L’economia di Taiwan è cresciuta dell’8,6% nel primo trimestre 2021, rispetto a quello dell’anno precedente, e del 5,09% sul quarto trimestre 2020. Il dato, preliminare, è stato ben al di sopra delle stime di mercato. Il governo ha attribuito l’ottimo risultato alla crescente domanda di elettronica, guidata da nuove tecnologie, come il 5G, e dal lavoro da remoto a causa della pandemia. L’economia ha beneficiato dell’aumento della domanda globale di smartphone, tablet e pc e della carenza globale generalizzata di chip che ha toccato diversi comparti, dalle auto all’elettronica di consumo, e ciò ha rafforzato la domanda di semiconduttori made in Taiwan, dove i produttori sono impegnati a espandere la capacità.
L’esecutivo ha dichiarato che il Paese ha attratto investimenti per circa 42,5 miliardi di dollari Usa dal 2018 e il contenimento del virus ha indubbiamente aiutato le aziende locali a mantenere le loro attività aperte, mentre in gran parte del mondo venivano dichiarati i lockdown. In questo contesto si è assistito a una crescita dei salari con effetti positivi sui consumi e sul mercato immobiliare, con sensibili aumenti dei prezzi nelle località dove hanno sede le grandi industrie hi-tech. Le stime del Pil per il 2021 da parte del Fmi sono per un incremento del 4,7%, dopo il +2,98% del 2020, uno dei pochi risultati positivi nell’anno dello scoppio della pandemia.
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I consistenti risultati di Taiwan non riguardano solo l’attività economica. Il Paese ha gestito la diffusione del Covid-19 molto meglio della maggior parte delle altre nazioni con un esiguo numero di vittime e una contenuta diffusione. La quotidianità, salvo per periodi limitati, non ha conosciuto stringenti limitazioni: la vita ha avuto ritmi normali con scuole, uffici e tante altre attività aperte, anche se con le dovute precauzioni. Taiwan ha mostrato di essere dotata di valide strutture sanitarie, grazie anche al livello di digitalizzazione dei processi da queste adottati, e di avere fatto tesoro di quanto appreso durante la pandemia di Sars del 2003.
Nuvole all’orizzonte
Ciononostante, ci sono alcune nuvole all’orizzonte che riguardano sia la situazione economica sia quella geopolitica, e in entrambi i casi un ruolo rilevante è ricoperto dalla Cina. I maggiori partner commerciali di Taiwan sono, in ordine di peso, la Cina (23,9%), gli Usa (11,8%), il Giappone (10,9%), l’Unione Europea (9,3 %) e Hong Kong (7,1%). Nel 2020 Taiwan ha esportato merci per un valore di 347,2 miliardi di dollari in tutto il mondo, il 73,3% verso i paesi asiatici, il 16,1% verso il Nord America e l’8,2% in Europa.
Come si evince da questi dati, l’esposizione nei confronti della Cina è importante e ciò rende il Paese vulnerabile alle tensioni commerciali di Pechino con gli Stati Uniti. Negli anni Taiwan ha cercato di diminuire il forte legame con la Terra di mezzo, attraverso politiche come la “New southbound policy”, iniziata nel 2016, ma senza risultati che abbiano inciso in modo significativo. Inoltre, come sottolinea Syaru Shirley Lin, visiting professor in World politics al The Miller center of public affairs della University of Virginia, non solo le esportazioni di Taiwan sono geograficamente concentrate, ma lo stesso vale anche per i settori da cui provengono: tecnologia e comunicazione, con una piccola parte delle esportazioni che deriva dal tessile e dall’agricoltura.
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In aggiunta, nella tecnologia c’è un sovradimensionamento dell’industria dei semiconduttori. Syaru Shirley Lin rimarca, infatti, che l’elevata dipendenza, sia della Cina, sia degli Usa dai semiconduttori di Taiwan potrebbe comportare, nel lungo periodo, alcuni rischi per Taipei. Da un lato un rapporto della Commissione per la sicurezza nazionale sull’intelligenza artificiale degli Stati Uniti ha espresso preoccupazione, sottolineando la necessità di cercare di ricollocare in patria la produzione di semiconduttori. Dall’altro la Cina sta investendo molto nel settore per diventare più autosufficiente, non solo da Taiwan, ma anche dall’America, e sembra molto determinata nel raggiungere questo obiettivo, all’interno del modello perseguito della “dual circular economy”.
