Noir di Luca Steffenoni

Con oggi parte una nuova sezione dedicata al crime condotta dall’amico Luca Steffenoni a cui passo subito la penna.

 

Vorrei inaugurare i nostri appuntamenti con Mork e Mindy con un quesito forte, che può scontentare benpensanti e moralisti di ogni risma. Può la cronaca nera essere letteratura? Già che ci siamo, domandiamoci anche se possa essere una piacevole lettura, capace di uscire dai binari della morbosità, illuminando l’altra faccia della luna del comportamento umano. Per esagerare potremmo perfino domandarci se fatti reali, non romanzati, che abbiano a che fare con il delitto, possano essere belle storie. Sì avete capito bene, belle storie.

Il primo quesito si risolve con una certa facilità pensando a dei veri maestri del passato come Luigi Barzini, Dino Buzzati, Oriana Fallaci, Camilla Cederna, scrittori e giornalisti che hanno saputo raccontare fatti di sangue con una delicatezza e una capacità che trova pochissimi riscontri ai giorni nostri.

 

Meglio sarebbe dire che non ne trova nessuno. La cronaca nera è morta e sepolta da tempo e letteratura non è che se la passi molto meglio. Per sapere chi l’ha uccisa bisognerebbe indagare a fondo e internet non è lo spazio adatto per fare simili approfondimenti. Non a caso sull’argomento anni fa scrissi un libro Nera. Come la cronaca cambia il delitto, che sosteneva, appunto, come in linea teorica si potesse fare letteratura anche muovendosi tra assassini, calibro 38, coltelli e veleni senza bisogno di inventarsi trame alla Agatha Christie.

 

Ma veniamo alla faccenda delle belle storie. Il politicamente corretto storce il naso di fronte all’ipotesi che quando un poveretto/a si ritrova infilato in una cella frigorifera dell’istituto di anatomia patologica cittadino, più conosciuto con il nome di obitorio, si possa serenamente affermare che siamo potenzialmente di fronte a una bella storia. Eppure io sono convinto del contrario.

 

Ci sono eventi di cronaca nera che hanno i crismi della bella storia. Sono quelli che restituiscono il sapore di un’epoca. In questo senso sono un criminologo passatista e un po’ conservatore. Amo i casi sedimentati nel tempo, invecchiati come un buon vino. Storie che hanno perso l’odore acre del sangue, su cui si è depositato un velo di polvere.

 

Basta soffiarci un po’ sopra e compaiono racconti come quello che vi propongo. Il delitto del bitter, tratto dal mio Food & Crime (Runa ed.) un delitto che conserva le atmosfere di un’Italia che non c’è più, dei bar di paese con il flipper e i tavoli in formica e nell’aria l’aroma di Chinotto e Biancosarti mescolato col fumo delle Nazionali senza filtro.

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