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La mattina del 14 ottobre scorso, decine di migliaia di manifestanti si sono riuniti intorno al monumento alla Democrazia a Bangkok e hanno marciato verso le aree appena fuori dal palazzo del governo, dove sono rimasti fino a quando la polizia non li ha dispersi a partire dalle 4 di mattina del 15 ottobre 2020, come riporta il sito di International Federation for human rights, che afferma che la repressione è avvenuta dopo che il primo ministro thailandese Prayuth Chan-ocha ha emesso un decreto di emergenza che poteva durare fino a 30 giorni. «Il decreto di emergenza si applica a Bangkok e introduce gravi restrizioni all’esercizio dei diritti umani fondamentali che includono: la proibizione di riunioni pubbliche di più di quattro persone; il divieto di pubblicare notizie, altri media e informazioni elettroniche che contengano messaggi che potrebbero creare paura o distorcere intenzionalmente le informazioni, creando incomprensioni che influenzino la sicurezza nazionale o la pace e l’ordine».
Nelle ore successive si è avuta notizia di una serie di arresti tra cui quelli di noti attivisti del movimento a favore della democrazia. Alcuni di loro sono stati rilasciati, altri, invece, sono rimasti in carcere. È da luglio che le manifestazioni degli studenti e dei giovani stanno animando le piazze di Bangkok. Un malessere diffuso era iniziato a crescere durante il lockdown, quando il governo decise di bandire la discussione su una serie di argomenti politicamente sensibili, inclusa la monarchia. Il simbolo della protesta sono le tre dita centrali della mano alzate, come nel film “Hunger Games” e l’hashtag #WhatsHappeninginThailand.
In Thailandia si sta assistendo a una graduale escalation delle misure repressive da parte delle autorità, in riposta al movimento di protesta che già lo scorso febbraio aveva riempito le piazze. Protagonisti di queste manifestazioni sono i giovani che chiedono le dimissioni di Prayuth Chan-ocha, ex capo dell’esercito, diventato primo ministro dopo un colpo di stato nel maggio del 2014, cui ha fatto seguito la sospensione della costituzione da parte di un’amministrazione militare chiamata National council for peace and order (Ncpo).
L’ascesa al potere di Prayuth è stata sicuramente favorita da una situazione di elevata conflittualità presente nel governo precedente, che gli ha permesso di conquistare il controllo della situazione. La storia della Thailandia è stata costellata da una serie continua di colpi di stato, dove la monarchia ha per molti anni convissuto con le forze militari che di fatto hanno gestito la vita politica del paese: è una nazione dal passato glorioso, ma con una transizione allo stato moderno e alla democrazia molto tormentata. Nella metà del XIX secolo la Thailandia, allora conosciuta come Siam, “paese libero”, si avviò alla modernità con l’ascesa al trono di un monarca assoluto, ma illuminato, Rama IV: sotto il suo regno il paese si aprì all’occidente. Il figlio Rama V continuò nel solco già tracciato dal padre, promuovendo lo sviluppo del paese.
TANTI COLPI DI STATO
Nel 1932 un golpe di stato militare costrinse il sovrano in carica ad accettare una monarchia costituzionale. La convivenza tra la casa regnante e i militari, però, divenne sempre più insostenibile, con i secondi che presero il sopravvento. I colpi di stato proseguirono anche dopo la seconda guerra mondiale, con l’esercito che, questa volta in sodalizio con la monarchia, ridusse la libertà nella vita politica. Nel 1973 nacque un vero e proprio movimento di protesta antigovernativa che creò instabilità politica, ma senza grandi sovvertimenti, visto che un governo democraticamente eletto nel 1976 venne rovesciato da un ennesimo golpe. Da quel momento, sino alla crisi asiatica del 1998, quando la Thailandia dovette chiedere aiuto al Fondo Monetario Internazionale, la situazione politica non riuscì mai a stabilizzarsi. Bisognerà attendere il 1998, quando un ex ufficiale, Thaksin Shinawatra, diventato poi un magnate della televisione, fondò un nuovo partito, il Thai Rak Thai (Trt) dalla forte impronta populista. Si presentò alle elezioni del 2001, le vinse e divenne primo ministro, rimanendo in carica nonostante la discutibile gestione dell’esecutivo.
La sua fama crebbe per la capacità di affrontare la crisi causata dallo tsunami nel 2004, tanto che vinse un’altra tornata elettorale, ma rimase in carica come primo ministro sino al 2006, quando fu estromesso per la vendita poco trasparente ed esentasse del suo impero televisivo. Un altro colpo di stato mise fine al suo governo, ma Shinawatra, nonostante fosse esiliato, continuò a raccogliere sostegno tra la popolazione.
