Juventus in campo e in Borsa, una delusione tira l’altra di Salvatore Gaziano

Dopo la sconfitta con il Maccabi Haifa ieri a Piazza Affari il titolo Juventus ha perso il 3% e nell’ultimo anno ha perso oltre il 50%. 

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La società bianconera quotata a Piazza Affari capitalizza ora poco più di 700 milioni di euro che l’entità degli ultimi 2 aumenti di capitale varai negli ultimi 3 anni.

Considerato che il bilancio chiuso al 30 giugno 2022 ha evidenziato una perdita di 254 milioni di euro riducendo il patrimonio a 170 milioni di euro (e con un indebitamento che viaggia quasi su questa cifra) la probabilità che sia necessario un altro aumento di capitale per la Juventus entro i prossimi 12 mesi di alcune centinaia di milioni di euro è a questo punto altissima.

Per l’azionista di maggioranza, Exor, la Juventus è diventata una vera palla al piede e lo sconto holding (ovvero la valutazione complessiva della società rispetto al valore delle partecipazioni detenute) è salito al 40% contro una media storica del 25%, probabilmente lo dimostra visto che il mercato già sconta che diverse centinaia di milioni di euro dovranno ancora essere girate alla causa bianconera.

Il problema non è solo Massimiliano Allegri e nemmeno Andrea Agnelli (la cui credibilità come presidente è scesa quasi a zero) per Exor ma come gestire questa partecipazione che poco ha senso per una holding che dichiara di creare valore per gli azionisti con “spirito imprenditoriale e disciplina finanziaria”

Secondo Riccardo Ruggeri (grande tifoso granata) che è stato il creatore di New Holland, multinazionale quotata in borsa del gruppo Fiat e ha fatto parte del direttivo Fiat ai tempi dell’Avvocato “il calcio è un business come gli altri, valgono le leggi del management. Se il bilancio è fallimentare si licenziano Presidente, Vice e CEO. Se gioco e risultati sono fallimentari si licenzia l’Allenatore”.

In verità al di là del caso Juventus investire sul pallone in modo sistematico ha significato “dare un calcio” ai propri risparmi. E basta guardare anche i bilanci di società più quotate come il Manchester United che capitalizza in Borsa oltre 2 miliardi di euro.

Anche qui i conti non tornano quasi mai perché i costi sono quasi sempre strutturalmente superiori ai ricavi in questo strano business che finora ha sempre retto perché si continuano a gonfiare le valutazioni delle squadre e dei giocatori e lanciare la palla in avanti.

Il business del calcio è “balengo” per definizione come avrebbe detto Gianni Brera poiché strutturalmente in perdita come mostrano quasi tutti i bilanci delle società da diversi lustri con rarissime eccezioni.

La creazione del valore si è realizzata soprattutto per i giocatori di calcio e i procuratori ma non certo per gli azionisti.

Per un certo periodo di tempo è esistito un indice, lo Stoxx Europe Football Index, che tracciava l’andamento del settore delle società calcistiche quotate (poco più di una ventina) ma il suo provider ha smesso 2 anni fa di tracciarlo anche perché l’andamento si era rivelato abbastanza catastrofico rispetto all’indice azionario europeo globale.

Una perdita media dell’80% nell’ultimo ventennio contro una salita di segno opposto per l’indice azionario europeo.

Un settore evidentemente molto rischioso e volatile e ci sono sicuramente altri settori più tradizionali a cui un investitore può guardare con maggiori probabilità nel tempo di ottenere profitti.

La grande scommessa sui titoli delle società calcistiche è stata fino a qualche anno quella collegata allo sfruttamento dei diritti televisivi e di streaming ma a guardare i bilanci dei club calcistici la sfida non è riuscita perché per quanto aumentati i costi fissi sono lievitati e soprattutto quelli legati al parco giocatori.

Oggi molti club stanno puntando sempre più sulla parte immobiliare, stadi di proprietà, centri commerciali collegati ma sembra più un ripiego se non una speculazione e con i costi fissi che devono ammortizzare sul monte ingaggi non sembrano certo la soluzione definitiva alla quadratura dei bilanci. 

Nel caso della Juventus i costi della società sono molto alti e intorno ai 680 milioni di euro di cui circa la metà solo per gli ingaggi del personale tesserato a fronte di ricavi complessivi di 443 milioni di euro che comprendono la maggior parte di introiti legati ai diritti televisivi (170 milioni di euro).

Il bilancio ultimo della Juventus continua a essere impattato dagli effetti del Covid (la maggioranza delle partite sono state fatte senza poter contare sulla vendita dei biglietti allo stadio) ma anche per la stagione in corso è ben difficile ipotizzare il ritorno al break even.

Nel bilancio 2017/2018 i ricavi da gare erano stati di 56,4 milioni di euro (l’11,2% del fatturato), nel 2018/2019, nel bilancio 2019/2020 erano saliti a 70 milioni di euro (l’11,4% del fatturato), nel 2020/2021 erano crollati a 7,7 milioni di euro (il 4,8% del fatturato), l’ultimo bilancio al 30 giugno 2022 vede i ricavi da gare salire 32,3 milioni di euro (7,3% del fatturato).

La campagna abbonamenti Juventus di quest’anno aveva come slogan “back to the show” e non ha portato bene. Anche perché le tessere vendute sono state poco più di 20.000 (il 27% in meno rispetto all’ultima stagione abbonamenti pre-Covid) e come dice la pagina web collegata quasi in modo ironico: “Ops, qualcosa è andato storto”.

A cura di:

Salvatore Gaziano, Amministratore Delegato e Responsabile Strategie d’investimento di SoldiExpert SCF

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