Indo-Pacifico, la regione senza confini, ma al centro dello scontro globale di Pinuccia Parini

Il Lowy Institute è un think tank indipendente fondato nell’aprile 2003 da Frank Lowy per condurre ricerche su questioni politiche, strategiche ed economiche internazionali da una prospettiva australiana. L’istituto pubblica, annualmente, un indicatore, l’Asia Power Index, per classificare, in termini relativi, quale stato ha avuto maggiore potere in termini di influenza e di risorse nella regione dell’Indo-Pacifico. Potrà sembrare inatteso, ma il dato del 2021 mostra che la Cina ha perso posizioni nella metà dei parametri che compongono l’indicatore, compresa l’influenza diplomatica, l’influenza culturale, la capacità economica e le risorse future. 

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Nello stesso periodo, gli Stati Uniti hanno registrato, dal lancio dell’indice nel 2018, il loro primo aumento di potere globale. Secondo il Lowy Institute, la fiducia espressa dal presidente Xi Jinping che il 2021 sarebbe stato un anno favorevole per il Paese, confermandone l’ascesa, è stata disattesa. Complice di ciò è stata una serie di debolezze strutturali che hanno ridotto le prospettive della Cina: un rapido invecchiamento della popolazione, la vulnerabilità ai cambiamenti climatici, un pesante carico di debito e un sistema politico sempre più chiuso in sé stesso. 

Al contrario, sostiene sempre il think tank, gli Usa hanno visto crescere il loro peso in modo sostanziale nell’ultimo anno rispetto a quello di qualsiasi altro paese dell’Indo-Pacifico. «Gli Stati Uniti esercitano un potere più grande e multidimensionale, dalle capacità militari e dalle reti di difesa all’influenza diplomatica e culturale, rispetto a qualsiasi altro paese al mondo. Elemento altrettanto significativo, quest’anno gli Stati Uniti hanno superato la Cina nella misura dell’indice delle risorse future», una valutazione quest’ultima che deriva dalla combinazione di due fattori: la distribuzione delle capacità economiche e militari e la forza demografica. 

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Un’area di confronto

Senza volere entrare nel merito di quanto possa essere significativo l’Asia Power Index, rimane un indicatore di un’area che sta diventando sempre più terreno di confronto tra le due superpotenze: Usa e Cina.  La prima ha la necessità di formulare una strategia da leader nella regione, capofila di uno schieramento di paesi, tra cui alcuni storici alleati, che temono l’ingerenza di Pechino. La seconda, invece, vorrebbe vedere riconosciute, più o meno direttamente, la propria potenza economica e la capacità di influenzare la regione attraverso accordi commerciali ed esercitare il proprio peso politico. Ma questo confronto non è isolato e, come è naturale che accada, coinvolge diversi stati che hanno interessi di carattere economico, politico o di sicurezza diretti o indiretti nella regione.

Cos’è l’Indo-Pacifico

Non è esattamente chiaro e condiviso che cosa si intenda con il termine Indo-Pacifico. Come sottolinea Frederic Grare, senior fellow presso il Carnegie Endowment for International Peace, esso assume connotazioni diverse a seconda del paese che lo utilizza. E il caso, ad esempio, del Giappone e dell’Australia. «La strategia indo-pacifica libera e aperta del Giappone si concentra sul miglioramento della stabilità e della prosperità globali, mentre quella dell’Australia mira ad affrontare un dilemma duraturo: come rimanere una nazione sicura e ricca conciliando la sua dipendenza economica dalla Cina con la sua alleanza strategica con gli Stati Uniti».

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Quando il termine è entrato nel vocabolario strategico degli Stati Uniti, sempre secondo la tesi di Grare, ha acquisito un’importanza ancora maggiore, oltre a un carattere più conflittuale. «Il concetto indo-pacifico si è evoluto in risposta a due sviluppi strategici collegati, ma distinti: la proiezione del potere dalla Cina verso l’esterno, che ha subito un’accelerazione spettacolare da quando il presidente Xi Jinping è salito al potere, e l’esacerbazione della rivalità sino-americana. Tuttavia, le implicazioni strategiche del termine rimangono vaghe quanto la sua portata geografica».  

Esso, infatti, implica l’inclusione degli oceani Indiano e Pacifico, ma i confini sono determinati in modo diverso da attori diversi in base ai propri interessi. «Per la Francia, lo spazio indo-pacifico si estende dalle coste dell’Africa orientale e dell’Africa meridionale a quelle dell’America settentrionale, centrale e meridionale: per il Ministero delle forze armate di Parigi, è “un continuum di sicurezza che si estende da Gibuti alla Polinesia francese”. Per gli Stati Uniti, invece, si ferma alle coste dell’India. Nel contempo, l’Asean afferma nell’area Indo-Pacifico la propria “centralità”, mentre per l’India lo spazio include l’intero oceano Indiano, come espresso nella sua politica “Look East”».

È solo una questione semantica? Non proprio, perché il fatto che esistano differenti definizioni in base agli interessi di ogni singolo stato indica una scelta strategica di come si voglia avviare una cooperazione concreta con i paesi che vengono inclusi nella regione. Come guardare all’area Indo-Pacifico dipende quindi dagli interessi geopolitici degli stati coinvolti, probabilmente con l’intento di esercitare un’influenza che contenga la continua ascesa della Cina, pur mantenendo vivi con essa buoni rapporti commerciali e diplomatici, vista la necessità di preservare la sicurezza nella regione. 

