L’agricoltura italiana: com’è cambiata e come si proietta verso il futuro di Nicola Chiaranda

Proseguiamo il nostro viaggio nel modo dell’agricoltura e, dopo aver esaminato nel precedente articolo la situazione dell’agricoltura italiana nel contesto mondiale, in questo scritto ci proponiamo, da un lato, di vedere come l’agricoltura del nostro paese sia evoluta negli ultimi 20 anni e le problematiche attuali, e dall’altro lato, di immaginarne il futuro, sulla base delle tendenze e delle sfide emergenti.

Tra le principali conclusioni circa la situazione attuale, dal punto di vista agricolo, si era detto che:

– l’agricoltura italiana pesa circa il 3% del PIL e presenta un numero maggiore di lavoratori rispetto ai principali paesi europei, con minor terra disponibile, ma con produzioni a più elevato valore, che fanno della nostra agricoltura la prima per valore aggiunto, davanti a Francia e Spagna.

– i servizi, connessi sia direttamente sia indirettamente all’agricoltura (e.g. agriturismo), pesano quasi il 20%, con importanza sempre crescente;

– l’Italia importa prodotti di base (cereali, soia, olio) ed esporta beni a valore aggiunto (vino, pasta, formaggio).

Volendo ora esaminare come la produzione agricola sia cambiata negli ultimi 20 anni, dalla Fig. 1 si può osservare come, le quantità prodotte siano scese del 25%, con le riduzioni più rilevanti per quanto riguarda lo zucchero (-86%), la verdura (-35%) e i radici & tuberi (-35%). Per quanto riguarda i prodotti che sono cresciuti di più troviamo, invece, le fibre (+593%) e i legumi (+103%), in risposta al cambiamento dietetico degli ultimi anni.

Fonte: FAOSTAT (Rielaborazione dell’autore)

I cambiamenti nelle quantità prodotte trovano tipicamente spiegazione nella variazione delle superfici coltivate e delle rese delle singole colture. In tal senso la Fig. 2 permette di osservare che la riduzione delle quantità prodotte del 25% tra il 2000 e il 2019 si accompagna ad una riduzione della superficie agricola utile (SAU) del 23% durante lo stesso periodo, con correlazione significativa tra variazione percentuale delle tonnellate prodotte e superfici utilizzate. Si osservi, in particolare, il caso dei cereali e dello zucchero.

Fonte: FAOSTAT (Rielaborazione dell’autore)

L’altro elemento, oltre alla superficie coltivata, che spiega la variazione della produzione nel tempo, anche se in misura molto minore, è il cambiamento del rendimento per ettaro. In questo senso i rendimenti per ettaro sono generalmente cresciuti nel tempo, compensando in tal modo e parzialmente la riduzione della superficie utilizzata. Da notare, nella Fig. 3, a parte le fibre che presentano volumi molto piccoli, gli incrementi importanti di rendimento dei legumi (+38%), agrumi (+18%) e frutta (+15%).

Fonte: FAOSTAT (Rielaborazione dell’autore)

Per quanto riguarda l’incremento dei rendimenti nel tempo, lo stesso trova generalmente spiegazione nella maggior livello di automazione, nel maggior uso di pesticidi e di fertilizzanti.

Nel corso degli ultimi 20 anni il capitale investito dell’agricoltura italiana non è tuttavia veramente salito, mentre l’utilizzo dei pesticidi e di fertilizzanti è addirittura calato, come si evince dalla Fig. 4. Se ne deve concludere che l’incremento della produttività per ettaro è dovuta a una riduzione della SAU degli ultimi anni che deve aver logicamente riguardato i terreni meno produttivi e a una riduzione del 20% del numero degli addetti, che deve riguardare quelli meno abili, spesso perché anziani, a far fruttare la terra coltivata. 

La riduzione della SAU si è anche accompagnata ad una riduzione del numero delle imprese agricole (-13% rispetto al 2010), mentre il numero delle imprese complessive in Italia nello stesso periodo si è ridotto dell’1%.

