La Malaysia è uno stato federale del Sud-est asiatico, composto da due regioni: la Malaysia occidentale e quella orientale.
La sua popolazione è di 31.809.660 individui, all’interno dei quali convivono diverse etnie e culture: i malesi (50,1%), i malesi cinesi (22,6%), i bumiputra non malesi e altri gruppi indigeni (11,8%) e i malesi indiani (6,7%). È una monarchia costituzionale elettiva e contempla una struttura federale bicamerale, composta dal senato e dalla camera dei rappresentanti. Il sovrano supremo nomina il primo ministro e, su consiglio di quest’ultimo, gli altri componenti del governo.
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Quarta nel Sud-est asiatico
La nazione occupa il 36° posto nella classifica mondiale in termini di Pil nominale, la cui composizione settoriale è così suddivisa: l’agricoltura pesa il 9,61%, l’industria il 37,73% e i servizi il 51,55%. La Malaysia rappresenta la quarta economia del Sud-est asiatico, è il secondo produttore di petrolio della regione, il terzo maggiore estrattore di gas naturale liquefatto al mondo ed è strategicamente posizionata tra le più importanti rotte per il commercio di energia. Dalla sua indipendenza, nel 1957, il paese è riuscito a diversificare la propria economia diminuendo la dipendenza dal settore agricolo ed estrattivo a favore di quelli manifatturiero e dei servizi: se inizialmente il paese era essenzialmente esportatore di idrocarburi e materie prime, oggi servizi e industria manifatturiera (elettronica, apparecchi elettrici, aerospazio, automotive, tessile, chimica, ecc.) sono divenuti l’asse portante dell’economia
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Secondo la World Bank, la Malaysia è una delle economie più aperte al mondo, con un rapporto tra commercio e Pil in media superiore al 130% dal 2010. Questa caratterizzazione e gli investimenti sono stati i due fattori che hanno creato occupazione e determinato la crescita del reddito nel paese: circa il 40% dei posti di lavoro è legato alle attività di esportazione. Dopo la crisi finanziaria asiatica del 1997-1998, l’economia malese ha imboccato una traiettoria ascendente, con una crescita media del 5,4% dal 2010, e si prevede che raggiungerà la transizione da un’economia a reddito medio-alto a una a reddito elevato entro il 2024. La pandemia ha avuto un forte impatto economico sul paese, soprattutto sulle fasce più deboli e, attualmente, il 5,6% delle famiglie vive in condizioni di estrema povertà. La disuguaglianza di reddito rimane elevata rispetto ad altri paesi dell’Asia orientale, ma sta gradualmente diminuendo. In base all’Indice del capitale umano della Banca Mondiale, la Malaysia si colloca al 55° posto su 157 paesi. Affinché possa realizzare il suo potenziale umano e realizzare l’aspirazione di raggiungere lo status di paese ad alto reddito e sviluppato, la World Bank ritiene che dovranno essere realizzati ulteriori progressi nei settori dell’istruzione, della salute e della nutrizione e della protezione sociale.
