La notizia della scomparsa del dollaro è fortemente esagerata di Carlo Benetti

“C’è baruffa nell’aria” recitava un fortunato claim pubblicitario un po’ di anni fa, c’è effervescenza nei paesi del sud del mondo potremmo dire oggi.

Dopo l’Arabia Saudita anche il Brasile di Lula allenta la relazione con Washington e si avvicina a Pechino. Dilma Rousseff, eletta a marzo presidente della New Development Bank, non ha perso tempo nel manifestare la volontà di sottrarre i paesi del sud del mondo all’influenza del dollaro. In una intervista a un media cinese il 14 aprile, la neo-presidente ha detto che “è necessario trovare il modo di evitare il rischio di cambio e altri problemi, come la dipendenza da un’unica valuta, il dollaro USA”.

La New Development Bank, istituita nel 2015 dai paesi “BRICS” come risposta indipendente alla Banca Mondiale, farà la sua parte, nel quadriennio 2022-2026 il 30% dei prestiti erogati dovrà essere in valute locali.

L’erosione dell’influenza politica americana sembra andare di pari passo con l’erosione di quello che Giscard d’Estaing negli anni Sessanta definiva “l’esorbitante privilegio” del dollaro. Lo status di valuta di riserva è stato intaccato dalle sanzioni prese nei confronti della Russia, il congelamento di parte delle riserve valutarie della banca centrale è stato un duro colpo alla stabilità finanziaria di Mosca ma è anche stato un precedente che ha fatto suonare più di un campanello di allarme.

In futuro, un presidente spregiudicato potrebbe usare l’arma delle riserve come leva negoziale in una disputa commerciale, le restrizioni poste alle riserve ha portato alla luce il legame tra egemonia politica ed egemonia finanziaria, le riserve conservate negli Stati Uniti hanno perso la loro neutralità rispetto alla politica estera. E così i paesi del Sud del mondo hanno cominciato a vendere parte dei dollari delle loro riserve, la quota della valuta americana nelle riserve globali è scivolata sotto il 60%, “una delle quote più basse degli ultimi vent’anni” scrive la Banca dei Regolamenti Internazionali.

Porzione di dollari usa nelle riserve ufficiali globali (fonte BIS, Dec 2022)

È davvero l’inizio della fine del monopolio mondiale del dollaro come sostengono i paesi avversari degli Stati Uniti e molti autorevoli commentatori?

La primazia del dollaro venne sancita alla Conferenza di Bretton Woods nel 1944. Nella località del New Hampshire l’amministrazione americana realizzò l’ambizioso programma geopolitico di attribuire al dollaro il ruolo di valuta globale che era stato della sterlina inglese. L’esito del braccio di ferro tra il sottosegretario Harry Dexter White e John Maynard Keynes, che proponeva l’istituzione di una valuta globale, il Bancor, era già stato scritto a Washington.

Ma il declino della sterlina era cominciato nel 1919. La Prima Guerra Mondiale aveva dissolto l’impero russo, l’impero ottomano e, nonostante la vittoria, lo stesso impero britannico. Tre imperi erano scomparsi e ne emergeva uno nuovo, le sue spade erano la flotta navale e il dollaro. Gli Stati Uniti erano i creditori del mondo, New York toglieva a Londra il primato di piazza finanziaria più importante del mondo, il dollaro subentrava alla sterlina come moneta nei regolamenti internazionali.

Conferenza di Parigi 1919, da sinistra il primo ministro inglese David Lloyd George, il Presidente del Consiglio italiano Vittorio Emanuele Orlando, il presidente francese Georges Clemenceau (France) e il presidente americano Woodrow Wilson (fonte Wikipedia)

Da Bretton Woods ci separano ottant’anni ma è come se fossero due secoli, il mondo è cambiato radicalmente, i primi colpi all’ordine monetario stabilito nel 1944 furono il regime di cambi flessibili introdotto nel 1971, quando Nixon abbandonò la convertibilità in oro del dollaro, e poco più tardi la libera circolazione dei capitali,

Steil “The Battle of Bretton Woods” (Princeton University Press, 2013)

Il libro è l’avvincente racconto del braccio di ferro tra Stati Uniti e Gran Bretagna alla Conferenza di Bretton Woods. Con accurata documentazione d’archivio Steil ricostruisce anche la controversa figura di White, il sottosegretario che aveva il compito di sancire il nuovo ordine monetario globale con al centro il dollaro

La diminuzione della dipendenza dal dollaro porterebbe indubbi benefici alle economie emergenti, minor rischio di cambio e più semplice accesso al credito. Ma l’obiettivo dei paesi avversari degli Stati Uniti è più ambizioso, scommettono sulla de-dollarizzazione del sistema monetario globale, sull’abolizione dell’”esorbitante privilegio” che fa del dollaro la moneta globale.