Volendo poi analizzare l’evoluzione della agricoltura italiana per fatturato, si conferma la progressiva contrazione delle unità di piccola dimensione

Clicca sull’immagine per accedere all’Annuario CREA dell’Agricoltura Italiana 2018, pag. 64

La diminuzione più rilevante, sia in termini di aziende che di superficie, ha infatti interessato le aziende con fatturato inferiore a 8.000 euro, che rappresentano la metà delle aziende italiane ma solo l’11% delle superfici coltivate. Anche in termini di SAU, oltre che di fatturato, le variazioni negative hanno interessato le classi di aziende fino a 100.000 euro di fatturato.

Nonostante il sistema produttivo agricolo italiano sia ancora molto frammentato (le ditte individuali, seppur in flessione, continuano a rappresentare l’86% delle imprese del settore, l’11,5% adotta la forma giuridica della società di persone, mentre il 2,4% sceglie di operare come società di capitali), è evidente una tendenziale ricomposizione strutturale verso le classi dimensionali elevate, superiori ai 100.000 euro, che gestiscono quasi la metà della SAU totale. (Annuario, pag. 61)

Per quanto riguarda poi la localizzazione delle imprese, la maggior parte delle unità produttive agricole è concentrata nelle regioni del Sud: Puglia, Sicilia, Calabria e Campania sono le prime quattro regioni, dove si concentrano oltre 700 mila aziende (46,9% del totale). Tra le regioni del Nord il Veneto ha il maggior numero di aziende (88 mila, il 5,8%). Nel Centro, il Lazio con 100 mila aziende copre il 6,9% del totale.

Riguardo, infine, la relazione tra localizzazione e dimensione aziendale in termini di SAU, a un valore di 8,4 ettari di media nazionale, corrispondono livelli regionali differenziati, con valori più elevati nelle regioni del Nord (20,5 ettari di SAU media in Lombardia, 14,7 in Emilia-Romagna, 12,9 in Piemonte) e più contenuti al Sud (7,4 in Sicilia, 5,5 in Puglia, 4,2 in Campania) a eccezione della Sardegna (dimensione media di 20,1 ettari). Si conferma quindi l’esistenza di due sistemi agricoli differenziati: più strutturato al Nord e più polverizzato al Sud.

Molto significativa anche la composizione percentuale in base alle classi di età: la quota di titolari giovani (età inferiore ai 30 anni) è pari al 4,1% e la quota di titolari con più di 50 anni rappresenta, invece, quasi il 70% dei titolari (Annuario, Pag. 62).

Anche dal punto di vista del mercato fondiario l’agricoltura italiana si conferma essere un mondo di forti contrasti: permane una forte differenziazione dei valori medi sia dal punto di vista geografico che altimetrico. Si passa dai 54.000 euro per ettaro di Veneto e Trentino-Alto Adige ai 7.000 euro di Basilicata e Sardegna. I terreni di pianura mediamente valgono il doppio dei terreni montani e collinari (Annuario, pag. 107)

Tutto ciò considerato, la Fig. 5 mostra l’evoluzione del conto economico dell’agricoltura italiana negli ultimi tre anni, compreso il 2020 nel quale si sono manifestati gli effetti del Covid.

Clicca sull’immagine per accedere alla fonte: ISTAT Agricoltura

Durante il triennio 2018-2020 la produzione agricola è rimasta sostanzialmente costante tra i 51-52 miliardi di euro con una leggera contrazione del valore lordo aggiunto a prezzi base (-3%) ed un incremento del valore aggiunto netto (+2.74%), dovuto ad un importante calo (-15.5%) degli ammortamenti, chiaro segnale della riduzione del valore dello stock di investimenti.

Particolarmente interessante è osservare, in generale, l’ammontare sia della produzione agricola di servizi (attestata costante intorno agli € 5 miliardi di euro), sia delle attività secondarie non agricole (€ 4.4 miliardi), che, invece, hanno registrato un calo significativo nel 2020 (- 4.7% rispetto al 2018 e 6.7% rispetto al 2019).  

Come si evince dalla Fig. 6 le attività secondarie non agricole comprendono principalmente l’agriturismo e la produzione di energia rinnovabile e, se è vero che hanno subito un calo importante nel 2020, in particolare la prima, per effetto del Covid, sono cresciute di oltre il 60% tra il 2010 e il 2018.

Clicca sull’immagine per accedere alla fonte – Istat e Annuario Agricoltura Italiana CREA 2018

Secondo l’ISTAT (Rapporto annuale 2019, La situazione del Paese), le aziende agricole che diversificano registrino migliori risultati economici. La diversificazione rappresenta quindi, un elemento fondamentale all’interno del settore agricolo (Annuario, pag. 305) 

Vediamo rapidamente quali sono le principali attività nella quali tale diversificazione si attua.

