
La transizione energetica, ora più che mai importante per diminuire la dipendenza dal gas russo, aumenterà inevitabilmente la domanda di alcune materie prime. Un ritardo degli investimenti ha già limitato l’offerta, aumentando così i costi non solo di alcuni minerali, ma anche delle infrastrutture e in generale della transizione energetica.
Le ripercussioni potrebbero essere particolarmente acute in Europa, viste le ambizioni climatiche e considerato che, come scritto dalla Corte dei conti europea settimana scorsa, i ritardi nei progetti infrastrutturali sono maggiori nell’UE che in altre regioni.
A questo poi da ricordare come anche progetti europei come quello in Serbia sono stati cancellati per l’opposizione locale. Strano comunque che il progetto, in mano a un colosso australiano, sia stato cancellato a poche ore dalla decisione delle autorità australiane di non accettare Novak Djokovic agli Australian Open. Coincidenze? Quasi sicuramente.
PIANIFICAZIONE
È probabile inoltre che una pianificazione di minerali scorretta contribuisca ad acuire le tensioni geopolitiche. «L’offerta e la domanda globale di combustibili fossili è oggi fonte di preoccupazione geopolitica. In futuro l’attenzione potrebbe spostarsi sulla geopolitica delle materie prime critiche» l’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (IRENA) ha scritto in un rapporto pubblicato a metà novembre.
L’autore del rapporto, Dolf Gielen, spiega che l’aumento della domanda dipende per lo più dalla mobilità elettrica. I nuovi stabilimenti di produzione delle batterie, su cui l’Unione europea si sta coordinando per diminuire la dipendenza delle importazioni dall’Asia, sono in costruzione, ma la struttura e la composizione esatta di molte batterie sono ancora delle incognite.
Alcuni anni fa le previsioni sulla domanda di cobalto erano molto più ottimistiche. Ora, nonostante l’attenzione mediatica, il cobalto sembra essere marginale. Litio e nickel sembrano invece cruciali.
LITIO E NICKEL
Gielen si aspetta che la domanda di litio aumenti di cinque volte nei prossimi dieci anni. «La Cina ha una posizione dominante nella lavorazione, e sta comprando molta nuova capacità. C’è molto litio, ma l’aumento della produzione richiede tempo: la dimensione geopolitica può persistere tra i tre e i cinque anni.»
Data la concorrenza con economie pianificate centralmente, le istituzioni UE sanno di dover dare al settore privato le sicurezze necessarie per investire nella lavorazione del litio, collaborando con tutti gli attori coinvolti, incluso le case automobilistiche. L’UE sta già finanziando diversi progetti.
La produzione di litio è teoricamente meno problematica, perché appunto disponibile in diverse regioni. Il progetto di estrazione più interessante fino a qualche mese fa era appunto in Serbia. A parte disquisizioni geopolitiche, ci sono anche problemi demografici. Vista la densità di popolazione, progetti estrattivi in Europa saranno esposti a manifestazioni e ritardi. Questo nonostante gli standard ambientali più alti rispetto ad altri continenti.
RICICLARE MATERIE PRIME?
Il riutilizzo di queste sostanze critiche non può, almeno nell’immediato, risolvere la situazione. «Il riciclaggio è importante, ma sarà una soluzione per il lato dell’offerta solo tra 20-30 anni» aggiunge Gielen.
Nel caso del nickel, però, l’UE non è solo in ritardo con gli investimenti in lavorazione, ma non sembra disporre neanche di risorse significative. La lavorazione del nickel, ora questione per lo più cinese, aumenterà sempre di più in Indonesia, che dovrebbe anche superare le Filippine come principale produttore. «Ci aspettiamo che la domanda di nickel duplichi nei prossimi dieci anni.» L’UE sta lavorando ad aumentare le informazioni disponibili riguardanti nickel e altre materie prime, ma il ritardo rimane e le risorse sembrano scarseggiare.
Viste queste incertezze, sia regionali che globali, Gielen si aspetta che i mercati di diversi minerali saranno molto volatili, con forti oscillazioni dei prezzi. Nel 2017 i prezzi del litio sono crollati, per poi raddoppiare negli ultimi mesi raggiungendo livelli record.
ESPORTAZIONI E TENSIONI GEOPOLITICHE
Il rischio è che i Paesi UE vengano marginalizzati anche in altri modi. Paesi produttori potrebbero, per esempio, tentare di diminuire le esportazioni, imponendo eventualmente restrizioni.
«Le tensioni geopolitiche, in particolare USA-Cina, potrebbero aumentare la probabilità di queste restrizioni» spiega Beata Javorcik, capo economista della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS).
Le tensioni potrebbero anche emergere nel caso l’UE introduca il Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM), lo strumento che diversi Paesi UE vogliono per proteggere le aziende europee dalla concorrenza con società non EU, non esposte a obblighi simili in campo energetico e ambientale. Paesi produttori di materie prime potrebbero infatti vendicarsi.
Questo è un ulteriore motivo per creare le sicurezze necessarie per gli investimenti privati nelle cosiddette “terre rare” e in altre materie prime critiche. Questi investimenti avranno poi delle ripercussioni positive in diversi settori, soprattutto nei luoghi con molta capacità rinnovabile. «La lavorazione di materie prime critiche, processo ad alta intensità energetica, potrebbe essere effettuata in prossimità delle fonti rinnovabili, per ridurre l’esposizione a prezzi del carbonio più alti» commenta Javorcik. I prezzi del carbonio europei continuano intanto a salire.
QUINDI?
Le materie prime critiche sono appunto critiche. Necessario investire per evitare di rimanere/essere sempre più dipendenti da paesi terzi in campo energetico. Le materie prime sono necessarie per pannelli e pale eoliche. Senza di questi non è possibile riprendere a produrre componenti per la transizione energetica. Almeno su grande scala.
In generale le materie prime critiche suonano l’allarme: l’Europa e l’Italia, e con loro le società europee, devono pianificare investimenti in settori strategici, pena un’ulteriore marginalizzazione. Che, a sua volta, avrebbe conseguenze politiche, economiche e sociali.
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