L’importanza dei FAAMG nei portafogli

Ho letto ieri un articolo molto istruttivo e semplice circa il ruolo avuto in questa fase da un numero limitato di aziende nel determinare importanti differenze di performance dei vari indici geografici o settoriali.

E’ decisivo avere ben chiaro questo concetto nell’allocazione dei propri risparmi a maggior ragione qualora si dovesse assistere ad una seconda ondata pandemica.

L’articolo è tratto dal Blog di Darta Saving, compagnia irlandese del gruppo Allianz.

Dopo il pezzo alcune veloci considerazioni che ci aiuteranno a comprendere che l’importanza a cui si fa riferimento non determina solo l’andamento degli indici ma anche la performance dei singoli portafogli.

L’importanza dei FAAMG negli indici

Dopo l’ampio calo dei mercati iniziato a primavera e ascrivibile all’incertezza economica conseguente alla diffusione di Covid 19, e alle misure di lockdown intraprese via via nei diversi paesi, il risparmiatore continua ad avere difficoltà nel capire come stiano andando effettivamente le cose nel 2020 sui mercati finanziari.

Da un lato infatti vi è una percezione generale che i mercati azionari siano in fin dei conti andati abbastanza bene, o che comunque abbiano ampiamente recuperato le precedenti perdite, viste le informazioni e notizie che provengono da stampa e televisione.

Dall’altro però il riscontro di questa sensazione con le proprie scelte d’investimento in molti casi non ha prodotto i risultati sperati, o comunque in linea con questa tipologia di notizie.

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Osservando infatti l’andamento dei maggiori indici europei possiamo apprezzare andamenti molto contrastanti, evidenziati nel grafico sopra riportato. Si passa infatti da un meno 5,89 % del DAX tedesco, a un meno 30,59 % dell’IBEX spagnolo, passando attraverso il meno 20,88 % del CAC francese, al meno 20,45 % del nostro Ftse Mib e al meno 14,51 % del paniere europeo Stoxx Europe 600. (Dati in base alle chiusure del 25 settembre. Grafici realizzati grazie a FIDA Workstation)
Come possiamo notare dunque in Europa, all’interno di un quadro complessivamente negativo, le performance nazionali sono molto diverse le une dalle altre.
Passando ai listini americani e successivamente a mondiali le cose sembrano invece aver realizzato un cammino completamente differente.

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Guardando infatti all’indice mondiale MSCI World siamo in perfetta parità o quasi, con un meno 0,87 % da inizio anno, mentre i principali indici americani spaziano notevolmente tra loro: il più noto Dow Jones Index, che annovera tra le sue componenti aziende legate a settori più tradizionali dell’economia, realizza da inizio anno un meno 6,03%, lo S&P 500, che invece si compone sia di settori tradizionali sia innovativi, mette a segno un più 2,58%, mentre il Nasdaq 100, tipico indice tecnologico e legato ai settori del futuro,  segna addirittura un più 31,68 %.

A titolo di curiosità citiamo anche la Cina con uno dei suoi tanti indici, lo shanghai Composite, che realizza per ora un più 7,29 % da inizio anno; un dato interessante vista la genesi della pandemia che proprio in Cina ha avuto la sua comparsa e per prima sembrerebbe essere stata efficacemente contrastata.

Gli elementi di riflessione che traiamo da questi dati sono molteplici. Il primo, e forse più importante, è che i numeri ci dicono che oggi non sia indifferente scegliere per i propri investimenti una determinata area geografica, ma soprattutto mettere in atto un’approfondita analisi settoriale.

Diventa quindi sempre più importante essere affiancati da figure professionali esperte in tutta la declinazione delle proprie scelte d’investimento. Fin da subito risulta quindi determinante la figura del nostro consulente, che ci supporta nell’ identificare quale prodotto possa rappresentare al meglio il nostro profilo di rischio e ci consenta di raggiungere al meglio i nostri obiettivi di vita. Successivamente è fondamentale affidarci ai migliori esperti nell’ambito del risparmio gestito confidando nel fatto che possano tradurre queste diversità di comportamento in opportunità.