Un’area di vaste dimensioni

Secondo il Federal foreign office tedesco, quasi il 60% del Pil mondiale e due terzi della crescita globale sono generati nell’Indo-Pacifico, con le tre maggiori economie mondiali, ovvero Usa, Cina e Giappone, che hanno parte delle loro coste che si affacciano sulla regione. Ben il 25% del commercio marittimo internazionale passa attraverso lo stretto di Malacca. La regione indo-pacifica ospita circa il 60% della popolazione globale e 20 delle 33 megalopoli del mondo; è anche la fonte di oltre la metà di tutte le emissioni globali di carbonio. La spesa per gli armamenti in questa regione è aumentata più rapidamente che in qualsiasi altra parte del pianeta nell’ultimo decennio e ora rappresenta poco meno del 30% della spesa globale.

 

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Ma il termine Indo-Pacifico, oltre al significato geografico, ne possiede anche uno strategico.  Come menziona Filippo Fasulo, co-head presso l’Osservatorio Geoeconomia dell’Ispi, esso è nato, nel contesto delle scienze naturali, in riferimento alla congiunzione tra i due oceani, ma «è stato utilizzato in senso politico a partire dal 2007, in occasione di una visita del primo ministro giapponese Abe in India, per essere poi completamente adottato nel 2017 dalla presidenza Trump in concomitanza con il rilancio del Quadrilateral security dialogue (Quad) tra Usa, India, Giappone e Australia con una chiara prospettiva di contenimento della Cina».

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Il contenimento della Cina

Diversi studiosi cinesi ritengono che sia stata proprio l’ascesa della Cina, con i cambiamenti geopolitici che ciò ha comportato, la ragione per cui Washington sta indirizzando i suoi sforzi a rafforzare le alleanze con i paesi della regione: la finalità è proteggersi dalla politica estera e di sicurezza di Pechino. L’amministrazione Biden sembra muoversi nella stessa direzione di quella precedente, con un dichiarato impegno nel promuovere nel 2022 un programma economico indo-pacifico. Il piano non è stato ancora definito, se non in termini molto vaghi, con obiettivi che vanno dalla facilitazione del commercio alla tecnologia digitale, dalle catene di approvvigionamento all’energia pulita, e alle infrastrutture. La stessa Unione Europea, lo scorso 16 settembre, ha pubblicato la prima strategia di cooperazione con i paesi dell’Indo-Pacifico, sottolineando così la crescente importanza geostrategica della regione e la necessità di rafforzare l’impegno nell’area, che alcuni stati europei avevano già in precedenza intrapreso singolarmente. 

Il maggiore impegno dell’Ue nell’Indo-Pacifico, come viene asserito dalla Commissione europea, «mira a mantenere un Indo-Pacifico libero e aperto per tutti, costruendo al contempo partenariati forti e duraturi». La finalità è intensificare le relazioni con i partner nell’Indo-Pacifico per rispondere alle dinamiche emergenti che stanno influenzando la stabilità regionale, con la finalità di «promuovere un ordine internazionale basato su regole, condizioni di parità, nonché un ambiente aperto ed equo per il commercio e gli investimenti, affrontare il cambiamento climatico e sostenere la connettività con l’Ue».

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La mossa dell’Europa è arrivata il giorno successivo l’annuncio di un patto tra Stati Uniti, Regno Unito e Australia (Auskus) per contenere o, forse, contrastare l’ampliamento dell’influenza cinese in Oriente.  

L’importanza strategica della regione è stata poi a sua volta reiterata dal segretario di stato americano, Antony Blinke, durante la sua visita nel Sud-est asiatico a metà dicembre 2021. Blinken, dopo avere criticato le azioni aggressive della Cina nei confronti dei paesi vicini, ha rimarcato l’impegno degli Stati Uniti affinché l’Indo-Pacifico rimanga una regione libera da coercizioni e accessibile a tutti. Nel discorso da lui tenuto in Indonesia, è emersa la volontà di rafforzare la credibilità di Washington nella regione, con una serie di considerazioni critiche nei confronti di una Cina sempre più assertiva nell’area.

Tra Washington e Pechino

L’Indo-Pacifico, in qualsiasi modo lo si voglia definire, sta diventando il centro di nuovi equilibri geopolitici, ma soprattutto economici, che si muovono attraverso accordi e partenariati, con alleanze e schieramenti a volte ambigui, dettati dagli interessi dei singoli stati. I paesi della regione di dimensioni piccolo-medie, da un lato soffrono l’ingerenza cinese, ma dall’altro non possono ignorare i benefici che ne possono trarre da un punto di vista economico. Quelli grandi, invece, hanno necessità di avere riconosciuto il proprio status. Quale ruolo potranno avere in tale contesto gli Stati Uniti è una questione aperta, soprattutto per l’impegno, sia economico sia militare, che potrebbe essere loro richiesto, per contenere l’influenza della “Terra di mezzo” nell’area. Nel 2017, come ricorda Frederic Grare, lo U.S. National Security Strategy non solo introduceva il concetto di Indo-Pacifico nel linguaggio politico americano, ma lo descriveva come uno strumento in «una competizione geopolitica tra due visioni dell’ordine del mondo: una libera e l’altra repressiva”». Ed è forse questo ultimo aspetto che preoccupa gli alleati degli Stati Uniti: dovere scegliere tra Washington e Pechino.

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