Indonesia, la rivoluzione di Jokowi – di Pinuccia Parini

La fine del regime di Suharto in Indonesia aprì un periodo di instabilità che generò una serie di cruente rivolte in alcune aree del paese. Allo scontro intestino, tra diverse etnie e gruppi religiosi, si aggiunsero i disastri naturali che, con lo tsunami del 2004, misero in ginocchio l’economia indonesiana. La travagliata situazione venne gradualmente superata, ma non quella politica. Si dovette attendere sino alle elezioni del 2014, quando Joko Widodo, conosciuto come Jokowi, senza una carriera militare alle spalle o l’appartenenza a influenti gruppi politici legati al vecchio sistema, divenne presidente. Politico riformatore, di ispirazione liberale, può vantarsi di un passato senza alcuna ombra di corruzione: con la sua elezione si è  aperto un nuovo capitolo della storia del paese. 

Lo scorso aprile, in Indonesia, quasi 200 milioni di persone sono state chiamate al voto che, questa volta, ha visto coincidere le elezioni presidenziali con quelle legislative. Secondo ai dati forniti dalla Elections commission, circa il 40% degli aventi diritto al voto ha una età tra 17 e 35 anni. Nel 2019, così come avvenne nel 2014, il duello per la presidenza è stato tra Joko Widodo e Prabowo Subianto, che per la seconda volta è stato sconfitto. Le piattaforme politiche dei due contendenti riflettono le inclinazioni degli schieramenti di appartenenza, con connotazioni più nazionaliste da parte di Prabowo, improntate a politiche protezioniste, tanto da sostenere la necessità di rivedere i progetti infrastrutturali con la Cina. Prabowo, che ha sposato la figlia di Suharto, è legato alla tradizionale élite politica del paese. È un ex-generale destituito perché accusato di violazione dei diritti umani nei confronti di gruppi di attivisti e, dopo avere trascorso molti anni all’estero, è ritornato in Indonesia nel 2009. Widodo, presidente uscente, divenne un politico noto a livello internazionale già nel periodo in cui era governatore di Giacarta (2012). Quando venne eletto nel 2014 si presentò come «uomo del popolo», che avrebbe combattuto la povertà, la corruzione che imperversava nel paese, il nepotismo e l’intolleranza. Questi furono i motivi per cui sconfisse Prabowo Subianto. 

UNA BUONA GESTIONE

Il primo mandato di Jokowi è stato caratterizzato da una buona gestione del contesto economico, mantenendo bassa l’inflazione e solida la crescita. Il livello di povertà è sceso e alcune opere infrastrutturali sono state portate a termine. Per i prossimi cinque anni si è impegnato ad aumentare gli investimenti esteri diretti in Indonesia, sostenere le esportazioni e continuare il programma di 340 miliardi di dollari in infrastrutture.  Le critiche nei suoi confronti non sono però mancate. Da alcuni è stato accusato di non essere stato così incisivo nelle battaglie per i diritti umani, da altri di avere svenduto il proprio paese agli stranieri.

La seconda vittoria di Jokowi è frutto dei risultati ottenuti. Il sostegno reiterato degli elettori (circa il 57%) trova ragione nelle sue politiche, che hanno saputo cogliere le necessità della popolazione e dare risposte alle loro urgenze, quali l’estensione della copertura assicurativa, così come il miglioramento della rete infrastrutturale che hanno migliorato le condizioni generali di vita. Il suo partito di appartenenza, il Pdip (Indonesian democratic party of struggle) è risultato quello che ha conquistato il maggior numero di voti, risultato quest’ultimo che dovrebbe permettergli di mantenere l’attuale coalizione di governo.

I punti nodali del suo programma politico sono sostanzialmente tre: l’economia, le infrastrutture e la corruzione. Ma questa volta, forse a differenza della precedente, sarà importante vedere quale tipo di identità la nazione assumerà. L’80% della popolazione indonesiana è musulmana, ma quest’ultima non è considerata una religione di stato, anche se le pressioni di alcuni gruppi conservatori religiosi sono in aumento. 