Innanzitutto, va menzionato l’agriturismo, che è cresciuto del 25.7% tra il 2010 e il 2018, raggiungendo un valore della produzione di € 1.4 Miliardi.

Clicca sull’immagine per scaricare il Rapporto Agriturismo e Multifunzionalità 2020 Ismea RRN

In crescita anche il numero di aziende: secondo la rilevazione più recente, relativa al 2019, le aziende agrituristiche sono 24.576 (+4.1% rispetto al 2018) con l’attività agrituristica avviata mediamente da imprenditori giovani (di età inferiore ai 43 anni) e la durata media delle imprese agrituristiche che si attesta sui 12 anni.

In questo senso la flessione, molto importante intervenuta nel 2020 (-70% secondo le stime)

Clicca sull’immagine per accedere alla fonte

è considerata di natura temporanea, con il settore che dovrebbe ritornare rapidamente ai valori pre-Covid una volta vinta la pandemia.

Il secondo settore tra le attività secondarie, in ordine di importanza, è quello delle Agroenergie, che rientrano tre le Energie rinnovabili, il cui valore della produzione è cresciuto del 550% rispetto al 2010 (Annuario, pag. 322).

In particolare, nel 2018 con le bioenergie si sono prodotti circe 19k GwH (vs 49K dell’idroelettrico, 18k dell’eolico, 23k del solare fotovoltaico e 6k della geotermia).

Va detto che le agroenergie non sono un settore omogeneo, ma un complesso diversificato e articolato di processi, prodotti, filiere, tecnologie, che generano benefici e impatti completamente differenti.

Sono rappresentate da 2924 impianti con una potenza installata totale di 4180 Mw, suddivisi tra Biomasse solide (rifiuti urbani e altre biomasse), Biogas (da rifiuti, da fanghi, da deiezioni animali, da attività agricole e forestali), Bioliquidi (oli vegetali grezzi, altri bioliquidi).

Sulle bioenergie si registra un importante dibattito: se da un lato rappresentano un utile metodo di diversificazione dei redditi agricoli, valorizzando le economie locali, come nel caso dell’utilizzo dei residui forestali o di reflui zootecnici o dei pannelli fotovoltaici integrati nei fabbricati rurali, dall’altro lato possono sia distorcere gli equilibri tra domanda e offerta dell’uso del suolo o dei prodotti alimentari (dibatto food vs fuel).  

E il futuro?

Fin qui abbiamo descritto la situazione esistente dell’agricoltura italiana, che si presenta in leggera crescita, con una presenza percentuale di addetti più elevata rispetto ad altri paesi occidentali, una parcellizzazione maggiore delle superfici, minori dimensioni medie delle imprese agricole e forti differenziazioni regionali, ma che sempre più punta sul cibo made in Italy,  sulla sostenibilità e sull’eccellenza delle sue produzioni, che  fanno del nostro paese il primo in Europa per il valore aggiunto in agricoltura.

La domanda è, a questo punto, verso che futuro andiamo? E il Covid ha avuto o avrà qualche peso nella direzione da prendere?

Per rispondere a queste domande occorre evidenziare quali siano le tendenze, sia globali che locali, in corso e in formazione e immaginare come evolveranno.

Aumento della produzione agricola a livello globale

Secondo le previsioni dell’OCSE, nonostante una riduzione del tasso di crescita della popolazione mondiale, la leva demografica rimarrà il principale motore dei consumi.

In particolare, la produzione agricola dovrebbe aumentare del 15% nel prossimo decennio. Dal momento che l’uso globale dei terreni agricoli dovrebbe rimanere sostanzialmente stabile, data la scarsità di nuove terre disponibili, l’aumento previsto della produzione vegetale non potrà che venire dal miglioramento delle rese e da una più elevata intensità produttiva, fenomeni favoriti dall’innovazione tecnologica.

Nell’Europa occidentale tuttavia (Annuario, pag. 43), a differenza di quanto avverrà nelle aree in via di sviluppo, il consumo pro-capite di molti prodotti dovrebbe rimanere invariato.

