Nell’immaginario collettivo ci si immagina che esistano soggetti che vivono comprando “basso” e vendendo “alto” alimentando leggende metropolitane sulle meraviglie del trading: la pubblicità che troviamo in rete o su youtube è sempre molto accattivante e funziona bene nell’attirare l’attenzione. Anzi, proprio in fasi come queste aumenta la schiera di sedicenti consulenti che ci illustrano come diventare ricchi attraverso webinar, corsi, incontri, ecc., ecc.
Sul fronte opposto invece è nata una nuova schiera di professionisti tutti concentrati sull’immobilismo e la negazione di ogni forma di narrazione, di filosofia, tranne la loro. Questa dicotomia fa parte di un vecchio dilemma che non troverà mai soluzione e cioè l’incapacità di giungere al “ciò per cui” al “quid” filosofico, alla sostanza delle cose. Non che sia facile, ma nel momento in cui l’unica narrazione buona è la mia dovrei comprendere che sto solo negando l’altro narratore e non certo i contenuti della sua proposta.
Pur essendo così agli antipodi, entrambi gli schieramenti ritengono di aver individuato i metodi più corretti e idonei per affrontare i mercati finanziari. Personalmente preferisco alimentare tutti i miei dubbi, medicarmi le ferite figlie dei tanti errori commessi e provare a riflettere invece su come possiamo prendere spunto un po’ da tutti e di quanto la varietà del pensiero umano, se vissuta pienamente e sinceramente, ci possa essere di aiuto.
Prenderò quindi spunti un po’ da entrambi gli schieramenti.
Partiamo con un giochino.
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Ce lo propone il 9 gennaio su twitter Robin J Powell.
Ci dice di tornare indietro nel tempo, di provare ad immaginare di essere ad inizio 2020. Poi ci chiede di pensarci come l’unico soggetto a conoscenza dell’imminente arrivo della pandemia.
Cosa avremmo fatto? Come avremmo gestito i nostri risparmi? Saremmo riusciti a battere gli indici azionari, soprattutto quelli americani, ancor più quelli tecnologici?
Questa domanda è veramente interessante. Lascio il lettore (e già mi scappa da ridere) alla ricerca della risposta più sincera e tornerò a breve sull’argomento.
Come si vede viene anche citata una frase di un giornalista finanziario americano: Jason Zweig, del Wall Street Journal. Ho deciso allora di andare a visitare il suo blog per conoscerlo meglio. Ho trovato un articolo che ho trovato illuminante: “Statement of principles”.
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Ne caldeggio la lettura perché è una sorta di decalogo del buon senso.
In pratica Jason ci dice che i nostri rendimenti dipendono dal nostro atteggiamento, dal nostro comportamento e non tanto dalla tipologia degli investimenti stessi. Investire rappresenta la nostra lotta per l’autocontrollo. Tentare di battere il mercato può essere divertente ma raramente può essere gratificante: gli unici che guadagnano sistematicamente sono i broker, cioè gli intermediari, che incassando una commissione sia dal venditore che dal compratore del titolo.
Ma il suggerimento più efficace è quello che evidenzia l’importanza del rispetto della propria strategia iniziale, senza essere condizionati da paura o avidità. Il proprio piano deve essere realistico e i mercati azionari non salgono in base alle nostre esigenze. Se si vuole avere più denaro bisogna risparmiare di più.
Nel breve periodo, le lepri si divertono di più; ma a lungo andare sono le tartarughe a vincere la gara.
Interessante a questo proposito ascoltare il breve confronto tra l’ex segretario del lavoro Robert Reich e l’ex boss di Wall Street Asher Edelman, l’incursore aziendale che ha ispirato il personaggio di Gordon Gekko nel film del 1987 “Wall Street”. Un tempo su posizioni opposte a quelle di Reich nel dibattito sull’avidità di Wall Street, Edelman ora si unisce a Reich nel chiedere una regolamentazione finanziaria, e ammette l’errore dei suoi comportamenti. Essenziale però è cogliere la valutazione implicita tra investimento e gioco, tra strategia e tattica.
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Ma torniamo al nostro dilemma e all’esempio iniziale. Nel frattempo infatti tutti dovremmo essere riusciti a rispondere alla domanda su cosa avremmo fatto il primo gennaio 2020 se fossimo stati certi dell’imminente arrivo della pandemia.
Professionalmente posso dire di essere stato buon testimone di vari webinar proposti dalle più grandi case d’investimento presenti in Italia nelle settimane successive al crollo di marzo 2020 dei mercati azionari. Non voglio citare i nomi perché non è importante. Posso però testimoniare che in molti casi si è cambiato il piano d’investimento, facendo prevalere la tattica sulla strategia, perdendo di vista il metodo a favore dell’istinto, convinti di poter sfruttare tatticamente il crollo in corso, convinti di poter ricomprare successivamente i titoli azionari a prezzi più bassi.
Alla fine quando regna la paura diventiamo tutti uguali.
Torniamo infatti al 12 marzo con qualche esempio tratto dal New York Times:
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Paradossalmente anni come il 2020 dovrebbero presentarsi come molto favorevoli ai traders, visto la loro supposta capacità di cogliere i trend velocemente in entrambe le direzioni.
In teoria dovrebbero anche essere anni favorevoli alle strategie difensive, quelle che presuppongono la capacità di intuire i grandi cali, assumere atteggiamenti più prudenti e successivamente avere al capacità di rientrare sui mercati in condizioni più favorevoli.
