Quando Gianluca decise di ospitarmi sul suo sito Morky e Mindy, mi fece promettere che gli avrei scritto un articolo sulle donne e il mondo della finanza. Sono stata incerta per molti mesi su quali sarebbero stati i contenuti del contributo che mi era stato chiesto. L’argomento è infatti spesso oggetto di riflessioni e analisi e, francamente, non penso di poter offrire del valore aggiunto in merito.
Immagine tratta al seguente link: https://oltrelalinea.news/2019/03/17/lultima-perla-del-pensiero-unico-laccanimento-contro-greta-thunberg/
E’ noto che il gap tra uomini e donne nel settore della finanza rimane elevato, non solo in termini di rappresentanza nella forza lavoro (47%), ma per il livello delle mansioni ricoperte. Infatti, negli ultimi anni, la crescita della presenza femminile nel settore è stata soprattutto nei livelli più bassi dell’organizzazione aziendale, con solo il 15% di donne presenti a livelli di alta dirigenza. Secondo uno studio First Cisl sui maggiori cinque istituti italiani (Intesa Sanpaolo, Unicredit, Monte dei Paschi, Banco Bpm, Ubi), emerge che a inizio 2017 le donne impiegate nel settore sono 84mila su 181mila addetti, con salari in media del 10% inferiori a quelli degli uomini e solo lo 0,5% diventa dirigente. I dati sono peggiorativi se si guarda, ad esempio, il segmento in espansione del private equity dove, secondo il Centro ricerche di Financecommunity.it e MAG, nei team che compaiono sulle pagine web di oltre 50 fondi di private equity italiani o internazionali che operano in Italia “per trovare una donna al tavolo negoziale bisogna essere proprio fortunati: di tutti i professionisti impegnati nel settore, è donna il 19,5%: 115 professioniste su 588 totali fra quelli presi in considerazione dalla ricerca. Che poi, questa professionista su cinque al tavolo negoziale non è neanche detto che ci sarà(…). Le partner donne nei fondi italiani o internazionali attivi nel Paese sono il 5,9%”
Perché allora scrivere un articolo proprio ora, senza che questo sia solo per onorare un impegno preso?
Probabilmente perché, nonostante si sia detto tanto sull’argomento, il tema è sempre molto e drammaticamente attuale. Lo è, in primis, il tema della parità di genere. Da un recente studio del Censis, le donne in Italia sono “lontane dagli uomini, lontane dall’Europa”. Le lavoratrici sono 9.768.000 e rappresentano il 42,1% degli occupati complessivi. Il tasso di attività femminile del 56,2% (rispetto al 75,1% maschile) si colloca all’ultimo posto tra i Paesi europei, guidati dalla Svezia. Nella fascia di età 15-64 anni la percentuale è del 49,5% per le donne e del 67,6% per gli uomini. Nel confronto europeo riferito alla fascia d’età 20-64 anni, il tasso di occupazione femminile in Italia è del 53,1%, migliore solo di quello della Grecia. “Per le giovani donne la situazione è drammatica. Nell’ultimo anno il tasso di disoccupazione in Italia è pari all’11,8% per le donne e al 9,7% per gli uomini. Ma tra le giovani di 15-24 anni si arriva al 34,8%, mentre per i maschi della stessa età si ferma al 30,4%. In questo caso è abissale la distanza con l’Europa, dove il tasso medio di disoccupazione giovanile per le donne è del 14,5%” Nella classifica l’Italia è penultima, seguita solo dalla Grecia.
Sempre secondo il Censis, le donne sono sottorappresentate nelle posizioni apicali e ricoprono posizioni per cui potrebbe bastare un titolo di studio più basso. Anche quando studiano, il 48,2% degli italiani è convinto che le donne, per raggiungere gli stessi traguardi degli uomini, debbano studiare più di loro. Rimangono le difficoltà di conciliare lavoro e famiglia.
Ci sono poi i dati più sconvolgenti che riguardano la violenza sulle donne: solo il 73,2% degli italiani è convinto che sia un problema reale della società, mentre il 23,3% ritiene che riguardi solo una piccola minoranza, emarginata dal punto di vista economico e sociale, e il 3,5% ritiene che non si tratti di un problema reale. A questo quadro desolante si aggiunge il rapporto ISTAT del 25 novembre 2019 secondo cui il 39,3% della popolazione ritiene che una donna sia in grado di sottrarsi a un rapporto sessuale se davvero non lo vuole, mentre il 23,9% degli italiani pensa che le donne possano provocare una violenza sessuale con il loro abbigliamento. Il 15,1% pensa che chi subisce uno stupro quando è ubriaca o sotto l’effetto di droghe sia almeno in parte responsabile. Ed infine, permane la scarsa considerazione nei confronti delle donne anche quando raggiungono ruoli di primaria importanza nella vita pubblica e politica. Le recenti considerazioni fatte da alcuni organi di stampa, amplificate da commenti privi di ogni rispetto per le istituzioni e per persona che è stata la prima Presidente donna della Camera dei deputati, terza carica dello Stato, mostrano il retaggio di un retroterra culturalmente arido che permane. Appare chiaro come, in questo contesto di arretratezza, parlare di donne nel mondo della finanza, diventi un di cui.
Penso che la diversità di genere comporti diversità di prospettive, che aiutano a costruire modelli di business più solidi. Premia la capacità di mediazione e di condivisione delle donne, così come la loro sensibilità nei confronti di una serie di tematiche che non appartengono all’universo maschile. Inoltre, la capacità delle donne di ascoltare e di mettere in atto strategie trasversali diventa un fattore importante, in un mondo in grande cambiamento, che genera innovazione.
Non si può parlare di sostenibilità senza affrontare le tematiche legate alla diversità di genere, per affermare la parità di tutti i soggetti coinvolti. E questo vale anche per il mondo della finanza dove l’importanza della diversificazione è stata sempre presentata come un elemento premiante e non si capisce, come mai, questo non si sia riflesso all’interno dell’organizzazione aziendale. Una industria finanziaria più inclusiva e responsabile non può fare a meno di un equilibrio che sia raggiungibile offrendo a tutti le parti in causa pari opportunità, tenendo conto della loro diversità.
Io sto con Christine Lagarde, quando afferma «Se Lehman Brothers si fosse chiamato Lehman Sisters tutto sarebbe andato molto diversamente».
Pinuccia Parini