La seconda riflessione che possiamo fare è invece relativa ai luoghi comuni. Nei trimestri scorsi molti osservatori e commentatori avevano sottolineato le difficoltà economiche del gigante cinese, nonché la potenziale pericolosità degli investimenti più rischiosi (azionario high tech in primis), ovvero quelli a maggior volatilità. A posteriori la realtà dei fatti ci mostra invece che se nelle difficoltà tutti hanno problemi, non è affatto vero che in un secondo momento poi tutti abbiamo la stessa capacità di reazione, anzi. Covid 19 sta probabilmente portando alla luce una piccola rivoluzione industriale in cui nazioni, settori e aziende sono seriamente e velocemente chiamati a recepire i radicali mutamenti in atto e le istanze dell’economia reale. Diventa quindi fondamentale, nell’ambito del proprio profilo di rischio, essere rapidi lettori di questo nuovo modello di consumo e di stili di vita.

C’è inoltre un terzo elemento di riflessione, affascinante e pericoloso nello stesso tempo, legato a come sono costruiti i vari indici di borsa.

Il Dow Jones viene infatti calcolato equipesando un numero fisso di aziende ed ogni azienda al suo interno ha dunque un peso fisso. Nel Dow Jones 30 dunque, ogni azienda pesa un trentesimo dell’indice, nel Dow Jones 65, che utilizzeremo per la nostra comparazione grafica qui sotto, ogni azienda pesa un sessantacinquesimo dell’indice.

Molto diversamente sono invece costruiti sia lo SP500 sia il Nasdaq100, nei quali ogni azienda ha un peso pari alla sua capitalizzazione (prezzo per numero delle azioni in circolazione).

Partendo proprio dallo SP500, se ogni azienda fosse equipesata dovrebbe pesare lo 0,20 %, mentre l’effetto di un peso legato all’incremento o al decremento del prezzo porta evidentemente a raggiungere un peso sempre più significativo alle aziende che vivono lunghe fasi di apprezzamento dei propri corsi, mentre viceversa diminuisce via via il peso delle aziende che invece subiscono lunghi periodi di calo.

Prendendo spunto dal portafoglio di un ETF che ha l’obiettivo di replicare l’ SP 500, e grazie ai dati forniti da Mornigstar scopriamo che ad oggi l’indice mostra queste componenti:

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L’azienda che capitalizza di più, ovvero Apple, pesa da sola ben il 6,45 % dell’intero indice invece dello 0,20% che avrebbe se fosse equipesata. Ciò significa che il titolo ha 32 volte il peso che avrebbe se lo SP500 fosse calcolato come il Dow Jones.

Questa riflessione può ovviamente essere estesa alle altre aziende. Le prime 10 aziende dell’SP500 in totale dunque, invece del 2 %, pesano addirittura il 27,73 %, oltre un quarto del totale.

Il termine FAAMG, acronimo coniato da Goldman Sachs per individuare le 5 azioni tecnologiche con le migliori prestazioni sul mercato: Facebook, Amazon, Apple, Microsoft e Google (il cui vero nome in realtà è Alphabet) è ormai conosciuto da tutti. Come possiamo notare oggi queste sono le 5 aziende di maggior peso del SP500, con peso totale superiore al 22 %. Oltre un quinto della performance di un indice composto da 500 aziende (per la precisione oggi sono 505) dipende pertanto dall’andamento in realtà di sole 5 aziende!!

Passando al Nasdaq 100, osserviamo cosa ci dice Morningstar:

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L’azienda che capitalizza di più (ancora una volta Apple) pesa ben 13,29 % sull’indice invece che l‘1%, cioè 13 volte il peso che avrebbe se l’indice fosse calcolato in modo equipesato come il Dow Jones.

Questa riflessione può ovviamente essere estesa alle altre aziende. Le prime 10 invece che pesare il 10 % sull’indice, pesano il 56,06 %.

I titoli FAAMG all’interno del Nasdaq 100 sono anch’esse le prime 5 aziende per peso, e raggiungono qui un totale del 45.93 %.

Nel Nasdaq100 dunque, quasi metà della performance di un indice composto da 100 aziende dipende dall’andamento delle stesse 5 aziende!!

