La nuova strategia di Pechino – di Pinuccia Parini

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La “dual circulation strategy” (Dcs) è potenzialmente il nuovo modello di sviluppo cui il paese sta guardando ed è la risposta cinese alla fase di incertezza cui il mondo si trova di fronte. I dettagli non sono ancora disponibili ma, nel paese, il dibattito è acceso. Se Pechino implementasse davvero questa nuova strategia, gli impatti sul commercio e l’economia mondiale sarebbero importanti.

Lo scorso maggio, in occasione della riunione del Politbureau del Partito comunista cinese, il presidente Xi Jinping  aveva parlato per la prima volta di una nuova strategia per il paese, la “dual circulation”, all’interno di un appello rivolto a tutta la nazione «per fare emergere appieno il potenziale offerto dalle dimensioni del mercato cinese e dalla domanda interna, per stabilire un nuovo modello di sviluppo caratterizzato da una doppia circolazione interna ed esterna, che si completano a vicenda».

In una successiva riunione dell’organo del partito, a luglio, Xi aveva ripreso l’argomento rimarcando la necessità per la Cina di accelerare un modello di crescita a «doppia circolazione» concentrandosi sull’espansione della produzione domestica e, allo stesso tempo, attirando gli investimenti esteri e stabilizzando il commercio. Lo scorso 1° settembre, in occasione di una riunione del comitato centrale, il presidente aveva ripreso l’argomento, invitando i componenti a impegnarsi per la stesura delle linee guida di questa nuova strategia. 

Quale modello? 

La “dual circulation strategy” (Dcs) è potenzialmente il nuovo modello di sviluppo cui il paese sta guardando e si aggiunge a una serie consistente di piani adottati per rafforzare la crescita cinese e fare assumere alla nazione un ruolo sempre più importante nello scenario internazionale: dal Made in China 2025 alla nuova Via della seta (Belt and road initiative) per arrivare al China standards 2035 e al Programma nazionale a medio e lungo termine per lo sviluppo della scienza e della tecnologia; tutti entreranno a fare parte del prossimo 14° Piano quinquennale. Quando Xi Jinping ha introdotto il concetto della Dcs, ha parlato di una Cina che per il suo sviluppo farà affidamento principalmente sulla «circolazione interna», da intendere come ciclo locale di produzione, distribuzione e consumo, grazie a un continuo processo di innovazione e potenziamento del sistema economico. Si tratta, semplificando, di una rivisitazione della “Supply side structural reform” (Sssr), introdotta nel 2015 e che ha guidato la Cina negli ultimi cinque anni, come rimarcano Andrew Polk e Jude Blanchette nel loro paper “Dual circulation and China’s new hedged integration strategy”.

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È stato grazie alla Sssr che il gigante asiatico è riuscito a ridurre gli eccessi di capacità produttiva del settore industriale, che spesso avevano generato grandi inefficienze all’interno del sistema.

A oggi, pochi sono gli elementi offerti dal presidente per capire i dettagli della nuova strategia, ma in Cina sull’argomento è già iniziato un acceso dibattito pubblico tra i consulenti governativi, i centri di ricerca, gli economisti che, ricordano Blanchette e Polk, si dividono sostanzialmente in due correnti: coloro che ritengono che si debba porre molta più enfasi sulla “circolazione esterna”, ovvero internazionale, perché è grazie a questo canale di osmosi con il mondo esterno che arriveranno gli stimoli per continuare le riforme, e altri, invece, che sostengono che la forza futura della Cina dipenderà da quanto riuscirà a essere indipendente dal mondo esterno, che frequentemente le è ostile. Gli spunti di riflessione che emergono sono diversi e indicano che il tema in questione è nodale nel determinare il futuro del paese.

Xu Hongcai, vicedirettore del comitato di politica economica della China association of policy sciences, rimarca quanto sia importante per la Cina perseguire uno sviluppo di elevata qualità, continuando nel solco già tracciato dalla “Supply side structural reform”. Porre maggiore enfasi sul mercato interno e sul lato della domanda è quanto raccomanda  anche Huang Yiping, professore alla National school of development dell’Università di Pechino, soprattutto ora che si è entrati in una nuova fase della crescita del paese e Yu Yongding, direttore dell’Institute of world economics and politics of the chinese academy of social sciences, che ritiene fondamentale concentrarsi maggiormente su come la Cina possa posizionarsi nella fascia alta della catena del valore della produzione, piuttosto che continuare a porre enfasi sul settore dei servizi, verso il quale è avvenuto un ribilanciamento importante dell’attività economica e della creazione di valore.  