Le elezioni del 2011 registrarono il successo del partito di opposizione, Pheu Thai, guidato da Yingluck Shinawatra, a sua volta destituita dalla Corte costituzionale nel 2014. Il progressivo peggioramento della situazione portò all’ennesimo intervento delle forze militari che, nel 2014 dichiararono la legge marziale, seguita dell’ennesimo rovesciamento dell’ordine costituito con il comandante in capo dell’esercito Prayuth Chan-ocha, che si auto-proclamò primo ministro della Thailandia. Le elezioni del marzo 2019 avevano offerto l’opportunità di un cambiamento, ma la forza dell’esercito e il consolidato potere politico riconfermarono il premier uscente. Dal confronto elettorale emerse, però, un gruppo politico pronto a raccogliere le istanze di cambiamento, il partito pro-democrazia Future Forward Party (Ffp). Il suo leader Thanathorn Juangroongruangkit raccolse un elevato consenso tra i giovani, ma l’ennesima questione legale portò allo scioglimento del partito e causò le prime proteste di piazza, sospese poi dall’introduzione del lockdown. I manifestanti chiedono, tra le altre cose, lo scioglimento del parlamento e la redazione di una nuova costituzione.
CRITICI VERSO LA CINA
La genesi del malessere è radicata nella situazione politica thailandese, anche se in questi mesi c’è stato un avvicinamento alla Milk tea alliance, una coalizione allargata e in gran parte online di attivisti, principalmente della Thailandia, Hong Kong e Taiwan, molto critici nei confronti della Cina, che si sono uniti, solidali nelle loro rispettive lotte politiche, combattono i governi autocratici e chiedono riforme democratiche. Ora bisognerà vedere se ai giovani si aggiungeranno altre parti della società civile, con organizzazioni politiche o movimenti, come sta già avvenendo con la nascita del Move forward party e del “Movimento progressista”.
L’ECONOMIA SOFFRE
Nel frattempo l’economia soffre per le ricadute legate alla pandemia. L’outlook di ottobre dell’Ocse sulla Thailandia parla di un paese in cui il progresso socio-economico è stato interrotto dal Covid-19. Le stime per il 2020 vedono un Pil reale contrarsi del 6,9%, a causa del crollo del turismo (11,5% del Pil nel 2019) e di un forte calo della domanda domestica legata alle misure di contenimento della pandemia, nonostante le azioni di sostegno adottate dal governo. L’organismo internazionale prevede che l’attività economica rimbalzi del 3,5% nel 2021. Rimangono vulnerabili le fasce più deboli della popolazione, come i lavoratori informali, che non sono coperti dalle politiche di welfare e dalle misure di sostegno sociale. Il governo ha adottato consistenti politiche fiscali pari al 14,8% del Pil, possibili grazie alla capacità di avere mantenuto un disavanzo e un livello di debito contenuto prima dello scoppio del virus. La Banca centrale ha reagito prontamente tagliando i tassi di riferimento e, nel caso la situazione dovesse peggiorare, ha a disposizione ulteriori strumenti per adottare misure ancora più espansive. L’Ocse suggerisce maggiori investimenti nelle energie rinnovabili, con un invito a rendere l’industria del turismo più “verde” e più produttiva con l’adozione della tecnologia digitale, soprattutto nelle aree rurali. Allo scopo di preservare le ricchezze naturali, è stata consigliata anche una gestione più attenta dell’ambiente, inclusi i rifiuti e le risorse idriche. Il settore dei servizi è importante ed essenziale per il commercio internazionale, ma rimangono ancora alcune regolamentazioni molto rigide, che dovrebbero essere rimosse per renderlo più competitivo e produttivo. In questa prospettiva, sarebbe importante che si allentassero le restrizioni imposte agli investimenti diretti stranieri, così come è stato fatto nel manifatturiero.
è indubbio che il rischio politico sta innervosendo i mercati e gli investitori. Lo scorso 19 ottobre la borsa azionaria thailandese ha toccato i minimi degli ultimi sei mesi. Secondo i dati riportati da Morningstar, i fondi di investimento thailandesi hanno registrato nel terzo trimestre un afflusso netto di 7,8 miliardi di baht (250 milioni di dollari) grazie ai flussi verso i fondi azionari esteri. Nonostante l’andamento positivo del terzo trimestre, il risparmio gestito ha evidenziato un deflusso netto di 343,2 miliardi di baht da gennaio a settembre, mentre il thai baht ha perso, nello stesso periodo, circa il 5%. Per il momento la situazione non sembra particolarmente critica, per quanto riguarda i conti dello stato e la sua solidità finanziaria, ma è lecito chiedersi quanto questo movimento di protesta nel paese possa portare a profondi cambiamenti. Migliaia di manifestanti continuano a pretendere le dimissioni del primo ministro Prayut Chan-ocha, nonché la riforma della costituzione e del ruolo della monarchia, che è da tempo un tabù in Thailandia. Tutto ciò può essere l’inizio di un grande cambiamento.
Il 19 ottobre la Thailandia ha revocato lo stato di emergenza e il primo ministro Prayuth Chan-ocha ha promesso di stemperare lo scontro tra autorità thailandesi e manifestanti che chiedevano le sue dimissioni e limiti ai poteri del re Maha Vajiralongkorn, figura rispettata, ma soprattutto temuta. Ora bisognerà vedere come e si riassesterà la situazione e, soprattutto, quanto saranno ascoltate le istanze di cambiamento che i giovani hanno fatto proprie.
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