Crescita del commercio Internazionale e dell’importanza della food security

Il commercio internazionale manterrà un ruolo essenziale per la sicurezza alimentare in un numero crescente di Paesi importatori di prodotti alimentari.

Allo stesso tempo le tematiche della food security avranno importanza sempre crescente, con i diversi stati che cercano sempre di più di essere autosufficienti nella produzione alimentare, considerando anche la crescente tendenza al nazionalismo, sia politico che economico, e la presenza sempre maggiore di forze anti-globalizzazione 

In tale senso va ricordato il recente intervento del presidente di Confagricoltura che ha richiesto maggiori risorse a favore della agricoltura italiana per accrescere la produzione agricola interna attraverso nuovi investimenti, anche scientifici e tecnologici, che potenzino il settore.

Clicca sull’immagine per accedere alla fonte

Necessità di innovazione tecnologica

L’innovazione tecnologica nei processi produttivi dell’agricoltura moderna, infatti, consente il mantenimento di alti livelli delle produzioni agricole, con una maggiore efficienza dell’uso dei fattori produttivi (Annuario, pag. 188)

Si segnala al riguardo l’importanza delle new breeding techniques, vale a dire le tecnologie di manipolazione genetica di ultima generazione, come la cisgenesi e il genome editing. Si tratta di tecniche che, senza dare vita ad OGM transgenici, permettono di migliorare le colture in modo che siano più produttive ed efficienti, che resistano alle malattie e ai parassiti o agli effetti dei cambiamenti climatici.

Clicca sull’immagine per accedere alla fonte

Produzione deve essere sostenibile

Se da un lato occorre produrre di più, dall’altro lato occorre farlo in modo sostenibile per permettere la sopravvivenza sul pianeta. In tale senso il settore agricolo riveste ovunque un ruolo fondamentale: opera, infatti, nella duplice veste di attore in grado di determinare importanti impatti sulla qualità e disponibilità delle risorse ambientali, ma anche di luogo di presidio delle risorse del pianeta (Annuario, pag. 11).

Un primo tema è, al riguardo, quello delle emissioni di gas a effetto serra.

Greenhouse Gas

Secondo la FAO

Clicca sull’immagine per accedere alla fonte

l’agricoltura continua a contribuire negativamente, in modo significativo, alle emissioni globali di gas a effetto serra, con le emissioni prodotte dal settore agricolo, provenienti principalmente dagli allevamenti, dalle colture di riso e dai fertilizzanti sintetici, che dovrebbero aumentare dello 0,5% all’anno nel prossimo decennio, rispetto allo 0,7% all’anno degli ultimi dieci anni, in misura quindi inferiore alla crescita della produzione agricola.

Ottimizzazione dei fattori produttivi

Un’agricoltura sostenibile, oltre ad emettere meno gas ad effetto serra, deve preoccuparsi di minimizzare l’uso dei fattori produttivi (quali terra, acqua, energia) e di mantenerne la qualità (aria, acqua, terra), rispettando allo stesso tempo il lavoro umano.

In tal senso le bioenergie, delle quali si è parlato in precedenza, sottolineando i progressi fatti in Italia al riguardo, e l’economia circolare, sono elementi chiave per la sostenibilità, assieme al necessario investimento in nuove tecnologie. 

Ben venga, quindi, la presenza sempre maggiore di start-up innovative, anche nel nostro paese, nei settori agribusiness e food, e i benefici fiscali che ne favoriscono la creazione tramite l’investimento di nuovi capitali di rischio.

Riduzione degli sprechi

Ottimizzare l’utilizzo dei fattori produttivi passa anche dalla riduzione degli sprechi alimentari: come noto il 30% del cibo prodotto viene sprecato in un punto o in un altro della filiera produttiva.

In tal senso, gli italiani sono anche sempre più sensibili allo spreco, pertanto è aumenta la percentuale di coloro che congelano i cibi (91%) e di coloro che consumano cibi con scadenza passata da pochi giorni (62%) (Annuario, pag. 50).

La tendenza sempre maggiore, anche nel nostro paese, a consumare i pasti fuori casa, ha per effetto un ulteriore incremento dello spreco di cibo e in tal senso è da vedersi con favore la tendenza, sempre più diffusa, a chiedere il box da portare a casa dal ristorante se non si termina il pasto in sede.