Shortage di chip
Ironia della sorte, la situazione attuale del mercato dei semiconduttori rende ancora più cruciale il ruolo di Taiwan. Infatti, la carenza globale di chip provocata dalla diffusione del virus, che ha causato da un lato un aumento della domanda di pc, notebook, telefonini e dall’altro la riduzione della capacità degli impianti per rallentamenti dei processi produttivi, non dà segnali di miglioramento. Ci sono aziende che ritengono che la soluzione del problema non solo non sia prossima, ma che sia di natura strutturale e non ciclica, visto l’andamento della domanda di chip. Inoltre, lo shortage sta avendo ricadute importanti su diverse industrie e rischia anche di inasprire i rapporti tra produttori di semiconduttori e clienti, soprattutto nella gestione della catena di approvvigionamento. È quindi possibile che la forza di un paese, ovvero l’industria dei semiconduttori, possa rivelarsi a tendere una debolezza?
Lo scorso primo maggio l’Economist riportava in un articolo su Taiwan la preoccupazione degli Stati Uniti, attraverso le parole dell’ammiraglio Phil Davidson, a capo del comando indo-pacifico, sul fatto che la Cina potrebbe attaccare l’isola già nel 2027. La guerra sarebbe una catastrofe, sia dal punto di vista delle perdite di vite umane, sia da quello economico, visto che Taiwan è una sede importante dell’industria dei semiconduttori, con a capo Tsmc, “la più grande e migliore fonderia di semiconduttori al mondo”, come viene riportato dal sito dell’azienda. Fondata nel 1987, il modello di business di Tsmc è concentrarsi sulla produzione di prodotti per diversi clienti, scegliendo di non progettarne, realizzarne o commercializzarne alcuno con il proprio nome. È la più grande foundry di semiconduttori al mondo, con una base di acquirenti ampia e diversificata e con prodotti che coprono una vasta gamma di applicazioni nei segmenti computer, comunicazioni, consumi, industriale utilizzati in una varietà di mercati finali tra cui dispositivi mobili, elaborazione ad alte prestazioni, elettronica automobilistica e l’Internet delle cose. Oggi, il colosso di Taiwan si trova stretto in una tenaglia tra le dinamiche di mercato e le pressioni che riceve direttamente e indirettamente, in particolare dalla Cina e dagli Usa
L’incombenza della Cina
Se è condivisibile la lettura che Taiwan sia un’arena per la rivalità tra Cina e America, così come rimarcato dal settimanale, più complesso è immaginare quali eventi potranno andare in scena nei prossimi anni. Brendan Taylor, professore di studi strategici presso Strategic and defence studies centre, Coral Bell School of Asia Pacific affairs alla Australian National University, autore di un nuovo libro sulla sicurezza di Taiwan, pensa che ci sia un rischio crescente di un conflitto di cui ci si dovrebbe preoccupare.
Taylor ritiene che il peggioramento della situazione sia ascrivibile al cambiamento degli equilibri militari tra Taiwan e la Cina e tra quest’ultima e gli Stati Uniti e afferma che, nei decenni passati, dal ritiro delle forze nazionaliste guidate da Chiang Kai-shek, l’America ha sempre fatto intendere alla Cina che avrebbe potuto usare la sua schiacciante forza militare a favore di Taiwan. Contestualmente, Washington ha cercato di dissuadere Taipei dal dichiarare formalmente l’indipendenza, indicando che il suo sostegno avrebbe potuto non essere disponibile nel caso in cui avesse provocato Pechino in modo indebito. A essere cambiati dalla metà degli anni ’90 sono i significativi progressi fatti dall’esercito cinese, che stanno mutando gli equilibri nella regione. Il divario tra Cina e Stati Uniti si sta riducendo e, sempre secondo Taylor, sulla base delle tendenze attuali, gli Stati Uniti probabilmente perderanno la capacità di difendere Taiwan entro il decennio: «La capacità di Washington di svolgere il suo tradizionale ruolo stabilizzatore si indebolisce, mentre aumenta quella di Pechino di risolvere con la forza questa controversia di lunga data e la minaccia per l’esistenza stessa di Taiwan incombe. In questo contesto, molto probabilmente aumenterà il rischio di errori di calcolo strategici o di un atto destabilizzante di un incidente militare».