Perché la nuova strategia? 

La “dual circular strategy” potrebbe essere la risposta della Cina alla fase di incertezza cui il mondo si trova di fronte. Dal 1978, quando Deng Xiaoping introdusse una serie di riforme che aprirono il paese al mercato capitalistico, la composizione del Pil cinese è significativamente cambiata: da allora il settore terziario è passato dal 25% a oltre il 50% attuale, mentre quello primario si è contratto in maniera significativa di circa 20 punti percentuali fino all’8% attuale. Le esportazioni non fanno più da traino all’attività economica: la domanda domestica nel 2019 ha contribuito per circa il 60% al Pil, mentre il valore lordo dell’export è stato del 17% (nel 2007 era il 35%). 

Ciononostante, il fenomeno della deglobalizzazione e la contrazione del commercio internazionale hanno fatto emergere nuove considerazioni su quale modello economico puntare per il futuro e quindi anche la Cina si trova nella necessità di rivedere le proprie strategie. Secondo Stephen Olson, della Hinrich foundation,

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siamo dinnanzi a una nuova era nel commercio, guidata da tre fattori: «Una crescente convinzione in occidente di avere gravemente sottovalutato gli impatti deleteri che hanno accompagnato l’integrazione della Cina nel sistema commerciale globale; una maggiore disponibilità (certamente da parte degli Stati Uniti, ma sempre più anche da Unione Europea,  Australia e Giappone) a confrontarsi con la Cina e tentare di reimpostare i termini delle relazioni commerciali; la pandemia di Covid-19, che evidenzia i rischi e le vulnerabilità di una profonda integrazione commerciale, spingendo paesi e aziende a ridurre la dipendenza da altre economie. (…) Il panorama commerciale in cui la Cina dovrà navigare d’ora in poi sarà considerevolmente meno favorevole di quello che ha attraversato negli ultimi due decenni». 

Attraverso la Dcs, la Cina sembra avviare nuovi equilibri, diventando più autosufficiente e cercando una presenza sui mercati internazionali più dettata dalla necessità di soddisfare i bisogni del Paese, piuttosto che la domanda proveniente dall’esterno. Ma lo sforzo di ridurre la dipendenza dall’estero è notevole, specialmente nei settori della tecnologia, dell’energia e dell’agricoltura. «La Cina fa affidamento sull’importazione dei semiconduttori per un valore di 300 miliardi di dollari per soddisfare oltre l’85% della domanda del mercato interno: il progressivo inasprimento delle restrizioni alle esportazioni statunitensi dimostra quanto sia diventata precaria quella fonte di approvvigionamento», rimarca Olson. 

È quindi la nuova strada che Pechino sta delineando la risposta cinese a un nuovo equilibrio mondiale, cui la pandemia ha impresso un’accelerazione? George Magnus, economista e associato presso il China centre alla Oxford University, ricercatore associato presso la School of oriental and african studies, ritiene che la Dcs sia l’espressione della volontà della Cina di fare sempre più affidamento sulle proprie forze e diventare sempre più potente. Per il suo duplice obiettivo, la nuova strategia ricorda all’economista (e non è certo di buon auspicio) la «disastrosa» politica di Mao “Camminare su due gambe”, che si rifaceva al simultaneo sviluppo dell’agricoltura e dell’industria pesante. Secondo Magnus, la “dual circular strategy” sembra una riedizione di quanto avvenne sotto la leadership di Hu Jintao e Wen Jiabao, quando si assistette a un vero e proprio piano di riforme affinché si portasse la struttura della crescita economica e dello sviluppo cinese dagli investimenti e dalle esportazioni verso i consumi e i servizi.  Ad avvalorare la sua teoria è che il principale artefice della Dcs, il vice premier Liu He, era stato il promotore della “Supply side reform” e delle misure adottate per ridurre il livello di debito del sistema finanziario domestico. Perché farlo ora? Magnus ritiene che, dal punto di vista del governo cinese, ci siano buone ragioni, tra cui il peso dei consumi privati sul Pil cinese, sceso al 38,8% nel 2019 dal 45% toccato agli inizi del 2000. 