Rispetto del lavoro e cibi etici

Non può esserci, infine, un pianeta sostenibile senza rispetto dell’uomo. Chi non rispetta l’uomo (e gli altri animali) non potrà rispettare la natura.

Va al riguardo segnalata la crescita in Italia della richiesta di cibi etici (Annuario, pag. 50): sono il 41% coloro che hanno dichiarato di acquistare questa tipologia di prodotti nel 2018 e che sarebbe disposta a pagare un prezzo superiore alla media per garantirsi beni ottenuti rispettando i diritti umani.

Produzione di cibo sano e salutare

Se quindi è necessario produrre più cibo e produrlo in modo sostenibile è anche necessario che il cibo sia sano e salutare.

Sul fronte della domanda, si assiste infatti all’evolversi delle diete, che riflettono le preoccupazioni per la salute e la sostenibilità, nonché le risposte politiche alle tendenze allarmanti legate all’obesità.

Secondo il Prof. Walter Willett, MD nella Harvard T.H. Chan School of Public Health, la trasformazione verso diete sane entro il 2050 richiederà sostanziali cambiamenti nella dieta. In particolare:

  • il consumo globale di frutta, verdura, noci e legumi dovrà raddoppiare
  • Il consumo di alimenti come carne rossa e zucchero dovrà essere ridotto di oltre il 50%
  • Una dieta ricca di alimenti di origine vegetale e con meno alimenti di origine animale conferisce benefici per la salute e per l’ambiente.

In tal senso (Annuario, pag. 51s.) gli orientamenti rilevati dal Rapporto Coop 2019 confermano che gli italiani consumano ancora troppa carne, salumi e formaggi; tuttavia, dall’altro lato cresce la vendita dei prodotti biologici, che sembrano essere ormai usciti dalla dimensione di nicchia, con tassi di incremento in valore molto consistenti.

Prosegue dunque la crescita del biologico, che nel 2018 vale 1.266 milioni di euro, registrando una variazione percentuale sull’anno precedente pari a +3,7%, con una incidenza del 10,5% sul totale del fatturato alimentare italiano.

Le vendite bio vanno dall’ortofrutta (5% sul fatturato di reparto), che guida la classifica per merceologia, fino a tutti i freschi, ai surgelati, alle bevande e alle carni, mostrando livelli di crescita superiori al 20%.

Tra i prodotti bio preferiti dagli italiani ci sono le uova (+19%), l’olio extravergine di oliva (+14%), i cereali per la prima colazione (+7%), lo yogurt ed il latte fresco (+5%).

Va ricordata al riguardo, l’attenzione degli italiani al cibo: secondo l’OCSE, le risorse che gli italiani destinano all’acquisto di beni alimentari, collocano l’Italia al primo posto rispetto agli altri Paesi europei.

Queste tendenze di cibo sano e salutare si coniugano perfettamente bene con la realtà produttiva agricola italiana: la crescita dei consumi di prodotti biologici sta favorendo, a livello nazionale, un’espansione delle superfici coltivate (+6,3% nel biennio 2016- 17) secondo il metodo biologico.

Crescita del cibo Made in Italy

E con la crescita del cibo biologico, cresce il successo commerciale dei prodotti alimentari del Made in Italy, sempre più riconosciuti e apprezzati a livello internazionale

Secondo le tendenze rilevate dall’Osservatorio Immagino Nielsen (Annuario, pag. 51), i prodotti che riportano in etichetta l’indicazione “100% italiano” crescono di quasi del 9%; sullo stesso ordine di grandezza i prodotti a certificazione di origine (DOC, DOCG, DOP e IGP).

E, nonostante il Covid, l’export agroalimentare italiano ha continuato a crescere nel corso del 2020

Clicca sull’immagine per accedere alla fonte

In tale senso, circa il Covid, possiamo dire che – se pur ha avuto un impatto negativo sull’economia agricola, il cui valore complessivo si è ridotto del 3.3 % in termini di volume e del 6.1% in termini di valore aggiunto rispetto al 2019,

Clicca sull’immagine per accedere alla fonte

e in particolar modo sull’agriturismo – lo stesso accelera alcune tendenze che rappresentano punti forti dell’agricoltura italiana: il ritorno alla natura (e quindi l’agriturismo), le filiere corte, i prodotti biosostenibili, e, in generale, appunto, l’esportazione di cibo made in Italy.  In tale senso il Covid, come catalizzatore / acceleratore di alcuni delle tendenze positive suddette, ci porta a dire: non tutto il male viene per nuocere, con la resilienza e la capacità di adattamento che sono gli elementi che permettono di sopravvivere e di prosperare agli esseri viventi come ad interi paesi. 