Di recente, sul tema, sono emerse ulteriori preoccupazioni di alcuni funzionari della difesa americana generate da un commento del Partito comunista cinese che ha fatto pensare a un’accelerazione del processo di modernizzazione delle forze armate dal previsto obiettivo per il 2035 al 2027. Il dibattito è aperto, ma c’è chi sostiene che, nella sostanza, il piano di lungo periodo per l’esercito di liberazione cinese, (People Liberation Army-Pla) non sia mutato e l’obiettivo temporale del 2035 rimanga ancora tale, così come quello del 2049, anno in cui l’apparato militare dovrebbe diventare una forza armata di livello mondiale.
Tensioni nello stretto
Le tensioni nello stretto di Taiwan continuano, con un recente aumento delle operazioni militari del Pla nell’area: incursioni in zone di identificazione di difesa aerea di Taiwan e un cacciatorpediniere americano che con “un transito di routine nello Stretto di Taiwan” nel rispetto delle leggi internazionali a difesa di “un Indo-Pacifico libero e aperto”, ha provocato le ire della Cina. Si tratta di situazioni che si sono ripetute negli anni e che, ogni qual volta si ripresentano, fanno sicuramente riflettere su quale sarà il destino di Taiwan. Ma quali sono gli obiettivi di Pechino? Nel sogno cinese di Xi Jinping si parla di rendere la Cina più ricca e più forte, all’interno di un progetto che vede la riunificazione della madrepatria, all’interno della quale Taiwan diventa un obiettivo strategico. Ciò ha fatto sì che le incursioni della Cina non solo sono aumentate, ma vengono percepite con una sensibilità maggiore da parte dello stesso governo di Taiwan.
Proprio per questa ragione, anche le reazioni di Taipei da un lato e di Washington dall’altro, soprattutto durante la presidenza Trump, non hanno aiutato a distendere le tensioni. E poi c’è la situazione a Hong Kong che non rasserena gli animi. La formula “un paese due sistemi” non è mai stata accettata da Taiwan e, alla luce di quanto sta succedendo nella ex colonia britannica, lo è ancora meno ora. È noto il sostegno dell’isola ai manifestanti di Hong Kong che è stato fatto proprio dalla presidente, Tsai Ing-wen, soprattutto durante i primi mesi delle proteste, tanto da fare supporre che ciò le sia valso il forte recupero di popolarità solo un anno prima del confronto elettorale che l’ha vista vincere insieme al suo partito, il Dpp.
Un paese che invecchia
Rimangono poi alcune considerazioni generali sul modello di sviluppo della nazione. Il Paese è riuscito a sfuggire alla trappola del reddito medio (cioè la situazione in cui un paese in via di sviluppo vede arrestarsi la propria crescita una volta raggiunto un determinato livello di reddito medio), che ha invece toccato altre economie emergenti. Ciononostante, secondo Syaru Shirley Lin, il Paese sta cadendo in un’altra trappola «ad alto reddito, caratterizzata da declino demografico, maggiore disuguaglianza e crescente polarizzazione. Con una minore fertilità e una maggiore longevità, la popolazione dell’isola ha iniziato a diminuire nel 2020 e Taiwan vedrà la sua forza lavoro ridotta della metà, a 8,6 milioni di persone, intorno al 2065 (…) Mentre le generazioni più anziane godono di diritti e sono ricche di risorse, i giovani fanno affidamento sul debito o sul sostegno delle loro famiglie per un periodo di tempo più lungo. Di conseguenza, la disuguaglianza generazionale e rurale-urbana continuerà ad aumentare, proprio come negli Usa e in Europa». Dinamiche quindi già conosciute, che necessitano di una soluzione: la Cina potrebbe essere una risposta, ma, è anche un pericolo e solo l’1% dei taiwanesi sostiene l’unificazione immediata con la terraferma.
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