“Il processo di de-dollarizzazione non può essere fermato” ha detto il ministro degli esteri russo Lavrov il 25 aprile. La Russia aveva cominciato a diminuire la sua dipendenza dal dollaro molto prima della guerra, adesso accelera stringendo accordi con la Cina. Lo yuan si sta affermando negli scambi commerciali tra paesi emergenti e di frontiera, il Ministero delle Finanze del Bangladesh ha annunciato che pagherà 318 milioni di dollari in yuan cinesi a uno sviluppatore di energia nucleare russo. L’Argentina, in crisi, ha negoziato il pagamento in yuan delle sue importazioni dalla Cina, i sauditi e i cinesi stanno discutendo di fatturare il petrolio in un’altra valuta che non sia il dollaro.

Pechino regola gli acquisti di petrolio con la propria valuta e nel 2018 ha istituito una propria borsa merci a Shanghai dove i contratti futures sul greggio, in dollari in tutte le altre borse del mondo, sono regolati in renminbi. La “moneta de popolo” guadagna quote di mercato ma si tratta di quantità ancora modeste rispetto alla totalità degli scambi globali.

L’ansa della Storia dietro la quale c’è un nuovo ordine mondiale, nasconde anche uno sconquasso monetario come quello del 1919? Sarà il renmimbi la nuova valuta globale e il dollaro destinato a fare la fine della sterlina?

Prima o poi anche il dollaro perderà il suo esorbitante privilegio, la gloria degli uomini (e delle valute) è destinata a passare, è successo alla sterlina e accadrà in futuro anche al biglietto verde.

Ma quel futuro è ancora lontano, la strada della de-dollarizzazione è ancora lunga.

Se la Cina imponesse lo yuan a tutti i suoi partner la domanda sarebbe astronomica, costituirebbe una pressione formidabile sulla Cina, probabilmente non gradita, la Cina è anche uno dei maggiori creditori del Tesoro americano, un indebolimento strutturale del dollaro non è (ancora) nel suo interesse.

C’è un altro aspetto, messo in evidenza da Paul McNamara di GAM Investment in un suo recente editoriale sul Financial Times. I paesi “BRICS” sono tutt’altro che un’area valutaria ottimale, economie “drammaticamente diverse in termini di commercio, crescita e apertura finanziaria” e la Cina ha un ruolo dominante. Dal 2003 la quota dei paesi Brics della produzione globale a prezzi di mercato è passata dall’8,4 al 25,5%, “di questo aumento di 17,1 punti percentuali, la Cina rappresenta 14 punti” scrive McNamara, “l’alternativa agli Stati Uniti non è un gruppo diversificato di Paesi in crescita, ma essenzialmente un Paese solo, la Cina … nel cercare di sfidare l’egemonia statunitense negli scambi con l’estero, i membri non cinesi dei Paesi del gruppo potrebbero solo aumentare la loro dipendenza da Pechino”.

L’economia cinese compete con quella americana ma le performance economiche non bastano. Ogni valuta esprime un portato anche non economico fatto da istituzioni, ordinamenti, culture politiche. Dietro al dollaro ci sono libere istituzioni democratiche, lo stato di diritto, la tutela della proprietà, le libertà individuali, la libera impresa e il libero mercato da cui discende la libera convertibilità della valuta. Valori che hanno ovviamente a che fare con la crescita economica ma che non sono squisitamente economici.

Non sarà facile abbandonare la divisa che tutti cercano quando le cose si mettono male. Parafrasando Mark Twain, ritengo che la notizia della scomparsa dell’egemonia del dollaro sia fortemente esagerata.

A cura di:

Clicca sull’immagine per contattare l’autore su linkedin