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Pil rivisto al rialzo
Per quanto riguarda la situazione economica, il Fondo Monetario Internazionale (Fmi), nell’outlook di ottobre, ha alzato le previsioni di crescita del Pil per il 2022 al 5,4% dal 5,1%, dopo averle riviste al ribasso pochi mesi prima. La proiezione è inferiore alle stime ufficiali del governo del 6,5-7,0%. L’Istituto ha inoltre previsto che la Malaysia crescerà del 4,4% l’anno prossimo, un dato inferiore a quanto atteso inizialmente (4,7%). Comunque nel terzo trimestre l’economia è cresciuta del 14,2% anno su anno. Sulla situazione generale del paese, dall’executive board del Fmi, a conclusione della consultazione Article IV dello scorso aprile, emerge che la ripresa economica si sta rafforzando, ma rimane disomogenea. La diffusione della variante delta del Covid-19 a metà del 2021 ha richiesto severe misure a livello nazionale, che hanno limitato la crescita del Pil reale a circa il 3%, mentre l’inflazione è stata contenuta a circa il 2,5%. Il settore manifatturiero orientato all’esportazione, che è rimasto operativo durante le chiusure, ha sostenuto la crescita, mentre quello agricolo ha lottato con la prolungata carenza di manodopera a causa del minore flusso di lavoratori migranti. I comparti ad alta intensità di contatto, compreso il turismo, sono stati duramente colpiti. Sempre secondo l’organismo internazionale, l’economia è stata sostenuta da una risposta politica alla pandemia rapida, sostanziale e su più fronti. La spesa totale per il bilancio legata al Covid è stata di 39 miliardi di ringgit (circa il 2,5% del Pil) nel 2021, più del doppio dei 17 miliardi inizialmente preventivati e superiore ai 38 miliardi di spesi nel 2020. Di conseguenza, il deficit del governo federale ha raggiunto circa il 6,5% del Pil nel 2021, un punto percentuale superiore alle previsioni iniziali. Il debito pubblico federale è stimato al 63%. Prima dello scoppio della pandemia, l’economia molto aperta e diversificata della Malaysia aveva registrato una crescita sostenuta, grazie alla solidità delle politiche intraprese. Con la popolazione ormai ampiamente vaccinata, le autorità hanno fatto progressi nella riapertura oculata dell’economia, cercando di evitare i lockdown che avevano frenato la ripresa lo scorso anno. Ciononostante, l’Fmi rileva anche che l’output gap è rimasto considerevole, con significativi rischi al ribasso. Le raccomandazioni per le autorità sono di calibrare le politiche macroeconomiche in base al ritmo della ripresa, preservando il margine di manovra a causa delle incertezze legate alla pandemia, e contemporaneamente accelerare le riforme strutturali.
Un paese “partly free”
In questo contesto, il 19 novembre si terranno le elezioni generali anticipate. La Malaysia si presenta quindi come un sistema politicamente ibrido, dove convivono istituzioni democratiche e pratiche autoritarie. Freedomhouse, organizzazione non governativa che conduce attività di ricerca e sensibilizzazione su democrazia, libertà politiche e diritti umani), considera la Malaysia un paese “partly free”, sottolineando che la stessa coalizione politica che ha governato dall’indipendenza nel 1957 fino al 2018 ha mantenuto il potere «manipolando i distretti elettorali, facendo appello al nazionalismo etnico e reprimendo le critiche attraverso leggi restrittive sulla parola e procedimenti politicizzati contro i leader dell’opposizione».
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La vittoria nel 2018 di una coalizione di opposizione (Pakatan Harapan) ha alimentato le speranze di riforme, ma il nuovo governo non è riuscito a cambiare un sistema politico clientelare e con una forte presenza di fenomeni di corruzione: è durato solo 21 mesi. Quindi, se la situazione economica non desta particolari preoccupazioni, quella politica è particolarmente confusa e instabile, con il susseguirsi di tre premier dal 2018, anno in cui vi fu lo storico crollo del governo di coalizione Barisan Nasional, di centro-destra, guidato dall’United Malays National Organisation (Umno).
Sessanta anni al potere
