Nel 1972 con un titolo molto provocatorio Woody Allen diede alla luce uno dei suoi film più riusciti e di successo.
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Prendo spunto dal regista americano per formulare la medesima frase sul Welfare Aziendale.
Siamo sicuri di sapere veramente cosa sia il Welfare Aziendale? Perché l’imprenditore dovrebbe investire dei soldi nel Welfare in luogo di altre forme di incentivo? Cosa si aspettano i dipendenti di un’azienda quando si parla di Welfare? Ma ancora più importante è sapere cosa vogliono farci credere che sia il Welfare Aziendale?
Da sempre le multinazionali e le banche o le assicurazioni prevedono nel proprio contratto standard, diverse misure di welfare aziendale: l’assicurazione sulla vita, la polizza infortuni, l’assicurazione sanitaria estesa quasi sempre al nucleo familiare e di sicuro la previdenza complementare. Non dimentichiamo i ticket restaurant che sono la più elementare forma di Welfare. Ultimamente alcuni istituti di credito hanno dato la possibilità di utilizzare il premio di produzione (al lordo delle tasse) per finanziare corsi scolastici e/o libri di testo.
Ma con la legge di Stabilità del 2016 il concetto di Welfare è stato esteso ad una serie di servizi prima neanche immaginabili.
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Si è, quindi, confuso il Welfare con il Well-being, lo “stare bene”. Il legislatore si è domandato quali servizi potrebbero essere compresi nel Welfare, e quindi sottoposti a de-tassazione, per rendere contenti nell’immediato i dipendenti? Ed ecco la genesi del Welfare targato Legge di Stabilità 2016.
Sono stati quindi compresi nel Welfare: le spese per i libri di testo, le iscrizioni alle scuole di specializzazione e alle università, le spese per la baby-sitter e per la badante, ma anche le spese per i viaggi e per le palestre, addirittura si può chiedere il rimborso della spesa per gli interessi passivi sul mutuo.
Si è passato quindi da una serie di coperture assicurative, con dei benefici potenziali di alto livello, all’erogazione di un incentivo, non monetizzabile, con il quale il dipendente si può comprare l’abbonamento in palestra. I due livelli sono proprio diversi, con un depotenziamento del concetto di Welfare.
Ma se un imprenditore volesse, quindi, introdurre un piano di Welfare all’interno della propria azienda, oltre ad interpellare un esperto del settore, potrebbe avere dei dati oggettivi su cui basarsi?
Ci sono varie ricerche nel campo del welfare aziendale. La più completa ed esaustiva sembra essere quella di Generali. La compagnia triestina ha costruito con l’aiuto delle maggiori confederazioni italiane (Confindustria, Confagricoltura, Confartigianato e Confprofessioni), un tavolo di lavoro da cui è scaturito il “Welfare Index PMI”. Questo indicatore offre una buona misura di come il welfare viene vissuto in azienda.
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I temi che il Welfare Index PMI ha monitorato sono: previdenza integrativa, sanità integrativa, servizi di assistenza, polizze assicurative, conciliazione vita e lavoro, sostegno economico, formazione, sostegno all’istruzione di figli e familiari, cultura e tempo libero, sostegno ai soggetti deboli, il tutto attraverso più di 4,000 interviste con aziende sparse nel territorio italiano, da uno a mille dipendenti.
Il risultato dell’analisi dimostra che le aziende che credono nel Welfare e lo considerano come un progetto strategico ottengono migliori risultati, migliore produttività e aumenta la soddisfazione dei dipendenti.
Un altro aspetto fondamentale del Welfare aziendale è il trattamento fiscale. Tutte le iniziative di welfare, all’interno di un certo limite, sono deducibili fiscalmente, eliminano il cuneo fiscale e non costituiscono reddito tassabile per il lavoratore. Ciò significa che le aziende lo posso dedurre dal reddito di impresa, e non ci pagano contributi (o li pagano in maniera molto ridotta). Il beneficio fiscale dell’azienda premia quindi anche il lavoratore perché l’ammontare del Welfare può essere aumentato a suo beneficio.

Immagine tratta dalla splendida presentazione di Allianz: “Il Welfare aziendale uno strumento per aumentare efficienza ed engagement”, pagina 9. Ringraziamo il Gruppo Allianz.
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Ricapitoliamo due sono i grandi temi del Welfare aziendale:
- sanità e previdenza integrativa, attraverso polizze o casse mutua/fondi pensione;
- benefici non monetari.
E’ da un mix calibrato delle due alternative che nasce un buon Welfare aziendale e che in prima battuta dovrebbe essere presentato all’azienda nella giusta maniera. Le funzioni di riferimento cui presentare il Welfare devono necessariamente essere coloro che hanno voce in capitolo all’interno dell’azienda: l’HR Manager nelle aziende più strutturate, ma forse meglio il Direttore Generale e in ultima istanza l’imprenditore o l’amministratore.
Volendo anche dare un suggerimento sulle domande da porre da parte dell’esperto del Welfare, ci possono venire in mente:
- il fine ultimo che l’imprenditore vuole raggiungere (fidelizzazione dei dipendenti, attrazione di nuove risorse, visibilità dell’impresa, fini socialmente utili, lungimiranza):
- il budget a disposizione e la durata minima del Welfare aziendale. L’azienda non può pensare di proporlo per un anno e vedere come va. L’orizzonte minimo dovrebbe essere tre anni;
- il CCNL di riferimento per l’azienda, al fine di evitare inutili sovrapposizioni di servizi o di coperture tra Welfare e CCLN: anzi una buona analisi ci permette di sfruttare eventuali mancanze presenti nel contratto collettivo.