Le economie emergenti trascurate dagli indici mondiali di Barbara Giani

Secondo il Fondo Monetario Internazionale , nonostante la guerra in Ucraina e gli strascichi della pandemia Covid, alla fine di quest’anno l’economia mondiale supererà per la prima volta nella storia i 100 triliardi di dollari (ovvero i 100.000 miliardi di $), il doppio esatto rispetto a 15 anni fa e il quadruplo rispetto a 30 anni fa. Questa cavalcata inarrestabile, in base alle proiezioni di CEBR , condurrà il GDP mondiale ad un ulteriore raddoppio tra una dozzina d’anni, quando gli Stati Uniti avranno ormai perso il proprio primato nella scala internazionale dei paesi con il maggior contributo a favore della Cina, che occuperà il primo posto, ed incalzati dall’India, in quarta posizione. In alcune fanta-proiezioni che si spingono al 2050, uno studio di PWC . sostiene che le prime sei posizioni su sette per contribuzione al GDP mondiale saranno occupate da paesi attualmente definiti ancora emergenti a forte discapito di Europa, UK e Giappone.

Non che queste proiezioni di sorpasso rappresentino una novità, è da almeno un ventennio che se ne parla anche se in termini più vaghi e meno puntuali, ma stupisce (o almeno stupisce me) che l’industria degli indici mondiali sia ancora molto lontana da una corretta rappresentazione dei paesi emergenti in termini di peso economico e di conseguenza, in termini di universo investibile.

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Se osserviamo questa bella immagine tratta dal sito visualcapitalist che fotografa il 2022, attingendo proprio ai dati del FMI, vediamo che la crescita mondiale è sostanzialmente in mano a due colossi – Stati Uniti e Cina- e un nutrito gruppo di gregari: Giappone, Germania, UK, India e Francia.

Ma se ci proiettiamo in avanti di venti o trent’anni, ovvero dell’orizzonte temporale più corretto in termini di pianificazione finanziaria personale e o familiare, il quadro economico internazionale sarà completamente diverso. Stati Uniti ed Europa (intesa qui come Eurozona) sono destinati ad un progressivo declino in termini relativi, a favore per lo più di Cina e India, ma non solo. Accanto a loro vi sarà una vera e propria rivoluzione in tutte le posizioni alte della classifica.

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Secondo lo studio di PWC paesi come il Messico, il Brasile e l’Indonesia avranno un peso economico progressivamente crescente che li porterà a surclassare nei prossimi anni la maggior parte delle attuali economie del G7.

Ma come possiamo noi investitori accorti e lungimiranti intercettare questa tendenza di lungo periodo e farla nostra all’interno di un processo di investimento? Se crediamo che basti acquistare un ETF mondiale che diversifica nelle economie e nella geografia di tutto il mondo ci sbagliamo di grosso!  Questa secolare tendenza infatti non si evince all’interno dei principali indici mondiali che trascurano quasi del tutto la contribuzione dei paesi emergenti, relegata ad oggi ad un peso risibile.

Se osservate attentamente i due grafici a torta sopra riportati, noterete con un semplice colpo d’occhio che poiché la capitalizzazione del mercato azionario americano è infinitamente più grande delle borse di tutti gli altri paesi, succede che l’investitore che compra un Etf mondiale che replica per esempio l’MCSI World o il FTSE Russell All World, alla fine si compra soprattutto gli Stati Uniti! Forse può essere una soluzione interessante per un americano, ma certamente non per un investitore europeo. Pur esistendo anche indici pesati per contributo del PIL (i cosiddetti gdp weigthed), pochi lo sanno e soprattutto nessuno li usa come benchmark! Ipotizzando dunque che in funzione di una pianificazione finanziaria pluriennale un investitore non americano, noi in primis, voglia costruirsi un portafoglio esposto nel modo più diversificato possibile alla crescita mondiale, è vitale che costui ricerchi altri strumenti. Ad esempio ETF di emittenti solidi al minor costo possibile, che replichino non tanto o non solo lo status quo, quanto il suo lento ma incessante divenire, con un progressivo spostamento dell’asse mondiale da ovest a est.

Proprio in relazione a questa ricerca ho avuto l’opportunità di assistere ad una interessantissima presentazione di ETF di una società di investimento focalizzata sulla Cina che propone molteplici soluzioni per riuscire a intercettare direttamente l’economia nel suo complesso o alcuni settori, quale l’Information Technology o l’Healthcare, o tematiche specifiche, quali l’ESG o il Climate Change, attribuendogli il peso che ritiene adeguato a una efficace diversificazione ( e non quel 3,5%-4% complessivo dei vari indici a capitalizzazione).

Poiché il percepito nostro è quello di un asset, l’azionario cinese, particolarmente deludente ormai da anni, riporto una slide proiettata in quella presentazione, in cui si evince chiaramente quanto l’high tech cinese sia da tempo settore trainante dell’economia.

Fonte: KraneShares

In conclusione dunque, nell’ottica di costruirsi un portafoglio strutturale in cui inserire una quota di equity (qualsiasi essa sia e comunque quella che corrisponde al nostro profilo di rischio) che voglia veramente guardare all’azionario nel suo complesso, è necessario uscire dagli attuali indici mondiali visto che vengono composti in base alla capitalizzazione e non diversificano correttamente in base al peso dell’economia del paese, per ricercare singoli mattoncini con i quali comporre il nostro giardinetto.

Poiché il mondo degli ETF è in continua espansione grazie alla replica passiva dei mercati che consente di catturarne tutta la performance negli anni e non una tantum e grazie soprattutto ai loro costi contenuti o molto contenuti, cercheremo di esplorare altre opportunità man mano che si presenteranno.

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