Lavorare per superare le debolezze strutturali dell’agricoltura italiana

I trend globali recenti sembrano dunque essere favorevoli allo sviluppo dell’agricoltura italiana, che conferma la sua leadership europea (Annuario 2019, pag. 11):

Clicca sull’immagine per accedere alla fonte

nonostante la limitata superficie è la prima agricoltura d’Europa per valore aggiunto e la terza per produzione lorda vendibile, con trend in crescita sia nell’occupazione specializzata, sia dei processi di diversificazione, che, come si è visto in precedenza, costituiscono una porzione di largo rilievo sul totale della produzione di reddito.

Dall’altro lato (Annuario, p.12) permangono tuttavia problemi ancora irrisolti, i vari punti di debolezza della nostra agricoltura, che occorre considerare e lavorare per superare, con un importante ruolo della politica al riguardo.

Il primo problema fra tutti è quello della fragilità strutturale ed economica di una larga parte delle aziende agricole italiane, legata alla parcellizzazione delle terre che si traduce in una presenza predominante di imprese individuali, e si riverbera su rapporti interni di filiera spesso problematici.

Un secondo tratto caratteristico della nostra agricoltura risiede nelle molteplici forme in cui essa si manifesta a livello regionale (Annuario, pag. 27), spaziando dall’ampia varietà delle colture fino alle produzioni tipiche. Se la varietà della produzione costituisce certamente una forza, considerata anche le tendenze, collegate e sempre più importanti, delle filiere corte e della sicurezza alimentare a livello nazionale, negli ultimi anni si è amplificata la forbice tra Nord Italia da una parte e Centro-Mezzogiorno dall’altra, con il primo che cresce e i secondi che segnano il passo.

In tale senso, come detto recentemente dal presidente di Confagricoltura Giansanti,

Clicca sull’immagine per accedere alla fonte

occorre superare il divario infrastrutturale rispetto agli altri paesi europei, sia a livello logistico (hub portuali e aeroportuali, alta velocità, centri intermodali), sia a livello tecnologico e digitale, con investimenti in ricerca, innovazione e formazione.

In senso più ampio e strategico, occorre valorizzare le aree interne attraverso l’agricoltura che, con il suo potenziale multifunzionale, impedisce l’abbandono delle terre e l’urbanizzazione, creando forme di economia e turismo rurale che devono essere incentivate.

Le riforme strutturali, tuttavia, hanno bisogno di una pubblica amministrazione che faciliti la spinta innovativa ed elimini l’attuale eccessiva burocrazia.

In tal senso, come noto, il sostegno europeo all’agricoltura rappresenta un componente molto importante nell’economia del settore, e preoccupa dunque la riduzione dei fondi destinati alla futura Politica Agricola Comune, che comporterà un taglio del 10% degli interventi a favore delle imprese agricole italiane”.

Conclusioni

A conclusione di questo articolo possiamo dire che la nostra agricoltura, già prima in Europa per valore aggiunto, sta beneficiando di trends favorevoli, che ne facilitano lo sviluppo, ma necessita di espansione dimensionale, di uno svecchiamento progressivo degli operatori, di fare sistema intorno al cibo made in Italy e alla sua esportazione, basata sull’elevata qualità a valore aggiunto della nostra produzione. Tutto ciò per evitare che i punti deboli zavorrino la nostra agricoltura nei confronti di altri paesi che hanno più risorse per investire e migliori capacità organizzative, di sistema e nell’ottenere sostegno politico a livello nazionale ed europeo.

A cura di:

Nicola Chiaranda:

– progetti Agribusiness & Food;

– definizione della strategia della vostra impresa;

– decisioni di investimento (anche in startups);

– miglioramento della performance aziendale e ottimizzazione del ritorno sul capitale investito;

– attività di Corporate Finance & Fundraising (Equity & Debt).

 

nicola.chiaranda@hotmail.co.uk

Clicca sull’immagine per accedere direttamente al profilo Linkedin dell’autore