Senza dilungarci oltre su queste evidenze, dovrebbe risultare ormai molto chiaro il motivo per cui questi processi siano affascinati ma anche decisamente rischiosi, proprio per l’elevata concentrazione su singoli settori e singoli nomi.

Se da un lato quindi il piacere di aver fatto delle scelte azzeccate, ci può far venire l’acquolina in bocca ritenendo che questo sarà un processo ineluttabile e continuativo, magari affiancato da nuove aziende e settori vincenti quali Tesla e l’elettro-mobilità, dall’altro al risparmiatore più saggio può anche venire qualche brivido lungo la schiena, in relazione alla sempre maggiore concentrazione che ha contraddistinto questa lunga fase rialzista dei listini azionari.

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A posteriori tutte le decisioni di investimento sembrano semplici, ma è a priori che questa vanno prese, verificate, portate avanti o modificate. In un modo in rapida evoluzione la mole di informazioni da tenere sotto controllo è semplicemente eccessiva per chi non è del mestiere. Solo case di investimento esperte e quotidianamente impegnate sul campo possono esaminare questo flusso continuo di dati e notizie, distinguendo le variabili chiavi che determineranno le prossime evoluzioni, dal semplice rumore di fondo.

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Il concetto espresso nell’articolo viene anche ribadito da Lorenzo Ippoliti analista indipendente, che fissa due aspetti importanti: da un lato la dispersione settoriale della performance e dall’altro il comportamento dei mercati alla luce della pandemia e delle prospettiva di crescita o meno dei singoli paesi o dei singoli settori.

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Con la crisi in atto è aumentata la dispersione dei rendimenti dei settori azionari.

Se alcune asset class, come i titoli di stato, sono entrati in una sorta di ibernazione che ne pregiudica ogni valenza tattica e pone probabilmente anche molti interrogativi sulla loro valenza strategica di lungo periodo, la vera diversificazione è invece avvenuta all’interno del mondo azionario in cui la ripresa ha assunto una forma a K.

Colpisce in questo senso la pesante e persistente sottoperformance dell’energia. Viene da chiedersi se si tratti di una situazione contingente o di una modificazione strutturale di lungo periodo a fronte anche di un diverso approccio alle energie alternative da parte di governi e consumatori dopo la crisi, anche qui accelerando un trend già cominciato.

Certo, il settore vedrà rimbalzi anche consistenti quando un vaccino sarà annunciato, ma ricorda secondo me un po’ il caso delle banche i cui titoli sono rimasi a buon mercato per molto tempo non per un temporaneo mispricing ma perché il mercato vi aveva (giustamente) letto in anticipo la crisi strutturale di un modello di business.

 

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Mai come quest’anno la narrativa e la psicologia dei mercati hanno attraversato fasi così definite. Possiamo cogliere molti insegnamenti.

1) In una prima fase la questione virus era sembrata limitata alla Cina.

2) Il mese che va da circa il 20 febbraio al 20 marzo è stato quello del grande panico in cui sembrava che niente sarebbe più stato come prima. Questo periodo si chiude con le misure della FED sul mercato corporate che di fatto segnano il bottom del mercato. Da notare come il minimo si presenti spesso come un evento di breve durata, che tra l’altro arriva quando le notizie sono ancora tutte nere. I top invece sono più un processo.

3) Nella terza fase la narrativa è quella di mercati disallineati rispetto ai fondamentali. Ma il mercato guarda già avanti e sconta il futuro. I dati economici sono una fotografia del passato. Il rialzo si protrae molto più a lungo di quanto sarebbe stato lecito immaginare e questa è un’altra caratteristica dei trend.

4) L’ultimo ribasso comincia su un overshoot, su un’esagerazione del mercato in agosto. Stiamo ancora aspettando di dare un nome ad una nuova fase che la narrativa vuole dominata da virus e caos elezioni che però di fondo vede ancora investitori sottopesati e banche centrali “all in”

 

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Per chiudere poi ricordiamoci che l’assenza di rendimento delle emissioni governative europee spinge gli investitori ad assumente sempre più rischio. Qui una tabella ed un link dove rimanere aggiornati grazie al IlSole24Ore.

Diventa allora indispensabile diversificare come sempre ma anche pesare con attenzione le proprie scelte geografiche o settoriali.

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