Inoltre, negli ultimi anni, il debito delle famiglie è in continua crescita, un aspetto quest’ultimo che preoccupa maggiormente da quando la guerra commerciale con gli Usa è iniziata (2018).  Anche per l’economista, «la Cina ora riconosce di dovere affrontare un ambiente globale sempre più instabile che prima non esisteva e che non sembra che cambierà presto».

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E non si tratta solo del deterioramento delle relazioni sino-americane, bensì di un malessere generale molto più diffuso che sembra aumentare nei confronti del paese. Da qui, forse, la consapevolezza che mantenere un’elevata dipendenza dagli Stati Uniti e da altre aziende straniere per beni, tecnologie, know-how sia troppo rischioso e che l’accelerazione della produzione domestica di questi beni diventi un imperativo per un paese che vuole essere sempre più autosufficiente, pur mantenendo la propria esposizione al commercio internazionale.

Un equilibrio difficile

Implementare questa nuova strategia, senza tenere conto delle ricadute che potrà avere sulla popolazione, presenta molti ostacoli e vere e proprie sfide, perché non si tratta di ridisegnare solo una nuova politica economica. Secondo Matt Klein e Michael Pettis, come argomentato nel loro libro “Trade wars are class wars”, la “dual circulation strategy” ha una contraddizione interna al proprio modello. Secondo i due autori, «la forza delle esportazioni cinesi (,..) dipende, almeno in parte, dalla bassa quota che i lavoratori mantengono di ciò che producono. Ecco il problema. La Cina può fare affidamento sul consumo interno per guidare una quota molto maggiore di crescita se i lavoratori iniziano a ricevere una percentuale molto più alta di ciò che producono, quindi lo stesso processo di riequilibrio deve minare la competitività delle esportazioni cinesi. (…) La crescita sostenibile auspicata dai responsabili politici cinesi richiede ancora una profonda trasformazione nel modo in cui il reddito viene distribuito ai diversi settori. Non solo la sfida politica è più grande che mai, ma, poiché la passata crescita cinese è dipesa in modo così pesante dalle attuali distorsioni nella distribuzione del reddito, la trasformazione verso un nuovo modello richiederà quasi certamente un periodo di aggiustamento molto difficile. Affinché la “doppia circolazione” funzioni, la circolazione interna può avvenire solo a scapito di quella internazionale e, mentre ciò accade, la ricchezza e con essa il potere devono essere spostati dalle élite di oggi alle normali famiglie cinesi».

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Ciononostante, se la Cina riuscisse a implementare il suo programma, in base agli elementi che sono al momento a disposizione, «gli impatti sull’economia globale sarebbero epocali», commentano Blanchette e Polk. Infatti, visto il peso della Cina sul commercio mondiale, è presumibile supporre che qualsiasi cambiamento di politica commerciale avrà riflessi a livello globale. Nello specifico, se il paese dovesse concentrare la sua attività produttiva su beni di fascia alta, «potrebbe significare che la Cina cercherà di replicare il modello manifatturiero tedesco. In caso di successo, questa mossa rappresenterebbe una grande sfida per le economie industrializzate. La scala di produzione cinese potrebbe iniziare a sconvolgere una serie di nuovi segmenti di mercato, come è successo in passato con le batterie solari e al litio».  Per Magnus, tra le varie domande, ci si deve chiedere sino a che punto avverrà il decoupling della Cina e quale autosufficienza la nazione riuscirà a raggiungere. A determinare la portata di questi cambiamenti saranno le forze politiche, economiche e intellettuali interne, che si confronteranno su quale sia la strada che il paese dovrà intraprendere e quale tipo di riforme dovrà adottare: continuare con l’apertura del paese o concentrarsi sulla sicurezza nazionale.

Per il momento il presidente Xi Jinping ha sottolineato che «lo status della Cina nell’economica mondiale continuerà a crescere, con legami sempre più stretti e, in occasione del Global trade in services summit 2020, tenutosi lo scorso 4 settembre, ha rimarcato che la Cina si impegnerà a promuovere una maggiore armonizzazione della regolamentazione nel settore dei servizi a livello multilaterale e regionale e lavorerà per il miglioramento continuo della governance economica globale e per una crescita più inclusiva dell’economia mondiale».

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