Il noto sito Portfoglio Charts ha provato a calcolare l’effetto dell’implementazione della tattica (difensiva) rispetto alla tenuta di una strategia statica di lungo termine.
Per poter confrontare i due diversi atteggiamenti, ha in maniera sintetica fatto due premesse importanti: da un lato ha preso in considerazione tutti i maggiori “lazy portfoglio”, dall’altro ha ipotizzato di voler fare tattica “difensiva”.
I lazy portfoglio – letteralmente “pigri” – sono portafogli che puntano tutto sull’asset allocation strategica di lungo termine ovvero su un portafoglio i cui componenti vengono definiti e non mutati mai né nelle presenze degli asset, né nelle percentuali. Semmai ogni tanto e con una frequenza predeterminata gli investimenti vengono riallineati al peso iniziale.
Alcuni di questi modelli sono molto noti perché ispirati da grandi investitori, altri lo sono meno e tutti presentano una combinazione rischio – rendimento di lungo periodo tra loro differente. La caratteristica che li accomuna è la staticità, la semplicità, l’orizzonte di lungo termine, l’idea che la strategia abbia sempre il sopravvento sulla tattica e l’emotività.
Di base si prestano molto bene per il nostro esperimento.
L’analisi portata chiaramente fa riferimento al mercato azionario americano e in questa prima figura ci rappresenta il suo andamento nel caso di portafoglio costituito al 100 % da azioni statunitensi:
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In questa seconda immagine invece vediamo l’andamento di ognuno dei singoli lazy portfoglio presi in considerazione. Non ci deve stupire che ognuno di fatto abbia ricalcato l’andamento del mercato azionario. L’assunto di ogni lazy portfoglio è che la performance è realizzata dal mercato e non dai gestori o dagli investitori. Chiaramente ogni lazy portfoglio avrà una sua “rischiosità”, ovvero una sua volatilità, una sua composizione che determineranno in maniera diversa l’intensità dei propri cali e delle proprie reazioni positive:
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Ai fini della nostra analisi è perfino indifferente andare ad accertare quale lazy portfoglio sia stato il migliore in termini di performance assoluta, o quello che ha assorbito meglio il crollo di marzo o quello che ha saputo reagire meglio dai minimi. Il punto è un altro e cioè se un atteggiamento statico e strategico sarebbe stato premiante rispetto ad uno difensivo e tattico.
Anche perché nei momenti di paura è molto semplice vendere tutto, quasi per liberarsi del problema, mentre non fare nulla è costoso, molto costoso, da un punto di vista psicologico. Tra l’altro questi momenti sono caratterizzati da movimenti molto ampi e spesso negativi delle quotazioni che contribuiscono ad aumentare l’incertezza anche a causa dei molti modelli quantitativi basati proprio sulla volatilità che fungono quindi da amplificatori delle oscillazioni e delle difficoltà.
Nell’articolo si ipotizza di comportarsi come effettivamente hanno fatto molti investitori non solo negli USA e cioè vendere, stoppare le perdite e solo successivamente pensare di rientrare sul mercato. Nel grafico sottostante questo esempio è rappresentato con la linea nera.
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La tabella con cui si conclude il pezzo è molto disarmante:
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Secondo l’articolista il danno medio della strategia difensiva è di circa il 16 % che, in un clima di tassi a zero o negativi sull’obbligazionario, significa praticamente non aver più opportunità di ripresa. Il differenziale è tanto più grande, tanto più importante era la presenza delle azioni nel singolo portafoglio anche perché la gran parte dei recuperi si concretizza proprio dai minimi.
Di base però tutti i portafogli sono stati danneggiati dalla scelta difensiva, chi più, chi meno.
Le conclusioni che possiamo trarre non vogliono essere assolute.
E’ infatti mia opinione che dal 2008 e cioè da quando abbiamo visto concretizzarsi gli interventi delle Banche Centrali siamo entrati in una fase storica diversa, mutata, in cui i livelli di liquidità e di tassi hanno accelerato e amplificato qualsiasi forma di movimento dei mercati finanziari, stabilito nuovi paradigmi.
Ho però la sensazione che ci vorranno molti, molti anni prima che questo modus operanti possa cambiare e riproporre formule di remunerazione legate al lavoro e non al capitale. L’unica forma di inflazione che possiamo aspettarci è di origine finanziaria e non legata al lavoro, al risparmio e al consumo. In questo contesto imprevedibile e veloce una buona strategia e una buona organizzazione di lungo periodo possono metterci maggiormente al riparo.
Dobbiamo valutare con attenzione solo le variabili che possiamo controllare e dimenticarci dei fondamentali, delle capacità previsive individuali, della possibilità che i mercati finanziari possano realmente riflettere il reale stato di salute dell’economia, specie se misurato sulle conseguenze sul singolo essere umano del pianeta, a prescindere dagli ineluttabili processi di concentrazione della ricchezza.
La vera novità per affrontare al meglio i mercati finanziari risiede quindi proprio nel convivere con i propri dubbi, nel fare tesoro dei propri errori e nel concepire gli investimenti come un processo continuo e sistematico.
In questo senso anche il ruolo del consulente può cambiare e rappresentare quella spinta gentile verso comportamenti del singolo investitore coerenti e organizzati con un approccio di ampio respiro e orizzonti temporali di lungo periodo.