Ciao Gianluca, ti riassumo, per quanto possibile, la situazione del mio amico. Marco ha rilevato l’attività del padre, una fabbrica di trasformatori elettrici. Ovviamente questa tipologia di prodotti ha più commercio nei paesi poveri, del terzo mondo o al massimo in via di sviluppo.
Ha già viaggiato altre volte in Sudan, come in Congo, nello Yemen ed in molte aree turbolente, senza mai avere problemi. Marco viene da una famiglia seria e con dei principi fondamentali: onestà, generosità, famiglia. Ha tre figli piccoli: 12, 10, 4 anni.
Ad inizio anno ci diceva di continuo che aveva un problema nel Sudan e che doveva andarci. Tra il covid e la situazione in quel luogo noi lo sconsigliavamo! Alla fine l’etica ha avuto il sopravvento e pur di non perdere l’onore ha preso e si è recato in Sudan dove una sua partita veniva contestata.
In realtà era una trappola, la perizia sulla merce, nel frattempo già rivenduta, era stata affidata ad un suo concorrente, anziché ad una controparte imparziale.
Marco ha trascorso le prime due settimane in albergo, piantonato da militari come i delinquenti poi ha deciso di pagare, tanto era quello lo scopo, per venire a casa.
Il tribunale lo ha scagionato e lui era già in territorio internazionale, quasi salito sull’aereo all’aeroporto internazionale di Khartoum. Una camionetta dell’esercito è arrivata e se l’è portato via, ignorando la presenza dell’ambasciatore italiano.
Da lì Marco ha passato un inferno, in un commissariato, con 45 gradi, nei corridoi al posto del soffitto c’erano delle grate che lasciavano passare il sole, una struttura in cemento armato, poca areazione, igiene scarsa, nessuna branda o materassino, celle super affollate…
Grazie a dio ha incontrato “un angelo custode”, un professore universitario di origini irachene, imprenditore residente in Australia, proprietario di diverse università aperte in paesi arabi, finito anche lui in carcere per motivi analoghi.
Questo professore fortunatamente ha preso Marco sotto la sua ala protettrice, dandogli da mangiare ciò che le mogli gli portavano ogni giorno. Dopo quasi due mesi arriva in Sudan la spedizione diplomatica italiana. Il dirigente della Farnesina va a trovare Marco e lo rassicura dicendogli che non sarebbe stato abbandonato.
L’accordo finale tra il Sudan e il dirigente della Farnesina prevedeva che Marco avrebbe trascorso il tempo restante anziché in commissariato in quelle condizioni, in albergo come all’inizio della vicenda, a metà di marzo.
Sembrava a quel punto che l’accordo si fosse formalizzato. Il dirigente della Farnesina è tornato in aeroporto e ha preso l’aereo.
Appena salito sull’aereo il dirigente italiano, Marco è stato ributtato in commissariato per poi essere trasferito “all’inferno” per 9 ore, nelle stanze sotto al tribunale. Poi è stato trasferito in un carcere, non in un commissariato, nella sezione dei reati penali finanziari.
In queste ore la Farnesina e la famiglia sembrerebbe stiano lavorando per trovare una soluzione