Questo partito ha segnato la storia del paese negli ultimi 60 anni. Fondato nel 1946, è stato il protagonista tra le diverse forze politiche che hanno portato nel 1957 all’indipendenza dalla colonizzazione britannica. La nascita della moderna Malaysia non è però stata priva di difficoltà. I primi anni dalla dichiarazione di indipendenza furono funestati da un’insurrezione comunista, dal confronto con l’Indonesia con la Malaysia, dalle rivendicazioni filippine sul Sabah e dall’espulsione di Singapore nel 1965. A questa fase molto delicata, fece seguito un periodo di stabilità politica con Mahathir Mohamad, esponente dell’Umno, che nel 1981 divenne capo dell’esecutivo. Egli fu primo ministro per 22 anni, dal 1981 al 2003, e a lui si deve il rapido sviluppo economico e la trasformazione della Malaysia a partire dagli anni ‘80. Durante il governo di Mahathir, la Malaysia si è trasformata in una delle tigri economiche asiatiche degli anni ‘90, con grandi ambizioni. Le sue politiche autoritarie, ma pragmatiche, gli valsero il sostegno popolare in patria, nonostante non sia stato un paladino dei diritti umani. La scalata al potere del primo ministro avvenne a spese dell’indipendenza giudiziaria. Negli anni ‘90 introdusse la politica della Bangsa Malaysia, con la finalità di creare un’identità nazionale inclusiva per tutti gli abitanti del paese. Usò la controversa legge sulla sicurezza interna per imprigionare attivisti, figure religiose non tradizionali e oppositori politici. Il fatto che Mahathir limitò le libertà civili e assunse un atteggiamento antagonista verso gli interessi dei paesi occidentali rese difficili le sue relazioni con questi ultimi. Detto ciò, fu durante il suo lungo mandato che la Malaysia riuscì a diversificare la propria economia dalla dipendenza dalle esportazioni di materie prime allo sviluppo dell’industria manifatturiera, dei servizi e del turismo. Nel 2018, dopo 15 anni dalla fine del suo ultimo esecutivo, l’uomo dal “pugno di ferro”, così come era a volte definito, decise di ritornare nell’agone politico, ma, questa volta, a capo di una coalizione antagonista al maggior partito di governo, l’Umno, cui Mahathir stesso era appartenuto e aveva contribuito a rafforzare negli anni. Il risultato ottenuto fu davvero sorprendete: l’Alleanza della speranza, con a capo Mahathir, vinse le elezioni e l’ultra ottuagenario uomo politico divenne, ancora una volta, primo ministro. Il nuovo esecutivo si esaurì però nell’arco di un paio d’anni a causa dell’ennesima crisi politica nel 2020 e, da allora, due nuovi primi ministri si sono succeduti, in un contesto generalizzato di instabilità, scambi di casacche da parte degli esponenti politici e tentativi di cercare accordi pur di mantenere in vita un esecutivo precario.
Elezioni anticipate
Lo scenario in cui si terrà il confronto elettorale lascia quindi spazio a diverse interpretazioni sul possibile esito finale. Quando il primo ministro uscente, Ismail Sabri ha sciolto il Parlamento, subito dopo avere presentato il budget per il 2023, si è augurato che il confronto elettorale ponga fine alla precarietà degli ultimi anni. Un’opinione, però, non largamente condivisa tra i diversi commentatori, che temono che dalle urne non esca una nuova leadership solida e capace di affrontare le necessità del paese. Due anni di pandemia, il generalizzato aumento dei prezzi e dei tassi di interesse sono fattori di preoccupazione per la popolazione, cui si somma un certo fastidio per una classe politica litigiosa e alla ricerca di potere e successi personali. Nel frattempo, la Bank Negara Malaysia ha aumentato, lo scorso settembre, il tasso di riferimento overnight di 25 punti base, portandolo al 2,5%: si tratta del terzo rialzo da maggio, quando è iniziata la normalizzazione della politica monetaria. Sebbene l’inflazione complessiva sia relativamente contenuta rispetto agli altri paesi della regione, i prezzi dei generi alimentari hanno subito un’impennata
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Ma dove sfocerà il malcontento dei cittadini? Il sistema politico malese è frammentato, nonostante negli anni abbia visto quasi ininterrottamente il governo del paese nelle mani dell’Umno. Si tratta di un quadro molto complesso e, come sostiene Sophie Lamière, studiosa di antropologia politica e ricercatrice presso The History Workshop all’Università di Witwatersrand-Johannesburg , il successo della reinvenzione di Mahathir da autocrate a democratico nella campagna del 2018 suggerisce che gli elettori malesi in generale rimangono conservatori ed è improbabile che chiedano una nuova generazione di leader, nonostante le controversie del passato. Mentre altrove nel Sud-Est asiatico sono emersi capi politici democratici più giovani, non è così in Malaysia, dove i cittadini sembrano più disposti a fidarsi dei leader più anziani e delle figure paterne. I movimenti per la libertà di Hong Kong e della Thailandia hanno avuto un impatto limitato in Malaysia. Ciò può essere in parte spiegato dall’assenza di un movimento giovanile coordinato e apartitico. L’elemento più curioso è che alle elezioni di novembre, quando parteciperanno circa 6 milioni di giovani elettori, a seguito della riduzione dell’età di voto a 18 anni, Mahathir sarà ancora in corsa e pronto a candidarsi per un terzo mandato come primo ministro, nel caso non ci fossero figure politicamente adeguate per ricoprire la posizione.
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