La reazione dei mercati finanziari, alla notizia della rielezione di Jokowi, è stata positiva, così come quella della rupia indonesiana. La presenza degli investitori esteri aveva già mostrato segnali di ripresa di interesse, in prossimità dello scontro elettorale, proprio per la speranza che anche questa volta il presidente in carica avrebbe vinto. Nel 2018 ci sono stati diversi segnali di nervosismo da parte degli investitori stranieri nei confronti del mercato indonesiano: nonostante il graduale miglioramento economico, emergeva la forte preoccupazione per l’indebolimento della rupia indonesiana, che avrebbe potuto compromettere la ripresa. Tutto ciò in un contesto in cui, sia il governo, sia i bilanci delle aziende rimanevano solidi. 

La debolezza del cambio è stata un tratto comune nei mercati asiatici nel 2018, ma la rupia indonesiana è stata una delle valute peggiori. Su essa ha pesato il deficit delle partite correnti e le tensioni sui mercati emergenti, causate soprattutto dalla crisi della lira turca, in un contesto generale in cui la Fed era pronta a politiche monetarie più restrittive. La Banca centrale locale ha reagito in modo proattivo, approntando una serie di misure a sostegno del cambio: aumento dei tassi (175 bps) e, lo scorso agosto, di fronte a un ulteriore crollo della divisa verso il dollaro, utilizzo delle riserve valutarie per acquistare titoli di stato. Con la normalizzazione delle tensioni sui mercati, l’atteggiamento degli investitori è migliorato, tanto da attendersi, in futuro, una politica monetaria espansiva. 

RATING CONFERMATO

Lo scorso febbraio, l’agenzia di rating Moody’s ha riaffermato a “Baa2 stable” il rating sovrano dell’Indonesia, sostenendo che il debito è contenuto, le dimensioni dell’economia sono ampie, con prospettive di una crescita sana, nonostante ci sia una dipendenza dai finanziamenti esteri. L’agenzia ha sottolineato, inoltre, che l’indebolimento della divisa ha avuto ampie ripercussioni sull’economia. Tuttavia, un forte piano politico e strategico, sia monetario, sia fiscale, insieme a uno stretto coordinamento tra i vari soggetti istituzionali chiamati in causa, ha contribuito a mantenere il profilo di credito del debito sovrano.Nei primi cinque anni della presidenza Jokowi, è stata posta molta enfasi sulle riforme infrastrutturali, con un raddoppio delle autostrade e della connettività. L’e-commerce è cresciuto e sta prendendo una quota sempre più grande delle vendite, grazie all’enorme sviluppo di infrastrutture correlate. Il governo si è poi fatto promotore di un particolare modello di attività B2B che attira capitali stranieri, soprattutto dalla Cina. E non si tratta della Via della seta. Il modello realizzato facilita il processo di investimenti esteri diretti, sostiene lo sviluppo industriale e crea opportunità di lavoro e passaggio di conoscenza. L’Indonesia è un’economia domestica, ma le esportazioni pesano per circa il 20% del Pil e tra queste il 40% è costituito da materie prime, in particolare carbone e olio di palma. Così il governo si è concentrato sul rimanente 60% dell’export e ha introdotto politiche che sostengono cinque comparti manifatturieri: auto, tessile, elettronica, chimica e alimentare/bevande.

Se il governo insediatosi nel 2014 aveva segnato un segnale di cambiamento, non era riuscito a rompere completamente con le logiche politiche del passato. Il rimpasto avvenuto nel 2016 ha invece permesso la costituzione di un esecutivo più dinamico, competente e incline a proseguire il piano di riforme. Sarà importante ora vedere se il governo, risultato delle recenti elezioni, riuscirà a imprimere un’ulteriore accelerazione al cammino intrapreso.L’Indonesia ha bisogno di attrarre più capitali esteri e di farlo in modo da creare valore e ricchezza anche e soprattutto in termini di capitale umano. Moody’s stima che la crescita fletta moderatamente, tra il 2019 e il 2020, dal 4,9% al 4,8%, per un rallentamento dello sviluppo delle infrastrutture e del commercio globale. Se i consumi privati terranno, ci si attende che la spesa governativa rallenti dopo le elezioni. L’apertura del paese al commercio è comunque contenuta ed è quindi meno esposto a una contrazione a livello globale rispetto ad altre economie della regione Ma ci sono le due facce della medaglia. Un acuirsi delle tensioni commerciali tra Usa e Pechino avrebbe un impatto pesante sull’Indonesia, che rimane molto esposta alla Cina, suo maggiore trading partner. 


a cura di Pinuccia Parini

tratto da : https://www.fondiesicav.it/indonesia/