilità finanziaria del Pm-Jay con ricadute non trascurabili, se si pensa che la maggior parte della struttura sanitaria indiana è privata. Puntare a un ampliamento della copertura rimane quindi una sfida importante per il governo, che comporta la realizzazione di nuove riforme.

Il consenso verso Modi

È ancora prematuro ipotizzare che la figura del primo ministro esca seriamente danneggiata da questa crisi, soprattutto perché mancano ancora tre anni alle prossime elezioni parlamentari. Si può però affermare che l’aura di infallibilità di un uomo politicamente forte e di fatto incontrastato nell’esercizio della sua funzione, esce da questa situazione danneggiata. Il risultato delle elezioni locali segna comunque una sconfitta, pur non minando la stabilità del governo federale. Nei numeri, il Bharatiya Janata Party (Bjp), partito di maggioranza, ha perso tre dei cinque stati in cui si è tenuto il confronto, tra cui quello importante del Bengala occidentale, con capitale Calcutta. Qui ha vinto Mamata Banerjee, del partito Trinamool Congress, unica donna a capo di uno stato indiano, che ha confermato la sua elezione per il terzo mandato consecutivo. Il confronto nel Bengala occidentale è stato molto acuto, soprattutto tra il Trinamool Congress e il Bjp, che accusava il primo di avere agevolato la popolazione musulmana a discapito di quella hindu, un tema quest’ultimo che è un cavallo di battaglia del nazionalista Modi.

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Come scrive Nicola Missaglia dell’Ispi, «è proprio sul West Bengala che, all’indomani dell’annuncio dei risultati, si concentrano le analisi della stampa indiana e internazionale: nello stato, di cui è originario Shyama Prasad Mukherjee, padre ideologico del Bjp, il Sangh Parivar, l’ombrello di organizzazioni nazionaliste indù, che costituisce la base ideologica del partito di Modi, mostra segni di insofferenza». 

Diego Maiorano, dell’Institute of South Asian Studies di Singapore, sostiene che i risultati elettorali mostrano che, se da un lato il consenso raccolto dal Bjp, in particolare nell’Assam e nel Bengala occidentale, è stato notevole, dall’altro ha segnato una battuta d’arresto del suo predominio e potrebbe avere gettato i semi per l’erosione della sua egemonia. C’è infatti la concreta possibilità che la fiducia che lega Modi agli elettori sia stata, se non infranta, almeno seriamente messa in discussione. Sempre secondo Maiorano, è stato proprio Modi nel 2020 ad avere mostrato una forte responsabilità nella gestione della pandemia, con l’annuncio di rigorosi lockdown nazionali, che ne avevano rafforzato l’immagine. Tutto ciò ora gli si potrebbe ritorcere contro. Nel frattempo, secondo un sondaggio di Morning consult’s global leader approval rating tracker, la popolarità di Modi si è dimezzata nell’arco di 12 mesi ed è passata dal 70% il 4 maggio 2020 al 36% lo stesso giorno del 2021, mentre solo lo scorso 2 aprile era al 52%. Un’altra rilevazione fatta da Local circles, pubblicata il 29 maggio, conferma che il consenso nei confronti dell’esecutivo è sceso dal 75% nel 2019 al 51%. Fonti diverse, sicuramente non omogenee, ma che indicano una tendenza netta. Ed è forse come conseguenza di una gestione estremamente discutibile della crisi pandemica che, lo scorso 7 giugno, il primo ministro ha annunciato vaccinazioni gratuite per tutti coloro al di sopra dei 18 anni entro il 21 giugno. 

Vaccini per tutti

L’operazione ha dimensioni notevoli, sia per i numeri della popolazione indiana, sia per la vastità dell’area da coprire, vista la carenza di infrastrutture sanitarie. La decisione di Modi è arrivata dopo l’intervento della Corte suprema indiana, che ha criticato duramente i vaccini a pagamento, gratuiti solo in alcuni stati indiani. La stessa istituzione aveva già espresso un giudizio negativo sulla politica del governo, definendola «irrazionale e arbitraria».  A questa voce si sono poi unite quelle dei partiti di opposizione, che hanno vigorosamente protestato per la cattiva gestione della campagna vaccinale, con alcuni centri di inoculazione che hanno dovuto chiudere per mancanza di farmaci. In base al nuovo piano, il governo centrale si farà carico di acquistare e distribuire gratuitamente la quota del 25% di vaccini in precedenza a carico dei governi locali (proposta di aprile), con la discrezionalità di farli o meno pagare. In questo modo, il 75% sarà distribuito gratuitamente, mentre il 25% sarà acquistato e distribuito dal settore ospedaliero privato, a pagamento. Anche in quest’ultimo caso, però, il prezzo sarà calmierato e non potrà superare 150 rupie. È indubbio che la decisione del primo ministro è di grande sollievo per la popolazione indigente e anche per i governi locali, che altrimenti avrebbero dovuto farsi carico di costi ingenti, aggravando così i conti pubblici. Certo, rimane un quesito di fondo ed è quello legato alla quota di un quarto che rimane in gestione ai privati: una decisione che risulta stridente con la generale condizione del Paese.

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I contraccolpi per Modi

Le prossime elezioni generali, come detto in precedenza, sono ancora lontane. Per quanto ci possano essere stati contraccolpi, tre anni, da qui al 2024, sono un buon lasso di tempo perché un abile uomo politico come Modi possa recuperare il terreno perduto. Una sua grande dote è la capacità di ascoltare l’umore della popolazione, di coglierne le istanze e formulare le soluzioni che le accolgano. Tuttavia, ricorda sempre Maiorano, oggi si è di fronte a una diffusione del virus che ha colpito una fetta importante della popolazione. La seconda ondata non ha risparmiato le classi medie urbane, grande base di sostegno per il primo ministro e il bacino più importante per la creazione di consenso e ha colpito pesantemente questa fascia della popolazione, il cui benessere non è bastato ad avere un’assistenza adeguata nel momento in cui hanno contratto il virus. È quindi probabile che la sofferenza patita abbia un impatto sul sostegno mostrato in precedenza nei confronti della leadership.

La questione di fondo, nonostante l’inadeguatezza mostrata dall’esecutivo, è che non esiste, per il momento, una valida alternativa al leader e al maggior partito del Paese: le elezioni locali hanno indebolito ulteriormente il partito del Congresso, che ha perso anche negli stati di Assame Kerala, dove aveva la possibilità di vincere e l’unica alternativa sembra essere Mamata Banerjee.

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